Anna Lombroso per il Simplicissimus

Sono tredici le vittime dell’incidente avvenuto questa mattina lungo la linea della funivia Stresa-Alpino Mottarone,  rimessa in funzione dal 24 aprile.

La fune dell’impianto avrebbe ceduto quasi in vetta (a 100 metri prima dell’ultimo pilone) in uno dei punti più alti, la cabina con 15 persone a bordo è precipitata, sbalzando fuori i passeggeri. Finora pare che le vittime siano 13,  due bambini in gravi condizioni sono stati trasportati con l’elicottero all’ospedale Regina Margherita di Torino e tutte le strade che portano in vetta sono state chiuse per permettere ai soccorsi di intervenire più celermente.

Inaugurata nel 1970 dopo tre anni di lavori, la funivia, che collega in due tronchi il “Lido” di Stresa, di fronte all’Isola Bella, al Mottarone, la montagna che sorge tra il Lago Maggiore e il Lago d’Orta, è frequentatissima durante la stagione invernale dagli sciatori e d’estate da chi vuol godere un panorama annoverato dalle guide turistiche come uno dei più belli al mondo.

Tra il 2014 e il 2016 l’impianto era stato chiuso e la ditta Leitner di Vipiteno aveva effettuato lavori di manutenzione straordinaria, tra cui la sostituzione dei motori, dei quadri elettrici, dell’apparato elettronico, dei trasformatori, con una spesa complessiva di quattro milioni, ed effettuando il collaudo.

Le cronache in tempo reale, insieme al cordoglio corale delle autorità, sono prodighe di informazioni sulla storia dell’opera che sostituì una vecchia cremagliera messa a riposo nei primi anni ’60. Invece non ci aggiornano sull’ente di gestione, che si suppone sia la società gestore della Ferrovia del Mottarone, e nemmeno sull’impresa incaricata delle verifiche e dei controlli ordinari, forse la stessa Leitner di Vipiteno?

E’ sicuro che sarà oggetto di deplorazione chi oggi si interroga sul perché a fronte dell’onnipotenza astratta che ci regala il progresso, una famiglia di gitanti vada incontro alla morte perché si spezza una fune, aggiungendo questo caso a decine di altri che non sono stati abbastanza esemplari da impedirne il ripetersi:   nel 1972  la cabina di una teleferica precipita a Betten-Bettmeralp, nelle Alpi svizzere, 13 morti; 11 morti  a Champoluc (Valle d’Aosta) nel 1983 per la caduta di tre cabine di ovovia, tanto per restare vicini. E come dimenticare quel 9 marzo 1976, quando nei pressi di Cavalese (Trentino) precipita una cabina della funivia del Cermis provocando 20 morti attribuibili alle acrobazie di un aereo militare statunitense, che volando a una quota inferiore a quanto concesso e in violazione dei regolamenti, trancia il cavo.

Ormai tutto deve favorire la rimozione delle cause di incidenti, dei moventi di delitti, delle responsabilità pubbliche e private, grazie all’osservanza di lunghi periodi di elaborazione del lutto, che scaraventano le notizie dal titolo di apertura alle brevi in cronaca. Il bon ton permette l’oblio che fa dimenticare le colpe, le inosservanze, le leggerezze di “fattori umani”, tecnici addetti ai controlli e alla vigilanza, promossi commissari della realizzazione di infrastrutture di primaria importanze, aziende superpagate per effettuare la manutenzione ordinaria e straordinaria di grani opere, che risparmiano come formichine  sulle risorse causando morti e danni incalcolabili, che vengono graziate con il rinnovo del prestigioso incarico.

Una vecchia leggenda narrava che le grandi opere, dighe, strade, impianti, realizzate dalle nostre imprese nei Paesi del Terzo Mondo erano destinate a andare subito in rovina, a diventare meste cattedrali nel deserto e monumenti di archeologia industriale perché quei selvaggi non erano in gradi di garantire la manutenzione, che speculatori locali mischiavano la farina al cemento, usavano materiali di scarto e risparmiavano sulla manodopera inesperta.

Vuoi vedere che insieme al knowhow e alla pratica ci corruzione nella quale siamo maestri indiscussi, eravamo proprio noi a trasferire quelle cattive abitudini, quella colpevole trasandatezza, quella criminale trascuratezza che applichiamo a ponti, funivie, dighe e pure alle rovine di Pompei, ai Lungarni, alla Laguna di Venezia?

E vuoi vedere che quella inclinazione al profittevole menefreghismo delle conseguenze pubbliche per favorire interessi privati, sarà favorita dai capisaldi della ricostruzione, quella semplificazione (ne ho scritto oggi qui: https://ilsimplicissimus2.com/2021/05/23/semplificazioni-non-ce-quarantena-per-le-cosche/ )  che demolisce definitivamente l’edificio della vigilanza, della partecipazione ai processi decisionali e  della trasparenza?