Anna Pulizzi per il Simplicissimus

Confesso che nei primi mesi dello scorso anno, quando già i nostri apparati d’informazione avevano deciso di dar fiato ad un allarmismo senza precedenti, mi trovavo in quella terra di mezzo in cui si può anche accettare l’idea che l’Ansa, o Mentana o addirittura Botteri da NewYork possano per una volta dire le cose come stanno realmente. La nuova ‘influenza’ esisteva, ne avevano timore anche i cinesi che facevano venir su ospedali a vista d’occhio e poi c’era Burioni che assicurava non esserci qui da noi alcun rischio e sulla sua maestria nel prendere lucciole per lanterne si poteva ben scommettere.

Poi sono arrivati i primi dati e già un mese dopo, quando si poteva uscire solo per i viveri e si sgomitava per l’ultima bustina di lievito, si capiva che quella era un’epidemia ben strana. Certo, per fortuna tutti noi abbiamo poca o nessuna esperienza diretta di queste cose. Forse c’è ancora chi può riportare i racconti dei nonni sulla ‘spagnola’ e senz’altro c’è chi ricorda la ‘asiatica’ tra gli anni ‘50 e ‘60 (con 20mila decessi stimati solo in Italia) nonché influenze successive di analoga provenienza, ma perlopiù l’immagine che abbiamo di un’epidemia è legata ai Promessi Sposi, o alle cronache del Trecento, o magari a qualche film di genere apocalittico. Però di malattie virali che uccidono quasi soltanto persone giunte alle soglie del fine vita per altri motivi ce ne sono già state e senza che a nessuno venisse in mente di vietarci di uscire di casa. Soprattutto, senza immaginare che si sarebbe accettata collettivamente e senza battere ciglio una simile imposizione. Era questa la cosa nuova, ben più della tipologia del virus. Il fatto cioè che da ogni parte si cercasse di presentare le cose in modo peggiore di quanto non fossero, l’uso di tamponi tarocchi per mostrare un numero abnorme di nuovi infettati, il gonfiare ad arte la cifra quotidiana dei deceduti da parte dei giornali e soprattutto l’attribuzione al covid di decessi causati da ogni altra patologia a carico di presunti ‘positivi’.

Non che i contagiati fossero di meno, anzi. Già dai primi mesi i maggiori microbiologi sostenevano che in Italia milioni di persone erano giunte a contatto col virus, la cui velocità di diffusione è analoga a quella di un’influenza stagionale e quindi incontrastabile. Solo che in grandissima parte ci si contagia senza sviluppare sintomi, se le difese immunitarie non sono già compromesse per altri motivi. Ma questa non era una cosa che si poteva ammettere, altrimenti calcolatrice alla mano chiunque avrebbe capito che la percentuale di rischio non giustificava alcun confinamento di massa. In questo anno e mezzo abbiamo semplicemente toccato con mano le potenzialità della propaganda, che non risiedono tanto nell’abilità nel raccontare balle ma nel far emergere potentemente il desiderio, da parte dei più, di recepirle acriticamente. Poiché oggi chiunque può venire a conoscenza del fatto che l’Oms, il Cdc americano e diversi paesi considerano i tamponi inaffidabili, perlomeno nel modo in cui sono stati utilizzati e con cicli di amplificazione tali da non poter distinguere il virus del covid da un raffreddore o da tracce di altre patologie pregresse. E venendo alle inoculazioni di massa odierne, presentate come mezzo salvifico ben prima che fossero disponibili, chiunque capisce che un preparato biologico che non serve ad evitare di essere contagiati né a contagiare gli altri, e per giunta con un’efficacia che se esiste dura pochi mesi, non merita la definizione di ‘vaccino’.

Anche il più devotamente incline a prendere per buona ogni indicazione che sgorga dagli organi d’informazione può rendersi conto che nella ‘comunità scientifica’ vi sono voci discordanti su quasi ogni questione legata al covid, non ultimo l’effetto della vaccinazione sui giovani o su coloro che hanno già sviluppato l’immunità. Ma può anche notare che l’apparato mediatico vigila su ciò che scriviamo e cerca di ostacolare la diffusione di opinioni non conformi a quelle ufficiali. Che diversi medici sulla cui professionalità non possono esservi dubbi sono stati allontanati dal loro posto, che il governo è disposto ad impoverire il già straziato servizio sanitario licenziando migliaia di operatori sanitari che non intendono farsi inoculare un siero sperimentale, pur sapendo che costoro sarebbero in ogni caso più utili che pericolosi.

Chiunque può scoprire, appena si allontana dai siti del Minculpop, che la pericolosità delle nuove varianti, compresa la Delta al momento più gettonata, non è superiore a quella del ceppo originario, ma che esse sono invece molto utili per mantenere viva a paura anche tra chi colpevolmente sperava di sentirsi al sicuro dopo il duplice appuntamento con la siringa. Chiunque capisce che i nostri governi ci tengono così tanto alla salute della collettività da aver immediatamente pensato di proibire le autopsie autorizzando solo un’inutile “ispezione esterna del cadavere”, da non aver approvato adeguati protocolli di cura domiciliari e aver autorizzato esclusivamente ‘vaccini’ su cui il grande capitale finanziario può agevolmente realizzare profitti ma trovando appigli di ogni natura per escludere gli altri. Chiunque infine può avvedersi della pervicacia con cui l’informazione e l’ambiente medico fedele alla linea si sforzano di negare ogni correlazione tra le centinaia di morti inspiegabili ed improvvise e le inoculazioni fatte pochi giorni o poche ore prima.

Fin dall’inizio c’è sempre stata materia abbondante per coltivare il dubbio. Invece si coltiva l’astio nei confronti di chi i dubbi li ha e li manifesta. Un sentimento che a mio avviso pare ben poco spontaneo ma è semplicemente l’effetto di una campagna terroristica alimentata dall’alto che paradossalmente aumenta di tono con l’aumentare della quota di ‘vaccinati’. Si noti inoltre che i centri allestiti per distribuire il sacro siero lavorano costantemente a pieno ritmo e che il numero quotidiano di chi accetta di farselo inoculare è molto spesso superiore alle dosi disponibili. Le persone, certamente spaventate dalla minaccia di limitazioni ulteriori alla libertà personale se non addirittura costrette da norme rese possibili solo da un’interpretazione assai creativa della Costituzione, stanno rispondendo alle prescrizioni del governo con un’obbedienza addirittura imbarazzante. Anche per questo si capisce bene che l’insofferenza dei seguaci della narrazione ufficiale ha poco di genuino e risponde più al bisogno di trovare un nemico, la cui individuazione agevola la costruzione di una più tranquillizzante identità di gruppo, evidentemente condita dalla presunzione di essere un gradino più in alto, anche culturalmente, rispetto agli scettici.

Qualsiasi regime ha sempre favorito tale fenomeno e poi lo ha usato per ottenere un livello di fiducia e consenso spendibile in operazioni spesso inammissibili in altri contesti. C’è da dubitare che il saccheggio definitivo del nostro apparato produttivo, il trasferimento di ricchezza verso i ceti più abbienti, la trasformazione dell’Italia in una Magna Grecia della devastazione neoliberista, l’intrusione nella vita quotidiana degli individui e il limitare la convivenza sociale e gli spostamenti, potrebbero essere portati avanti con la stessa velocità in assenza di un capro espiatorio. Così come il decollo ulteriore della disoccupazione e dell’insicurezza economica collettiva sono stati attribuiti fino a ieri al debito pubblico, oggi si ripete il copione con questo accidente invisibile a occhio nudo e si può star certi che la permanenza in tale situazione sarà addebitata a chi non intende recarsi presso gli ‘hub’ a far atto di fede. Naturalmente vi è anche un diffuso moto di resistenza che si fa più consistente in misura proporzionale alle incongruenze che si rivelano nella narrazione ufficiale. Ma svelare gli indubbi interessi economici che maturano a cavallo dell’emergenza sanitaria e della convenienza delle élite finanziarie a perpetuarla avrebbe un valido effetto soltanto se lo si potesse fare con assiduità paragonabile a quella che gli organi d’informazione usano per agitare i loro spettri. Tutti hanno la possibilità di accedere con minimo sforzo ad una lettura diversa della realtà rispetto a quella fatta piovere dall’alto, ma molto spesso più fondamentali dell’informazione sono la frequenza con cui essa viene proposta e il senso di sicurezza che produce il prenderla per buona.