Ieri Facebook ha cassato un post di questo blog perché l’immagine di un topolino in una gabbietta presa ad illustrazione della nostra stessa prigionia dentro le gabbie della informazione truffaldina, pareva troppo forte. Siamo arrivati davvero al capolinea della vacuità, ma questo è niente perché gli esempi di questa caduta culturale si moltiplicano. Sempre ieri per esempio la Corte federale di giustizia tedesca ha deciso che i social non possono cancellare i contenuti degli utenti in modo autonomo, ma per farlo devono prima ascoltare la persona interessata e insomma aprire un colloquio e un contenzioso. Tuttavia nella stessa giornata è scoppiato lo scandalo della “cotoletta zingara ” su cui Facebook si è sottratto a qualsiasi dialogo sentendosi al di sopra della legge, accampando la scusa del poco personale per poter aprire la pratica. La cosa ha coinvolto un notissimo giornalista Klaus Kelle il quale in una nota aveva citato la Zigeunerschnitzel, un piatto abbastanza comune che consiste in una bistecca di maiale ( ma potrebbe essere anche vitello o pollo) con cipolla e peperoni annegata in una salsa di pomodoro e paprica sormontata da formaggio o mozzarella. Perché si chiami cotoletta alla zingara ( Zigeuner  che si legge Zigoiner da cui il nostro zigano) non saprei dire, ma di fatto è stata presa come una manifestazione di odio etnico, come si fossero voluti equiparare gli zingari alle cotolette. Allora poveri viennesi che si fanno un vanto della Wienerschnitzel.  Oddio forse qualcuno potrebbe pensare che si sia voluto attribuire agli zingari la pesantezza del piatto, ma a parte gli scherzi la colpa di Kelle è stata solo quella di sostenere che non c’è nulla di offensivo nel nome di questo piatto così diffuso, tena di una stucchevole e idiota polemica in tonalità scemo globalista. Ma davvero possiamo immaginare che ci sia qualcosa di irrispettoso negli spaghetti alla zingara? Anzi probabilmente è esattamente il contrario visto che l’attribuzione di una ricetta di successo a un’etnia è invece un fatto positivo.

Questa vicenda paradossale testimonia del livello assolutamente primitivo e analfabeta di queste censure e della cultura nella quale nascono, ovvero il peggio di quanto arriva da oltre atlantico e viene imposto a forza di media: un’idea del mondo simile a quella delle fanzine degli anni 50 piuttosto che alla grandi costruzioni ideali che hanno segnato le lotte e i progressi sociali. Aldous Huxley  e George Orwell hanno costruito distopie di successo proprio perché erano a contatto con l’ambiente che covava quegli incubi e ne narrava accendendo la fantasia degli oligarchi di oggi che possono trasferire nella realtà quelle antiche letture.  Fatto sta che  il patrimonio di almeno due generazioni nate dagli anni ’80 in poi, sono diventate le generazioni del gregge e della futilità, lasciate nel totale vuoto culturale dai mass media e da una scuola in drammatico e programmato declino dovunque in occidente ( poi ci chiede come mai cominciamo a prendere batoste tecnologiche che erano giù state annunciate dai più avvertiti negli anni ’90) tanto che ormai le università tedesche ( parlo di quelle mediamente migliori) devono fare corsi di ortografia elementare ai propri studenti. Queste generazioni sono praticamente ignare di tutto, non hanno fedi o forti convinzioni di nessun tipo e perciò credono a qualunque cosa purché sia sufficientemente futile, faccia tendenza e non sia troppo eticamente impegnativo, qualcosa che possa avere un senso nel breve tragitto tra palestra, supermercato e agenzia viaggi. Si sono fatte scippare i diritti del lavoro pensando di allearsi al futuro mentre mettevano la testa nella bocca del padrone,  prive delle grandi speranze che hanno attraversato i secoli precedenti non hanno nemmeno un grande concetto di libertà che nel loro immaginario parrebbe piuttosto simile alla libera uscita. E tutto il resto è slogan. Certo non tutti sono così, come sempre qualcuno si stacca da gregge e quel qualcuno è anche meglio di quanto fossimo moi ai nostri tempi, perché resiste a una fortissima pressione, ma si tratta di una minoranza. Dominano quelli che i problemi della discriminazione pensano di risolverli cambiando il nome a una cotoletta, o nascondendo i topolini di cui la loro adorata scienza fa uso o piuttosto abuso, visto che spesso per vendere farmaci le aziende nascondo gli studi negativi sulle cavie togliendo a questi animaletti persino la dignità di essere serviti a qualcosa nella delicata arca della vita.  Possibile che qualcuno non capisca che mostrare un topo in gabbia significa fare il tifo per il topo e non per la gabbia? Si certo quelli che vogliono togliere le libertà e che dal loro punto di vista lo  considerano un lapsus freudiano.