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L’imperialismo della cattiva coscienza

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Prendetela pure come una provocazione, ma non ci fosse Israele avrebbero dovuto dovrebbero inventarlo a beneficio delle vere o false coscienze.

Prima come bene rifugio al riparo da accuse di correità  del secolo breve, poi  come investimento poco oneroso  di un antiimperialismo annacquato che sanziona i pompelmi, ma non la coca cola, l’avocado e non il cheese burgher, i jeans Levi’s ma, per carità, non Netflix o Amazon che vi hanno aiutato a tirare avanti durante la resilienza sul sofà, offrendo l’opportunità a certi avanzi di sinistra di convincersi che l’europeismo sia emendabile, e perfino che la civiltà occidentale sia l’unica davvero compatibile con la democrazia che stavano contribuendo a cancellare in nome della necessità.

Eh si, viene offerta l’occasione facile facile di denunciare il tallone di ferro dello  stato canaglia mediorientale, e come non si potrebbe, dandogli una patente di ferocia come evidente carattere antropologico, come codice genetico, Golia invincibile contro nuovi Davide altrettanto semiti, mettendo in ombra il burattinaio che ci vuole né più né meno gregari e dipendenti, vittime e scudi umani, che tolleriamo ci installi le sue basi in casa, testi le sue armi micidiali di fianco allo stabilimento  balneare o il giardinetto pubblico vista mare.

E non sottovalutiamo il comfort di condannare uno stato confessionale che esercita la sua ferocia con la kippah, noi, legittimati da comuni radici cristiane che ci consentono di  riservare indulgenza a un clero che non paga le tasse e non si sottopone ai tribunali  in attesa di quello divino,  di bearsi dei pistolotti umanitari di un pontefice in confidenza coi golpisti patri, contribuendo al finanziamento di cliniche aperte a obiettori a intermittenza, di scuole private e di scuole pubbliche con crocefisso obbligatorio.

E mentre si guarda con sospetto  alla inquietante moschea nel sottoscala incompatibile  con le nostre radici e tradizioni, non preoccupa, come al solito, l’occupazione di aree metropolitane, l’acquisto di terreni, hotel, immobili, squadre di calcio di paesi arabi invitati a farci da sponsor, patron e testimonial esportatori del loro rinascimento tramite sfaccendati senatori, gli stessi che da sempre considerano i palestinesi ingombranti pesimorti lagnosi e parassitari, molesto bubbone da far sanguinare altrove con la sua tragedia e la sua collera discordante con la crescita.

Eh si, siamo fatti così, ci dimentichiamo subito la partecipazione diretta  a campagne esportatrici di democrazia e aiuti umanitari gioiosamente promosse da eredi del Pci  con la benedizione di santa madre chiesa che spera sempre di rinverdire i fasti di Mission, ci disinteressiamo, mica si può stare sempre sul pezzo, dell’occupazione militare di geografie africane con truppe e piazze d’armi in combutta con despoti e tiranni sanguinari coi quali sottoscriviamo accordi reiterati e sotto l’egida dell’Europa, cooperiamo  con la kefiah al posto della pashmina con  governi locali per il trasferimento  di knowhow tecnologici e corruttivi e per creare il clima profittevole per scorrerie predatrici.

Sono le premesse per rimuovere l’origine e la causa di esodi e “invasioni” di disperati spinti qui da imprese belliche e rapine, grazie alla vocazione così presente nella nostra autobiografia a non fare i conti con il passato in modo da essere esonerati anche per il presente, delegando l’onere di imparare la lezione della storia  a una identità religiosa e culturale, gli ebrei, e a uno stato, obbligato, come dovremmo invece fare tutti, a non permettere che il torto diventi diritto di infliggerlo a altri.

Non dovrebbe occorrere essere Moni Ovadia e annoverare, come me, famigliari morti in un lager per sentire il dovere dello stesso dolore e della stessa partecipe compassione davanti alle foto dei bambini di Terezin  o di quelli di Gaza, per non condividere l’ideologia artificiale  del “ritorno” che potrebbe dar corso a ineffabili esiti, e basta non essere Letta per sdegnarsi per gli oltre settant’anni di Nabqa, la tragedia palestinese, l’occupazione perpetrata e promossa con metodi violenti di discriminazione e pulizia etnica paragonabili all’apartheid dei bianchi in Sudafrica, grazie al sostegno diretto dell’Occidente euroatlantico che, più che mai in questo contesto, dimostra di non voler riflettere sul suo passato e sulla tragedia vissuta da tutti i popoli, non solo quello ebraico, vittime della macelleria nazifascista, oggi, non a caso, equiparata al comunismo.

Il delitto morale che macchia Israele, quello di trarre giustificazione dall’Olocausto per coprire azioni imperialiste e razziste in nome del diritto all’autodifesa, è motivato sì dal credito che si è guadagnato grazie alla cattiva coscienza di Paese correi, il nostro, per fare un esempio, che dimentica la partecipazione solerte degli italiani alle “imprese” di San’Anna di Stazzema, di Marzabotto, a Fossoli, ma soprattutto dalla necessità politica per l’area euroatlantica di mantenere robusto e bene armato il suo avamposto in Medio Oriente, incaricato di imporre con la forza bruta il loro ordine politico militare,  allo scopo di alimentare  uno stato di perenne belligeranza.

Sono i pregi della memoria a intermittenza che consente a una nazione che ha mandato in giro per il mondo milioni di emigranti, non tutti virtuosi e non tutti  integrati, perlopiù discriminati e offesi, che si sente autorizzato a restituire sbrigativamente l’ingiuria subita e che permette a popoli di pretendere che altri esibiscano referenze credibili di ragione critica, opposizione materiale e morale a  governi iniqui, secondo regole e criteri di giustizia e democrazia che  negano a loro stessi quotidianamente, subendo sfruttamento, speculazione, corruzione, cancellazione di diritti e garanzie, quelle conquiste alle quali ha pensato qualcuno prima di loro, ricordato una volta l’anno in forma commemorativa in modo che non susciti processi imitativi inconciliabili con il necessario assoggettamento agli imperativi della necessità.

A quelli che ogni giorno si dedicano alle querimonie per la latitanza della sinistra e pensano che forse servirebbe una destra che ne materializzi il rientro in campo e in gara,  quelli che si svegliano dal letargo indotto dall’onnipotenza astratta che permette di manifestare su Fb la vicinanza agli oppressi al di là del Mediterraneo, e l’impotenza concreta a non subire in casa censura, repressione, leggi marziali, impoverimento, perdita di dignità, ecco a quelli va ricordato che non è vero che la caduta delle divinità del Male naziste e con lo smascheramento del dispotismo tirannico del socialismo reale,  siano finiti – e sconfitti – i totalitarismi.

Perchè ce n’è uno bello confezionato e pronto, la cui guida, anche se contesa e distribuita nelle varie geografie dello sviluppo dissipato e illimitato, è riconoscibile riconduce ai soliti padroni che non hanno patria o fede se non nel mercato, nell’accumulazione, nel profitto e nello sfruttamento, ai soliti generali, sotto la stessa bandiera, pronti alla stessa guerra, quella degli insaziabili che possiedono tutto ma vogliono sempre di più, dei pochi contro i tanti che prima o poi in tutte le latitudini dovranno finirla di stare sotto la narcosi dell’obbedienza.

 

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