Anna Lombroso per il Simplicissimus

La filosofa  Martha Nussbaum ha scelto il termine nausea per definire quell’istintivo sentimento di ripulsa che “tutti” nutrono nei confronti di chi è diverso, attribuendolo anche a chi vanta appartenenze militanti al progressismo laico e tollerante, che non sarebbe esente da una recondita riprovazione per inclinazioni, abitudini, tratti somatici, afrori, di altre etnie o soggetti  “difformi” che potrebbero costituire un rischio per le convenzioni e l’equilibrio sociale.

Dalla Nussbaum,  americana, non si può pretendere troppo anche se è lodevole l’intento di denunciare, storia alla mano, i danni del puritanesimo combinato con l’ideologia della political correctness, praticata soprattutto da quelli che è ancora legittimo chiamare radical chic. E quindi sottovaluta non sorprendentemente l’aspetto classista che assume la “nausea”.

E difatti non solo Cassius Clay scoprì di non essere più “negro” quando divenne campione, ma  i “froci” restano tali a dispetto di Zan, se non sono stilisti, cantanti, attori e coiffeur prestigiosi, e invece vivono doppiamente marginali in squallide periferie dove l’omofobia è un merito e una consuetudine proprio come lo è per Berlusconi, che fece scuola con una sua massima diventata proverbiale.

Ecco per estensione, dopo i “tumulti” e i “tafferugli” – così sono stati definiti dalla stampa che ripropone questi desueti stilemi quando in piazza non sfilano le madamin, bensì la “marmaglia” –  delle categorie sofferenti a causa dell’insana gestione dell’emergenza, possiamo dire che Cracco resta chef, mentre i biechi addetti alla ristorazione, proprietari, cuochi, lavapiatti, pizzaioli e camerieri in crisi nera sono innegabilmente fascistoidi evasori che non meritano solidarietà, mentre la esige l’elegante antiquario che ogni tanto va a procurarsi merce e a rivenderla a caro prezzo nei mercatini dell’antiquariato,ancora celebrato come custode della creatività patria e non assimilabile ai miserabili ambulanti che berciano davanti a Palazzo Chigi, rei di non avervi dato lo scontrino della patacca che sareste pronti a pagare cento volte di più e senza ricevuta a Via del Babuino.

Guai a voi se lo fate presente, perché con la corte dei miracoli brutta sporca e cattiva che ha sfilato in questi giorni nelle città spettrali con le serrande tirate giù, le vetrine impolverato col cartello della vendita giudiziaria, si è visto manifestare qualcuno, anzi gli unici, che ormai è lecito chiamare “fascisti”, risultato recente cisto che si tratta degli stessi cui il fondatore del Pd aveva concesso in comodato una sede prestigiosa, gli stessi che per anni sono stati invitati in costruttivi contraddittorii a seminari e tavole rotonde nelle feste dell’Unità, in tutto omogenei con la forza che secondo autorevoli politologi dovrebbe costruire la nuova destra di cui abbiamo bisogno.

E se ci sono loro è lecito allora astenersi, magari con le dovute cautele solidarizzare da casa, avendo da tempo anticipato le modalità dello Smartworking e dalla Dad con la militanza “agile”.

Tanto è vero che non solo non si è in presenza alle manifestazioni con mascherina dove possono materializzarsi Sgarbi o Montesano, ma quando vanno in piazza restano in quattro gatti i no-Triv invisi ai presidenti di regione che vogliono rivedere le autorizzazioni per non perdere qualche opportunità di sviluppo, le associazioni e i cittadini  che da anni combattono contro la militarizzazione dei nostri territori da parte della Nato, alla quale tutte le forze politiche dell’arco costituzionale hanno nuovamente giurato fedeltà, i senzatetto che si moltiplicheranno dopo lo sblocco degli sfratti, e pure i rider e i dipendenti di Amazon, con i quali qualcuno ha solidarizzato rinviando al giorno dopo l’acquisto del cacciavite o l’ordinazione degli springrolls.

In un momento nel quale impera il dominio dei patentini c’è da aspettarsi che qualcuno proponga  che chi protesta si munisca di un lasciapassare di credo e attivismo democratico – requisito di sempre più difficile definizione in vista della sospensione di garanzie, prerogative e diritti compreso quello al voto- che sostituisca il permesso della autorità, con esclusione probabile degli  scioperi e fermenti di quei lavoratori che non si persuadono della fortuna che hanno avuto e che non partecipano e concorrono alla ricostruzione e alla valorizzazione del loro ruolo di “capitale umano”.

Certo sarebbe tutto più facile così, in modo che si realizza compiutamente quel carattere che ormai contraddistingue il progressismo in forza al neoliberismo, che con le masse è pronto a camminare tra passi avanti, cento passi indietro, per non rischiare, ma mai al fianco temendo il contagio di certa gentaglia, la stessa, peraltro, che partecipa fruttuosamente alla tenuta del governo, dove è solo casuale che Sgarbi non sia stato chiamare a fare il sottosegretario ai Beni Culturali, dove continua a dettare le regole del gioco l’energumeno incarnazione del Male più sgangherato e plebeo.

È che regna gran confusione sotto i cieli, volontaria e spontanea, nutrita tra l’altro dalla nausea liberamente concessa quando si è  autorizzati a marchiare di fascisti tutti quelli che sono stati lasciati soli dall’antifascismo pret à porter, quello che proprio non si convince che a volere la Tav non sono solo le cordate dei capitalisti disegnati da Grosz, ma tutte le forze che partecipano del governo e che, tutte, concordemente approvano i capisaldi di cemento del “rilancio” a base di grandi opere infrastrutturali, comprese le alte velocità, ad esclusione dell’unica componente di opposizione, la Meloni, che non si autodichiara fascista solo, lo dice lei, perché è nata tardi.

Come definire questi schizzinosi cinti d’alloro per via della loro pretesa di innocenza che sfida l’integralismo, questi risparmiati per caso dalla falce delle misure emergenziali solo perché dichiaratamente inessenziali e dunque esentati dalla trincea perché, ci siano o non ci siano, poco cambia in vista di un futuro dove le uniche forme di lavoro saranno quelle manuali e servili, se non con la qualifica di culialcaldo,  appartenenti a un ceto moralmente superiore e dunque legittimato a dare pagelle e riconoscimenti non solo dei meritevoli di risarcimenti e aiuti, ma pure della loro veste di vittime, onore riservato solo a chi può esibire certificato di reduce del Covid o la patente “iorestoacasa” di resiliente del lockdown.  

In momenti più favorevoli era possibile riservare loro una certa compassione: presto pagheranno il conto presentato dal lavoro agile, dalla distruzione creativa che farà giustizia di tutte quello che è Piccolo, quindi la maggior parte dell’economia nazionale, per favorire le concentrazioni in un Grande megalomane, bulimico e forestiero, dalla diminuzione del potere d’acquisto, dalla definitiva cancellazione dello Stato sociale insieme allo stato di diritto e allo stato nel suo insieme incaricato solo di fare da elemosiniere a multinazionali avide.

E pagheranno, da soli nelle loro case, se le avranno,  anche quello presentato dalla storia, perché,  hanno creduto che quelli che forti di una tradizione e di un mandato traditi ci hanno svenduti e umiliati, fossero compagni che sbagliano mentre erano camerati che eseguivano scrupolosamente gli ordini del fascismo globale.