Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è un arguto film francese che aggiorna il personaggio del malato immaginario di Molière, costringendolo a liberarsi dalla sua ipocondria quando per amore si ficca in un sacco di guai globalisti e insalubri: galere del terzo mondo con gavette di cibo immangiabile da dividere con sorci famelici, contatti impuri senza bagno schiuma e disinfettante.

Figuratevi quanto sembra datato adesso che la massa non è più formata da cittadini, ma si divide in potenziali malati e possibili untori i cui bisogno primari, anticipati e promossi dalle major farmaceutiche e dalle autorità politiche, si traducono in un turbine vorticoso di quattrini e di medicine da ingurgitare, spray da inalare, vaccini da farsi iniettare; psicologicamente inutili tra l’altro, perché ogni variante, ogni nuovo allarme, ogni dato fasullo genera incertezze nuove costringendoci a ascoltare dentro di noi sintomi, a ricorrere a rituali profilattici o apotropaici, a incrementare la distanza dagli altri nel timore degli altri, portatori di virus e dunque di morte.

Costretti a stare al servizio del corpo e di chi ci somministra regole e prodotti per mantenerlo sano a caro prezzo in termini di rinunce alla libertà e di erosione di beni e potere di acquisto, si viene sollecitati alla consegna al ceto sacerdotale degli scienziati e dei competenti, piazzisti delle merci e dell’ideologia delle multinazionali, con la  consegna di credere ai loro dogmi e alle loro certezze obbligatorie, malgrado sia ormai evidente il loro ruolo di propagandisti del terrore   e dell’obbedienza.

 La medicina ha fatto così tanti progressi che ormai più nessuno è sano, scriveva Aldous Huxley. Ed è ormai banale ripetere che da anni la mission e la responsabilità sociale delle cerchie che circolano e si nutrono dalla greppia dell’industria della salute consistono nel rendere croniche quindi perennemente profittevoli le malattie, di promuoverne altre magari effetto di fertili danni collaterali, in modo che ormai chiunque tema di essere sano a termine, esposto e in continua lotta contro patologie, contaminazioni, olio di palma, allergie, intolleranze, rischi.

L’attenzione è concentrata sulla tutela della sola “nuda vita”, ammesso che si possa chiamare vita una sub-esistenza isolata, impaurita, nella quale i diritti e i piaceri sono esecrati per applicare principi estremi di precauzione, le emozioni si riducono al timore e al rifiuto di una razionalità e di una concretezza che non siano orientate unicamente al contrasto a ipotetiche malattie epidemiche e contagiose, perché i mali del secolo vengono invece trascurati e rimossi: distraggono energie e investimenti da destinare alla religione del vaccino e del farmaco somministrati come sacramenti che salvano in terra e in cielo, premiando il “senso civico” e la responsabilità personale e collettiva.

E dire che dovrebbe essere chiaro che quella che sbrigativamente  viene definita la biopolitica, altro non è che una declinazione del totalitarismo da impiegare fruttuosamente quando altre forme di dominio si sono mostrate insufficienti. Eppure a denunciarne gli effetti pare non ci sia più un pensiero critico, ormai deriso, denigrato e ridotto  alla condanna del “negativismo”, a eresia irragionevole, a fermento periferici della società e sussulti anti sistemici  primitivi che non vogliono persuadersi del fatto che non esiste alternativa allo status quo. E a riprova dell’incapacità di distinguere fra giusto e sbagliato viene affidata la scelta tra giusto e ingiusto e tra legittimo e illegittimo all’ipertatuato influencer sponsorizzato da Amazon, multinazionale il testa alla graduatorie dello sfruttamento dei dipendenti e della clientela che contribuisce al business offrendo i suoi dati, osannato dal progressismo neo liberista in cerca di un nemico che ne confermi l’identità di antagonista in vita.

Ormai vige la condanna non solo dell’opposizioni, ma delle opposizioni, osteggiate e deplorate perché potrebbero assumere il carattere di discriminazioni offensive della civiltà, in modo da annullare con l’alibi del contrasto alle discriminazioni, ogni possibile conflittualità che potrebbe manifestarsi nella forma di lotta di classe.

Non si può che intendere così la vigile attesa esercitata nei confronti di Draghi, dopo il sostegno scalmanato al governo Conte, la fiducia scriteriata nelle magnifiche sorti del recovery, l’atto di fede post illuminista nei confronti della Scienza di alcuni attrezzi venerabili della sinistra d’un tempo, da Castellina a Cremaschi, supporter entusiasti dell’Io mi vaccino, sponsor galvanizzati della necessità di anteporre la sanità del corpo a quella mentale minacciata dall’egemonia del terrore combinato col pensiero unico.

Si capisce che costituiscono ancora un flebile faro per la navigazione in rete e nella realtà di un ceto che trasforma la conservazione del fisico in conservazione di valori e principi di “superiorità”, la loro, sociale, culturale e quindi morale, che autorizza alla schizzinosa diffamazione di intere categorie abbandonate e colpite che si consegnano agli unici disposti a sfilare con loro, all’acquiescenza al dogma che attribuisce le colpe di ogni disastro alla collettività e la lode per i rari successi a chi governa, allo stesso modo in cui i danni e il loro risarcimento vengono socializzati e i benefici privatizzati.

Ormai, il caso di Podemos è emblematico, opinionisti, filosofi pret à porter, cascami dei partiti della ‘nuova sinistra’ anticomunista degli anni ’70, aspiranti a una poltroncina in fìpirma file nelle larghe intese, quotidiani che abusano della vecchia testatina tradita, sono disinteressati al consenso in termini elettorali, vista la sospensione delle regole e dei riti democratici: non solo antipopulisti ma dichiaratamente antipopolari, posseduti dall’ideologia neoliberista e colonizzati dai suoi principi riducono la loro relazione con la massa alla pedagogia del conformismo e dell’obbedienza, dichiarano la insindacabile obbligatorietà di assoggettarsi a leggi visibilmente ingiuste e discriminatrici, predicano al bellezza della rinuncia alla sovranità in nome di una “appartenenza” umanitaria transnazionale che dovrebbe rimpiazzare lo status di cittadino di una nazione, esaltando al tempo stesso valori un tempo in forza alla destra, unità patria, opportunità di soggetti e autorità eccezionali che ci guidino fuori dall’incidente della storia.

Non si tratta di nemmeno di nobili relitti e  sarebbe inappropriato chiamare “compagni che sbagliano”, perché sbagliano di certo, ma compagni non sono più, ammesso che lo siano stati.