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Microcefali e MaxiEgo

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Offro gratuitamente ai non abbonati questa mirabile paginetta: “Le democrazie nascono impegnandosi a garantire l’endiadi “vita e libertà” dei cittadini, ma che vita e che libertà sono garantite a cittadini costretti a rischiare, in ogni luogo pubblico chiuso o all’aperto ma molto affollato, l’alito impestato di chi per privata prepotenza non vuole prendere l’unica misura che abbatte tale rischio: il vaccino? In realtà vi è, come noto (da secoli) un’altra misura: il distanziamento. Tenere a distanza chi non vuole vaccinarsi non ha perciò nulla di discriminatorio, è una misura elementare minima di difesa della libertà (e vita) degli altri”.

Si tratta di un brano della lettera aperta di Paolo Flores d’Arcais in risposta all’appello di Cacciari ed Agamben sul Green pass, ma indirizzata solo al primo in ossequio alla schifiltosa congiura che vuole fare di uno dei nostri più illuminati filosofi un patetico rincoglionito, immeritevole perfino di polemiche. Il direttore di MicroMega,  idolatra del Progresso seppur sofistico rispetto alla modernità, costretto a convertirsi alla diffusione online dei suoi messaggi, liquida sbrigativamente le ubbie di Cacciari sul potenziale di controllo sociale e sorveglianza discriminatrice  repressiva del lasciapassare: abituato alla conoscenza della realtà tramite i tomi  rilegati della sua biblioteca, spiega dottamente che se tu scarichi il pass e lo esibisci in forma cartacea vien meno qualunque forma di tracciamento, tanto che suggeriremmo di applicare questa suggestiva teoria sul valore degli strumenti e delle armi informatiche anche ai recenti licenziati tramite email.

Difficile aspettarsi qualcosa di diverso, anche dopo il divorzio da Gedi,  dalla prestigiosa testata, una delle più prolifiche fabbriche di manifesti e petizioni con relativa raccolta di firme, ormai in concorrenza aperta con il Manifesto del quale condivide la dolce e remissiva accondiscendenza al progressismo neoliberista e politicamente corretto,  il cui nome, vale ricordarlo, è ispirato a una racconto di Voltaire.

Quello che narra  di un filosofo del pianeta Sirio, Micromega appunto, “nome perfettamente adatto a tutte le persone grandi. Era alto otto leghe, voglio dire ventiquattromila passi geometrici di cinque piedi ciascuno”, e che, insieme a un collega di Saturno visita la Terra  dove incontrano una spedizione di scienziati e filosofi locali,  tanto insignificanti da far dubitare che possiedano le  facoltà di pensare, comunicare e effettuare calcoli matematici. Tanto da decidere di andare in loro soccorso  grazie al munifico dono di un libro contenente il “senso della vita”.

Ci vuol poco a diagnosticare  al cenacolo esclusivo, che resiste dopo qualche insigne defezione,  un complesso di superiorità smisurato fino al delirio di onnipotenza, sussiegoso e supercilioso come si addice a giganti del pensiero  che a volte generosamente si prestano per concorrere alla promozione intellettuale e morale di un pubblico selezionato, grazie all’offerta dei contenuti del riformismo  e  dell’europeismo come disegnato a Ventotene da quell’altro circolo nobiliare, mossi dalla  convinzione fideistica che un pizzico di Hegel, Odifreddi, Galimberti – e Papa Francesco- possano  ammansire la ferina crudeltà dell’ideologia neoliberista e renderla accettabile e condivisa ad altre menti e a altri intelletti, proprio come è successo a loro.

Avviato verso l’età dell’uomo nella quale si può aspirare a essere omaggiati in veste di venerati maestri, in perenne contemplazione delle proprie virtù esclusive, il club di MicroMega, ha perso la baldanza delle personalità distruttive di totem e tabù che un tempo costituiva la sua cifra, tra laicità e garantismo, critica e critica della critica, per addivenire a più miti consigli o a miti più ragionevoli e consigliabili se ci si deve barcamenare tra tanta concorrenza di filosofi, pensatori, opinionisti tutti perfettamente allineati al pensiero che raccomanda la resa, lo stare appartati per non sporcare l’orlo della tonaca, della toga, della marsina e perfino della divisa da generale, quella che costituisce l’outfit oggi irrinunciabile. Non a caso in perfetta consonanza con l’inossidabile ideale europeista, sono allineati all’europarlamento nella pari condanna dei due totalitarismi, disinvoltamente equiparati, inganno perdonabile per Hannah Arendt che non si era ancora misurata con il dominio economico, finanziario e  tecnopolitico che stava configurandosi.

E difatti cosa spiace sommamente a d’Arcais nella sua lettera di Paolo ai Corinzi obnubilati dal pregiudizio forcaiolo contro il povero Draghi e il suo esecutivo, ma è chiaro l’insano paragone “davvero fuori misura… indecente e ingiurioso”  tra il lasciapassare sanitario  e “il passaporto interno di staliniana e brezneviana memoria o le misure di controllo del maoturbocapitalismo di Xi Jinping. Un’offesa sanguinosa ai milioni e milioni di vite umane che il totalitarismo comunista lo hanno subito davvero, carne e ossa, gulag e sangue”, simboli delle tirannidi del secolo breve a suo parere più vergognosi della stella gialla. E si capisce, questa cerchia di pensatori approfitta della disillusione che li ha posseduti per quello che considerano il fallimento del sogno rivoluzionario socialista, per legittimare la capitolazione, la resa alla impraticabilità di una alternativa allo status quo, così da poter restare nella propria enclave, nel proprio tinello dal quale osservano il mondo come l’entomologo contempla gli insetti.

In questo caso lo spillone è stato intinto nel veleno, vuoi perché i soci di questi circoli esclusivi nutrono antichi rancori, vecchi attriti e nuove invidie, duelli accademici e tenzoni editoriali, vuoi perché se un concorrente segna il territorio, si conquista una tribuna è necessario agire subito senza fare prigionieri, salvo poi rinsaldare lo spirito di corpo al prossimo seminario, favorire un protetto in concorso, stilare una dotta prefazione.

E poi, azzardo, chi ha scelto di allinearsi, di compiere doverosi atti di fede, di esibire un pubblico attestato di fidelizzazione, prova un po’ di vergogna rispetto agli eretici, che rivelano una tantum un certo coraggio, che si divertono o si indignano con le provocazioni e un po’ di giovanile ribellismo.

Sarà per quello che, come uno scorpione, dopo aver manifestato un impareggiabile senso civico unito a una fantasiosa indole speculativa paragonando il green pass alla patente di guida, manco fosse un Cremaschi qualsiasi,  dopo aver accomunato il divieto di fumo alle disposizioni per proteggere la brava gente dall’alito mefitico dei novax, dopo aver propagandato la bontà del distanziamento, misura primaria di difesa della libertà come sanno bene gli operai alla catena, i pendolari in metro, i magazzinieri di Amazon, ecco che alla fine non resiste e punge Cacciari con il suo veleno più tossico.

Spero, scrive prima del rituale abbraccio conclusivo, che quelle righe siano uscite dalla penna del tuo sodale Agamben, che suona questo mostruoso refrain da anni, e tu le abbia accolte solo per momentanea debolezza”, dandogli dell’influenzabile mentecatto, ma offrendogli una umiliante via d’uscita in caso di ravvedimento, come è normale succeda in quelle cerchie unite da affinità che dimostrano che chi vive nel privilegio non sferra mai colpi definitivi e mortali riservandoli a noi rane.

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