Anna Pulizzi per il Simplicissimus

Il 2 maggio di sette anni fa gruppi nazionalisti e neonazisti vicini al nuovo governo ucraino appena installatosi con la forza, penetrarono nella Casa dei Sindacati di Odessa ed uccisero 48 persone che vi si erano rifugiate. Quelli che riuscirono a fuggire dal luogo del massacro vennero linciati in mezzo alla strada, mentre alcuni che si erano nascosti all’interno perirono a causa del rogo che fu appiccato all’edificio e che non fu spento perché ai pompieri venne impedito di intervenire. Tra le vittime una figura divenuta poi emblematica della barbarie neonazista, quella del compagno Vadim Papura (nella foto a sinistra)  non ancora diciottenne, che regge con fierezza la sua bandiera rossa. Le immagini della strage sono tristemente note e ci parlano di persone bruciate o soffocate dal fumo, mentre non sono mancate cose ancora più raccapriccianti come corpi mutilati ed una donna incinta strangolata con un cavo del telefono. Tra l’altro, come se questo potesse fare qualche differenza, non tutti quelli che al momento si trovavano nel palazzo erano sostenitori del governo in carica e molti erano lì solo per questioni burocratiche o di lavoro.

Naturalmente il pogrom (genere nel quale l’Ucraina vanta tristi primati) aveva infastidito parecchio la stampa occidentale, dal momento che diventava difficile tacere o camuffare le notizie su un orrore di tali dimensioni. Però ci aveva provato ugualmente e con impegno, ricorrendo al noto strumento della cortina fumogena, ovvero spargendo dubbi ad arte circa le responsabilità, anche se ciò che stava accadendo era chiarissimo fin dai primi momenti. Ad esempio, scorrendo il Corriere il giorno successivo, così si poteva leggere: “38 persone sono morte in un incendio scoppiato nella città ucraina di Odessa e legato ai disordini tra manifestanti filo russi e sostenitori del governo di Kiev” Oppure Repubblica, ancora più vittima del dubbio: “È di almeno 38 morti il bilancio delle vittime degli scontri tra separatisti e lealisti a Odessa, città portuale ucraina sul Mar Nero. Uno di loro è stato colpito da un proiettile, mentre per quel che riguarda gli altri non si conosce la causa della loro morte”. Ma il premio Goebbels della giornata andava sicuramente a L’Unità, che così commentava: “Un numero consistente di persone ha perso la vita nell’incendio della sede dei sindacati, messa a fuoco dai separatisti filorussi”. Direttore del quotidiano fondato da Gramsci era in quel momento tale Luca Landò, già autore de “Il Moro tradito”, che non tratta affatto di ciò che state pensando bensì della mancata vittoria della barca a vela di Raul Gardini (‘Il Moro di Venezia’) all’America’s Cup del ‘92. Quindi nei giorni successivi, mentre diventava sempre più complicato mentire sugli artefici della carneficina e gli articoli si rimpicciolivano scivolando nelle pagine interne dei quotidiani, veniva perlopiù sottolineata la carenza nelle indagini da parte del ministero degli Interni locale, lasciando che regnasse l’incertezza sull’accaduto. E dov’erano tutti gli eurocrati che oggi si sbracciano per la libertà in casa d’altri, o per le sorti del razzista Navalny?

Ovviamente né nei giorni della strage e nemmeno dopo si sono udite parole indignate da parte del Sassoli (c’era, c’era, era vicepresidente dell’europarlamento, subito sotto ‘kapò’ Schulz e Tajani, quello che voleva riconoscere il puttaniere Guaidò presidente del Venezuela). Nemmeno una ciocca si è agitata per lo sdegno nella chioma della caritatevole Boldrini, presidente della Camera, che poi in tale veste accoglieva e stringeva la mano al suo omologo ucraino Andrij Parubij, quello che nel suo paese aveva fondato un partito chiaramente fascista ed ha esaltato a più riprese Hitler. E dov’era l’instancabile Bonino, vessillifera d’ogni diritto calpestato? Beh, aveva appena finito di prendersela con le violenze del ‘regime’ ucraino (non quello neonazista eh! Quello di Yanukovich che era stato appena rovesciato). D’altra parte lei ed il suo partito si faranno ancora sentire, sempre a proposito di Ucraina, ma per chiedere la liberazione di Vitaly Markiv, assiduo frequentatore di gruppi neonazisti e già condannato per aver ucciso i giornalisti Rocchelli e Mironov.

Non si può certo fare un elenco completo dei figuri politici e istituzionali che si indignano a comando e solo nella direzione indicata da chi riempie loro la greppia, né quello degli imbrattacarte arruolati dalla propaganda di regime per la febbrile produzione quotidiana di fandonie. Dai giorni del golpe (finanziato dagli Usa con circa 5 miliardi di dollari) il Fondo monetario e la Ue non hanno mai cessato di sostenere il regime di Kiev con valanghe di quattrini, con armi, con l’addestramento delle sue milizie di tagliagole. Quando paghiamo le imposte o ci facciamo rilasciare lo scontrino per una consumazione, una parte di quei soldi vanno a sostenere un truculento regime filonazista. Che a questo punto, come si sarà capito, non si è insediato solo in Ucraina.