Anna Lombroso per il Simplicissimus

Come denunciamo furiosamente e tenacemente da mesi su questo blog, non passa giorno che vengano somministrate dosi di incitamento alla vaccinazione. Hanno cominciato con la persuasione morale, destinata a convincere che si trattasse di un adempimento, anzi un diritto dovere da compiere per virtù civica e senso di responsabilità esercitato per se stessi e gli altri, tanto che il “io mi vaccino” sul profilo è stato inteso come messaggio ad elevato valore etico, civile e perfino politico a contrastare la vigliacca ignoranza delle destre terrapiattiste.

Poi, una volta accertato che l’unica verità accertata grazie alle sperimentazioni consisteva nel non avere certezze: non si hanno dati certi sulla durata dell’immunità, sull’efficacia, limitata a ridurre gli effetti più cruenti del Covid, tantomeno sulla pretesa di non contagiare gli altri e di non essere contagiati una volta assunto il preparato prodigioso, il messaggio è stato retrocesso da diritto e dovere morale a legittima rivendicazione di poter riprendere la vita “normale”, sia pure con mascherine, distanziamento, regole e restrizioni, del prima, con spostamenti, pizzeria, gite e vacanze.

L’arrivo del grande demiurgo con tanto di gradi superiori  dell’esercito in alta uniforme ma senza mascherina, anche per andare  all’apericena,  ha arricchito il repertorio degli strumenti di propaganda e persuasione. E ci credo, non c’era tempo da perdere, il carro del tempo di Confindustria incalzava, si avvicinavano le scadenze per adempiere agli obblighi imposti dal racket europeo per accedere alle opportunità offerte  dagli usurai, non si poteva, sia pure in qualità di espressione geografica commissariata, perdere il treno del nuovo fronte di dominio geopolitico, le vaccinazioni, come ha avuto modo di dire il vertice della Fed  entusiasta per quella che ha definito “la ripresa economica americana che sta guidando quella mondiale”, forte di aver inoculato ai suoi cittadini 118 milioni di dosi, una performance che i paesi satelliti dovrebbero imitare.

Insomma non è esagerato prevedere che il colonialismo interno e esterno attuato così possa sostituire gran parte della fornitura di armi e probabilmente delle azioni di occupazione e sfruttamento di paesi terzi o di aree in ritardo delle stesse nazioni, dando luogo a un modello imperialistico che qualcuno definisce soft anche se la pressione economica, sociale e culturale esercitata per persuadere, ricattare, impaurire è violentissima, permettendo alle nazioni che hanno sviluppato vaccini anti Covid-19 e che li producono di trovarsi  nell’invidiabile condizione di monopolio per assumere un ruolo strategico anche in contesti finora impenetrabili.

E questo spiega il riaccendersi delle ostilità nei confronti del blocco russo cinese e della loro non occasionale armonia, la preoccupazione euroatlantica ( ad esempio, il superfluo  Parlamento europeo ha simbolicamente congelato la ratifica dell’Accordo Ue-Cina sugli investimenti, siglato in dicembre dalla Commissione europea dopo sette anni di trattative) che teme le minacce al brand vaccinale se come ha si legge in una proiezione dell’Eurasia Group ripresa dalla stampa americana “vaccinare le nazioni a basso e medio reddito potrebbe procurare almeno 153 miliardi di dollari per gli Stati Uniti”.

Questo spiega l’entusiasmo per la non casuale correlazione di causa effetto tra vaccini e crescita che avrebbe generato un inatteso rimbalzo dell’economia italiana. Molti indicatori – gorgheggiano euforici i commentatori del Corriere della Sera –   sottolineano “come l’abbinata vaccini-ottimismo sia reale e faccia da preludio a un aumento della domanda più che vivace anche nei settori dei servizi, colpiti da trimestri di restrizioni sanitarie”.

Nell’insieme quindi gli analisti e la stampa internazionale parlano “di un’economia che in Italia sembra viaggiare meglio dei Paesi partner, a cominciare dalla Francia che era attesa a una crescita del Pil dello 0,4% nel primo trimestre ’21 e invece ha fatto segnare -0,1%”, grazie, inutile dirlo, al tandem Draghi-Figliuolo, celebrati dalla  Commissione europea che si è espressa sul sentiment italiano che farebbe registrare  “un rialzo di 11 punti rispetto al mese precedente, l’incremento mensile più rapido di tutte le economie dell’eurozona e la migliore performance dell’Italia dal 2000”. Renato Brunetta, proclama che dopo il via libera al decreto Semplificazioni è alle porte un “nuovo boom economico”, e se la perfida Albione piange per via della variante indiana, i nostri “esperti” assicurano che i casi letali e le ospedalizzazioni saranno sempre di meno grazie ai vaccini e che la ripresa è assicurata anche grazie, è invece Repubblica che lo sottolinea, alla politica estera di Draghi  tesa “a rivitalizzare una nuova stagione di multilateralismo, coltivato soprattutto grazie all’intesa con Biden e Macron“.

E come non esultare per quello che scrive il Financial Times secondo il quale “gli annunci di lavoro sul sito web Indeed hanno raggiunto il livello più alto dall’inizio della pandemia” un dato incoraggiante almeno quanto  le prenotazioni a metà maggio di alloggi in affitto a breve termine al massimo dalla scorsa estate, e  i dati sulla mobilità di Google per le visite ai negozi retail e ai luoghi di intrattenimento in Italia, superiori rispetto agli altri Paesi dell’euro.

Vedete che scherzi fa la percezione che rifiuta di farci vedere che c’è una dinamica economia sotterranea che prospera, che va al salone nautico di Venezia, che prenota relais e hotel de charme, mentre noi musoni impenitenti vogliamo condannarvi a guardare le serrande tirate giù in tutte le strade della Capitale, delle città d’arte, dei borghi che il ministro Franceschini sognava di destinare a albergo diffuso,  le file alla mensa della Caritas, le case coi cartelli “vendesi” perché i proprietari non possono far fronte ai mutui.

Con una certa perversa crudeltà, mettiamo in dubbio i dati farlocchi alla pari di quelli erogati in questi mesi sull’andamento pandemico, raccomandando di percorrere la strade con gli innumerevoli esercizi commerciali chiusi per essere stati cannibalizzati dall’egemonia delle multinazionali, favorite dalla politica di concentrazioni che premia la bulimia megalomane dei grandi che divorano i piccoli.

O in attesa degli esiti dello sblocco dei licenziamenti vi suggeriamo di leggervi le note dell’Organizzazione internazionale del Lavoro che stimano all’8,8% la perdita delle ore lavorate a livello globale nel 2020, pari a 255 milioni di posti di lavoro a tempo pieno (calcolati su una settimana lavorativa di 48 ore), con una perdita quattro volte superiore a quella registrata nella crisi del 2009 e pari a 3.700 miliardi di dollari, corrispondenti al 4,4% del Pil globale.

Eh si, perché non abbiamo ancora visto niente dell’infermo che preparano per noi  con la ristrutturazione del capitalismo avviata grazie al fertile uso della pandemia che prevede come criterio ispiratore la selezione, delle imprese redditizie, delle attività lucrose, del Welfare privato fruttifero, dell’istruzione vantaggiosa per obbedire e produrre, del capitale umano sfruttabile e remunerativo.