Anna Lombroso per il Simplicissimus

È ormai una banalità dire che le famiglie sono chiamate ad esercitare un potere sostitutivo dello stato sociale, dei servizi di assistenza e cura, e che sono anche incaricate di trasmettere valori e principi, purché siano in linea con l’ideologia corrente e che la scuola trascura impegnata com’è a imporre i paradigmi aziendali e del marketing assurti a leggi naturali per la promozione del capitale umano.

E difatti si pretende che dove non arriva la teologia del politicamente corretto e, domani, dove non potrà arrischiarsi il ddl Zan, ci debbano pensare papà e mammà a  integrare nel nucleo domestico il “trasgressore”, comprenderlo, tutelarlo quando i suoi comportamenti e le sue inclinazioni possono diventare oggetto di scherno o emarginazione, superando la vergogna che accompagna chi assume un atteggiamento o mostra di avere un’opinione e convinzioni  difformi dalla maggioranza.

Inutile dire che la tolleranza e la comprensione di solito  si applicano più facilmente dentro la Rolls  Royce (non una semplice Mercedes), ai Parioli e a via del Vivaio, se il congiunto è affermato stilista o attrice affermata, come accade con tutte le declinazioni del razzismo che addestrano a accogliere con entusiasmo e a “integrare” sceicchi ed emiri dei quali, grazie ai quattrini con cui comprano squadre di calcio, compagnie aeree  e porzioni delle nostre città, non destano preoccupazione il fanatismo religioso e la tradizione patriarcale incompatibili con la nostra civiltà superiore, così inquietanti invece quando vengono coltivati sul pianerottoli del nostro stabile o nella moschea allestita in cantina.

Come sempre fa testo la rivelazione che ebbe Cassius Clay quando, una volta campione del mondo, smise di essere nigger, così come creativi, grandi sarti, registi e scrittori, una volta conquistati la notorietà e il successo hanno finito di essere “froci”, derisi, vilipesi e incompresi. Troppo facile quindi aspettarsi che famiglie, che negli anni hanno sofferto l’erosione di antichi vincoli e patti generazionali, che subiscono nuove e vecchie privazioni capaci di generare conflitti, siano in grado di sopportare che al peso della frustrazione per la perdita di beni e sicurezze si aggiunga l’ostracismo esplicito o silente degli “altri” e siano strutturate per resistere alla cosiddetta euristica del conformismo che convince che è più regolare, sano e conveniente non rompere le righe.

E se è senz’altro vero che il ddl Zan potrebbe colmare dei vuoti – più normativi che morali- quegli spazi cioè lasciati dalle leggi vigenti (e in particolare la legge Mancino) che pur penalizzando severamente comportamenti, che diventano reati, originati da ostilità nei confronti di razze, etnie, nazionalità, religioni, omettono altre motivazioni di genere, di inclinazione e  orientamento sessuale, perfino disabilità, e, per estensione, quelle che generano il bullismo dei ragazzi che crudelmente prendono di mira il ciccione, il brufoloso, quello basso e il rosso di malpelo, è altrettanto vero che non può non destare preoccupazione che venga affidata alla discrezionalità, o sensibilità? del magistrato discernere se la manifestazione di un’idea, una convinzione, costituisca il concreto rischio di atti discriminatori  nei confronti di categorie esposte e vulnerabili, il cui elenco potrebbe di continuo arricchirsi di nuove tipologie.

Il fatto è che il substrato pedagogico, anzi punitivo a fini di redenzione, degli scellerati odiatori che si macchiano di queste colpe e che raccomanda al legislatore di intervenire sulla scuola di Bianchi, sui programmi educativi, sul linguaggio, per una epurazione semantica e morale di contenuti e stilemi offensivi (addirittura circoscrivendo il significato e controllando o addirittura censurando il senso di parole  e formule come sesso biologico, identità di genere, ruoli e  orientamento sessuale), ha il sapore dolciastro di una concessione all’ideologia del politicamente corretto e alla costruzione di una falsa coscienza -quella degli inginocchiati- che dovrebbe obbligatoriamente essere interiorizzata da tutti per legittimare ogni contesto dell’ordine sociale esistente, più che l’impeto apocalittico di una rivoluzione culturale e etica.

Inutile dire che tutto questo fa parte di un processo orchestrato dall’alto che ha fatto dei diritti conquistati o legittimamente pretesi, delle premialità elargite in sostituzione di principi fondamentali che pensavamo inalienabili e che ci sono stati sottratti, in nome di svariate necessità, fino a diventare dei privilegi che si meritano, vuoi per nascita, appartenenza, fidelizzazione all’ideologia mainstream.

E quindi si è fatta strada anche la convinzione che sia altrettanto necessario meritarsi  comprensione, tolleranza e  perfino la carità, valido succedaneo della solidarietà, attraverso l’esibizione della raccolta punti che confermano fedeltà e obbedienza alle regole da parte di  quelli che prima erano considerati irregolari se non trasgressivi, magari tramite matrimoni in bianco, lista nozze e affitto dei requisiti della genitorialità, in modo da dimostrare di essere idonei all’ingresso nel consorzio civile.

Fa testo il caso   di Malika Chalhy, cacciata di casa dai genitori dopo la sua pubblica dichiarazione di omosessualità e oggetto, da perfetta eroina contemporanea,  di una compassionevole raccolta fondi e di una campagna di sostegno umanitario che non avrebbe ricevuto in veste di giovane senza reddito, senza posto, senza autonomia, con dei famigliari che brontolano perché non si dà da fare e non si trova un lavoro magari da rider contribuendo alle spese di casa.

Ma il peggio è che, oh scandalo, ha speso l’elemosina non per collaborare alla ripresa, come fanno quelli che aspirano al Recovery Fund, per formarsi in qualità di capitale umano, macchè, la sventurata ha pensato di coronare i suoi meschini sogni di ventenne incistata nell’illusione consumista,  per comprarsi una Mercedes e, pare,  un cagnetto d’allevamento.

Apriti cielo. Gente che ha consegnato sudati risparmi ai sms pro terremotati dei quali non si consocerà mai la destinazione, che ogni anno elargisce il suo otto per mille a chiese che non pagano le tasse e non si sottopongono ai nostri tribunali, il suo cinque per mille a ong che li usa per tenere in piedi l’onerosa struttura e l’autopropaganda, l’ha sottoposta a un violento anatema, tanto che puntigliose associazioni consumeriste hanno ritenuto dovesse essere addirittura indagata, facendo autocritica delle accuse mosse all’indegna famiglia cui è venuto il momento di riservare comprensione. Eh si, perché magari l’atteggiamento severo e repressivo potrebbe essere stato motivato dall’indole dissipata della ragazza, la sua scarsa inclinazione per la fatica, le sue abitudini promiscue, tollerabili solo in altre tipologie di indolenti mammoni, di pigri choosy, che, oltre alla origine benestante, possono esibire il patentino di eterosessualità.

Insomma, ammettiamolo, chi è “diverso” per essere accettato deve poter contare su una buona rendita, su un talento artistico eccezionale, ma soprattutto su virtù a prova di verifica, “diverse” e superiori, pena la condanna da parte di caritatevoli che li accettano solo previa ostensione dei meriti e del buon fine cui è andato l’obolo, in modo che destra e sinistra siano rassicurate che è servito alla riabilitazione, all’edificazione, alla penitenza.