Infatti secondo quanto si apprende l’assassinio di Lukashenko sarebbe stata solo una parte del piano che prevedeva anche un golpe militare con l’occupazione di centri radiofonici e televisivi da cui lanciare appelli e proclami, nonché un arresto del sistema elettrico del Paese per non permettere alle forze di polizia e al grosso delle forze armate di ristabilire l’ordine. Il piano però è stato sventato dai servizi segreti russi, allertati da Minsk perché in realtà parte degli incontri tra i golpisti si sono svolti, oltre che negli Stati Uniti e in Polonia, a Mosca per non dare troppo nell’occhio: ma lì sono statai arrestati dopo essere stati intercettati e aver rivelato le intenzioni di uccidere il leader bielorusso. Si tratta del politologo Alexander Feduta, inizialmente fedelissimo di Lukashenko, ma poi divenuto suo nemico a causa della scarsa carriera fatta e che negli anni scorsi era stato accusato dal giornale per il quale lavorava di passare sottobanco materiali ad alcuni quotidiani americani, del leader del partito di estrema destra “Fronte popolare” Kostusev e dell’avvocato Yuri Zenkovich con doppia nazionalità, russa e statunitense. Insomma sono presenti tutti gli ingredienti tipici del golpismo per conto terzi. Ma la cosa che mi ha spinto a dare rilievo a questa vicenda è il fatto che nei giorni scorsi Putin, durante una conversazione telefonica con Biden, avesse sollevato la questione del tentativo di assassinio del presidente bielorusso e dei sui figli, chiedendone conto ma che l’inquilino della Casa Bianca non abbia risposto e non si sia nemmeno dato pena di smentire. Ecco chi è il vero assassino, un’accusa lanciata al leader russo, ma che in realtà rivela la natura di Biden che per la verità di vite sulla coscienza ne ha a decine di migliaia a partire dalla Colombia, passando attraverso l’Afganistan e approdando in Siria e Ucraina.