Anna Lombroso per il Simplicissimus

Anche ieri, come ci auguriamo avverrà ogni sabato, cittadini, che vogliono essere uguali e con uguali diritti, si sono riuniti in molte piazze di molte città, intenzionati a ripetere questo rito democratico, almeno finché la paura della protesta non produrrà un ravvedimento nei burattinai delle marionette governative, nei loro consulenti tecnici, nei pensatori che stanno producendosi in acrobazie miserabili, per portare acqua avvelenata ai loro mulini.

In questi anni ogni tanto qualcuno si svegliava Babeuf e andava a dormire con la benedizione dell’ideologia dominante che ha occupato cervelli e coscienze, mentre oggi ancora una volta ci sarebbe davvero bisogno che ci facessimo noi tribuni del  popolo, per difenderci dalla dozzinale caricatura che filosofi un tanto al chilo, opinionisti a libro paga di editori impuri, Rai compresa, sociologi, statistici, economisti  ci propinano ogni giorno, per denigrare chi commette il reato di lesa maestà dei governi, in carica e passati, dal presente e dal passato criminale, per ridicolizzare pensatori eretici e pure quelli che fino a ieri popolavano il loro pantheon, oggi arruolati a forza tra i plagiati da altri rincoglioniti.

Lo scopo evidente è quello di dimostrare che la protesta è manovrata da una destra, la stessa che proprio loro implorano di unirsi per completare il quadro demiurgico di un arco democratico a tutto tondo, che emette i suoi borborigmi animaleschi con la voce dalla pancia populista e sovranista, che i suoi profeti sono barbari ignoranti, misoneisti, irrazionali e irragionevoli, miscredenti della scienza e negatori pervicaci del Progresso.

Cito a caso: “chi   si oppone al Green Pass dovrebbe coerentemente opporsi a patente di guida, tessera sanitaria, carta d’identità, certificato di residenza…Svalvolati di sicuro, ma anche semplicemente fascisti allo stato brado” (Giorgio Cremaschi), oppure   “È un movimento composito, quello dei No Pass, ma con forti screziature nere, dove “l’Inno di Mameli  si conclude con troppe braccia tese al cielo” (Maurizio Molinari), ed anche “Le piazze .. sono piene … di persone convinte che la libertà si difenda rifiutandosi di osservare le norme dello stato. Ci si domanda perché fra questi libertari non ci sia nessuno che si dichiari non solo no pass e no vax, ma anche no tax… Se non lo fanno è probabilmente perché temono di essere riconosciuti, sopravvalutando le capacità inquisitive della Finanza” (Maurizio Ferraris),oSe un governo limita la libertà di movimento in nome della tutela della salute generale (cosa peraltro prevista dall’articolo 16 della Costituzione italiana) – sotto la spinta della comunità medica e delle organizzazioni sanitarie mondiali – al netto di errori e opportunismi sempre possibili, siamo ben lontani dal totalitarismo. Chi afferma il contrario delira cognitivamente o coltiva interessi oscuri” (Paolo Ercolani)  e infine: “Questa galassia ha saputo costruire una rete di relazioni molto ramificata…. Poi c’è la destra il cui  sogno autoritario svanisce superato dalla volontà di sfruttare le proteste… con l’unico intento di sovvertire lo Stato e le sue istituzioni, conquistando nelle piazze i consensi che, a differenza di altri Paesi europei, latitano nell’urna» (Ilvo Diamanti).

Io proprio lo vorrei un tribunale davanti al quale denunciare chi ha scritto: “ A volte i popoli impazziscono. O impazziscono piccole porzioni di popolo, come quelle che si sono ritrovate nelle piazze in questi giorni, segno di tempi deragliati. Indecifrabili nella loro composizione scomposta, con i leghisti e i fascisti mescolati ai bene-comunisti, ai dentisti e agli apprendisti o ai giuristi d’assalto, incarnazione di un’eterogeneità sociale accomunata solo dall’assurdità di una pretesa irricevibile: dalla rivolta contro un provvedimento-simbolo come il Green Pass che in tempi di pandemia mortale appare mera proposta di buon senso e senza dubbio male minore…sono piazze foriere di sciagura, gravide di presagi inquietanti e di ombre nere, con un pesante retrogusto fascistoide””.

A dirlo è Marco Revelli, geneticamente antifascista in quanto figlio di un partigiano, come me, salvo che il mio di padre con una maggiore consapevolezza profetica si accorse prima di chi era il nemico,  fino a qualche tempo fa risoluto combattente no Tav, fronte oggi dimenticato essendo stato annoverato tra le opere strategiche il cui completamento sarà finanziato dall’elemosina europea, fino a qualche tempo fa  tenace accusatore del banchiere del diavolo, del quale oggi è lecito trascurare la missione di commissario fallimentare addetto alla distruzione creativa,  in vista della soluzione finale prevista per liberarci di interi ceti parassitari.

A lui, firmatario come tanti altri di appelli del progressismo neoliberista in favore del governo dello stato di eccezione, dobbiamo l’anticipatrice definizione  di “fermenti dei margini”, per qualsiasi forma attiva di dissenso e critica all’establishment,  ipotizzando che si tratti sempre e comunque della rivolta di frustrati indegni dell’interesse degli studiosi, di beceri salviniani razzisti e xenofobi, di categorie (dentisti? ristoratori?  Baristi? Partite Iva?)   alle quali la gente perbene non può accordare solidarietà. In breve, piazze che puzzano lontano un miglio di sovranismo, lecito solo quando si manifesta come pretesa secessionista di Regioni che hanno avuto modo di dimostrare incapacità e istinto malavitoso, o di populismo, quello che ispira “scontento scoordinato e fibrillazione dei dimenticati”, accettabile solo quando riduce le stelle polari del riscatto dallo sfruttamento e della giustizia ai cori con Bella Ciao e Azzurro dal balcone.

Bisogna capirli, deve essere stata traumatica, per chi ha vissuto al riparo per censo, appartenenza, fidelizzazione, rendita, la scoperta della paura, quella di scomparire dall’arena degli influenti, meritata da chi non ha mai azzeccato una previsione, dimostrato una teoria, una volta sottoposta a verifica,  quella di non avere due colonne sui giornaloni, la comparsata al talk show, l’eclissi insomma cui il passare del tempo condanna anche venerati maestri. Si, deve mettere addosso  una grande inquietudine perché è un’anticipazione della morte, tabù rimosso perché i privilegi, le sicurezze economiche, il censo e la notorietà, come concedono la percezione dell’impunità per qualsiasi sciocchezza si proclami malgrado la imperitura memoria di Google, altrettanto donano un senso di immortalità inviolabile.

Per quello, se fino a poco più di un anno fa gli stessi osservatori del mondo dal poggiolo con la bandiera arcobaleno, condannavano la paura come una miserabile attitudine dei diffidenti, dei risentiti e dei rancorosi che la usavano come un’arma contro gli “altri”, i “diversi”, i sommersi che minacciano di riaffiorare con il loro carico di pretesa di risarcimento,  oggi la recuperano come virtù civile, manifestazione di responsabilità e senso di appartenenza alla collettività finalmente unita dalla guerra al nemico invisibile e armata di siringhe e dell’autorizzazione al distanziamento, all’isolamento salvifico.

Vale lo stesso per l’obbedienza, fino a poco tempo fa interpretata come codardo assoggettamento a leggi dettate da poteri forti e ceti padronali, oggi promossa a qualità  irrinunciabile della cittadinanza, prerogativa identitaria imprescindibile, in mancanza della quale si è condannati al destino dei reietti, degli eretici, dei miscredenti della democrazia, provvisoriamente ma legittimamente sospesa, della scienza, ormai incontestabile anche se sviluppa i suoi paradigmi nei laboratori e nelle officine industriali,  del progresso che esige rinunce e sacrifici anche umani, per via di incontrastabili effetti collaterali.

La maggior parte di quelli che il sabato si incontrano senza contarsi ma rivendicando di contare, hanno nostalgia delle piazze dei lavoratori, oggi condivise dai sindacati con Confindustria, della manifestazioni per la pace, quando non era considerata un arcaico trastullo di superate anime belle, per il paesaggio e il territorio, quando l’ambiente non era uno stilema ad uso dell’advertising della green economy, per i diritti, quando sapevamo che andavano difesi ogni giorno, insostituibili e inalienabili.

Oggi si viene caricati dalla polizia o fermati perché l’assembramento non è autorizzato o perché non si indossa la mascherina, ma è quello che succede agli operai fuori dalla fabbriche delocalizzate, alle donne che si battono contro l’obiezione di coscienza, ai rider colpevoli di stare nei sindacati di base, ai magazzinieri costretti a fare la pipì in bottiglia per non perdere tempo. Questo dimostra che libertà, giustizia e solidarietà fanno sempre e ancora paura proprio come quelli che non hanno paura di volerle e difenderle.