Anna Lombroso per il Simplicissimus

Come in una matrioska, come in un gioco di scatole cinesi, sono allo studio discriminazione e disuguaglianze dentro e aggiuntive ad altre discriminazioni e disuguaglianze:  il governo prepara il nuovo decreto anti-Covid, quello che prevede l’estensione dell’utilizzo del green pass.  “L’idea”, secondo il  sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, è quella di pensare “a una modulazione e gradualità a seconda del quadro della regione: si possono cioè prevedere intensificazioni dell’utilizzo del green pass a seconda della situazione”, malgrado la “situazione delle terapie intensive e dei reparti ordinari per ora non preoccupino”.

Tutto come previsto, in modo da giustificare l’inadempienza rispetto alle promesse, moneta in corso da un anno e mezzo, di rafforzare le strutture di emergenza e di investire nel sistema ospedaliero pubblico, nel rispetto dei due modelli vincenti, quello Macron e quello Moratti, ambedue convinti che non valga la pena impegnare risorse economiche e umane nella medicina di base, nelle cure domiciliari, nella predisposizione di modelli terapeutici, quando l’unica soluzione  è il vaccino.

Ma per carità, non è complotto, forse si stratta solo dei dogmi di strateghi senza strategia, dilettanti improvvisati, che attingono al gruzzolo che noi siamo tenuti a dar loro sotto forma di tasse e balzelli per onorare i patti stretti con le cupole farmaceutiche, ispirati da una ideologia che ha bisogno di declinarsi con il controllo sociale, la repressione, la paura, la necessità che impone la rinuncia alle libertà in forma volontaria, come accettazione doverosa che vanta un alto contenuto morale, quel richiamo alle responsabilità collettive e personali che tiene dritti gli eroi della puntura immortalati orgogliosamente prima o dopo il sacrificio rituale.

Dal primo momento si è capito che si trattava di un virus classista, che si accaniva con gli improduttivi che pesano come parassiti sul nostro stato sociale languente, particolarmente cruento con i vecchietti delle case di riposo, che prescriveva di discernere tra chi andava protetto in un confortevole isolamento e chi doveva prestarsi con i servizi essenziali alla tenuta dell’economia nazionale, che  distingueva tra venerabili maestri da accogliere in cliniche con trattamento alberghiero e anziani da tutelare in un malinconico stato di abbandono, e tra chi esercitava la sua resilienza a via del Vivaio o ai Paioli e chi invece resisteva in una camera e cucina senza Netflix e Glovo.

E d’altra parte a proposito di trattamenti differenziati tra regioni, vale per tutti la decisione di uniformare le limitazioni di tutto il Paese all’emergenza lombarda, chiudendo una nazione per non “penalizzare” il suo motore economico e morale, il primo in graduatoria per antropizzazione,  consumo di suolo, inquinamento, carenza di infrastrutture ambientali, e anche per contributi offerti a rinvigorire la sanità privata, a fronte di una incidenza di infezioni ospedaliere, di patologie respiratorie dovute a fattori climatici combinati con smog e fumi industriali.

Ultimamente ha confermato questa ipotesi, quella di una malattia che dà una mano alla lotta di classe di chi ha e vuole di più contro chi non ha, anche la ricostruzione di un identikit del disertore, del disobbediente che danneggia gli altri dotati di senso civico, dell’eretico che trae soddisfazione dalla provocazione, dall’oltraggio della religione della scienza, dalla blasfemia che irride i dogmi proferiti dai suoi sacerdoti: e difatti si tratta di ignoranti di basso ceto,   di marginali che si esaltano con lo sberleffo e lo sfregio dei sani principi che regolano le relazioni nel nostro “consorzio civile”, e ai quali è lecito opporre la ragionevolezza pensosa e riflessiva di un Claudio Amendola contro Agamben, di un Burioni contro Montagnier.

E d’altra parte era prevedibile  che i tempi della persuasione morale sarebbero finiti, che grazie alla pressione univoca di autorità e comunità di benpensanti, con l’ausilio delle forze armate, della Chiesa che nella sua più alta carica elogia la poderosa organizzazione assistenziale del paese ospite, la coercizione e l’obbligatorietà delle imposizioni si sarebbero fatte strada.

Qualcuno si era fidato che ci fosse ancora qualche istituzione propensa a concedere spazi di autodeterminazione ai cittadini: quando cominciarono a dare forma all’ipotesi di un green pass europeo, il Consiglio d’Europa approvò una risoluzione “contenente indicazioni relative alla distribuzione e alla somministrazione dei vaccini contro il COVID-19, prendendone in considerazione i risvolti pratici ed etici e fornendo agli Stati linee guida e principi da seguire per una campagna vaccinale efficiente, efficace, equa e su base volontaria”, invitando governi e autorità a una corretta campagna di informazione, soprattutto relativa alla non obbligatorietà del vaccino, alla sua sicurezza e ai possibili effetti indesiderati, in modo da assicurare una scelta consapevole e libera, senza alcuna forma di discriminazione o svantaggio per coloro che decideranno di non sottoporsi al vaccino, sottolineando che eventuali certificazioni vaccinali dovrebbero avere solo lo scopo di monitoraggio.

E’ che come al solito i brandelli di sovranità sono optional delegati a organismi impotenti o rinunciatari, Parlamento, Consiglio, che raccomandano “non vincolando” e la cui inesistente facoltà decisionale e lo scarso potenziale sociale  e culturale vengono esaltati soltanto quando può incidere per la demolizione di quegli edifici di valori e principi contenuti in carte costituzionali malviste perché nate da resistenze nazionali di popoli che pretendevano libertà e autonomia, condannando i totalitarismi del passato per dare impunità a quello del presente.