Ogni giorno mi convinco che appartengo proprio a un’altra epoca: tutta la mia giovinezza si è svolta in mezzo alle manifestazioni, alle occupazioni e agli scontri: i primi quelli di Valle Giulia esplosero mentre per me incombeva la preparazione della maturità che a quei tempi si svolgeva su tutte le materie e sul programma di tutti i tre anni di liceo, mentre gli ultimi quelli del ’77 a Bologna coincisero con i primi pezzi da giornalista praticante, scritti in gran parte vicino alla sede di Radio Alice: nel mezzo infiniti cortei partecipati o visti o subiti nella breve carriera di assistente volontario alla cattedra di filosofia teoretica. In un mese si viveva quello che chi è nato negli anni ’80 non ha visto in una vita con la sola eccezione dei fatti di Genova che hanno inaugurato il fascismo globalista . Non ero certo una testa calda e nemmeno ero convinto di molte delle idee che giravano in quegli anni meno che meno sull’approdo alla soggettività consumatosi nel settembre del ’77, ma di certo una cosa la sapevo, anzi la sapevamo come generazione: non era possibile ottenere nulla se si accettavano tutte le regole di ingaggio stabilite dal potere. Farlo non significa essere buoni democratici ligi alle regole, ma semplicemente degli sconfitti in anticipo perché chiedere libertà o trasformazioni non può essere fatto chiedendo il permesso a chi non vuole concederle.
Si tratta di una dialettica elementare che tuttavia dopo decenni di indottrinamento all’obbedienza tramite deprivazione sociale e politica, è stata dimenticata: questo non vuol dire che si deve necessariamente arrivare allo scontro, anzi, esso è sempre da evitare nel limite del possibile, ma semplicemente mostrare di non essere legati a regole dettate dall’avversario e questo soprattutto quando lo stato, la politica (e la geografia del potere che lo sostiene) non non sono più sentiti come legittimi, quando il contratto sociale si frantuma e ancor meno quando le leggi fondamentali vengono stravolte e negate in virtù di una presunta emergenza: il potere non può più pretendere di dettare regole che esso stesso ha rinnegato, né reclamare quel monopolio della forza che i cittadini hanno volontariamente ceduto.
Ai miei tempi questo significare non accettare che una manifestazione fosse compressa dentro un percorso, non arrendersi alle sortite poliziesche nelle università o il tentativo di disperdere le manifestazioni, ma oggi è assai più semplice: basta non mettersi da soli la stella gialla di eversori pandemici. Dubito che le decine di manifestazioni che si svolgono con i distanziamenti e con quelle ostentate mascherone sul viso, come museruole che dicono “vedete come siamo ubbidienti alle vostre cazzate ?”, possano ottenere un qualunque scopo: per quale motivo coloro che hanno imposto regole assurde al di fuori di qualsiasi ravvisabile criterio se non quello di imporre simboli di obbedienza , dovrebbero riconsiderare la questione se coloro che protestano sono ligi alla narrazione del potere e a regole di fatto illegali?
Solo quando questa gente scenderà in piazza a viso aperto senza i segnali della sottomissione, come è cominciato a succedere ieri a Roma, allora il potere comincerà a capire di non poter più vivere di rendita pandemica e di cazzate riguardo a miliardi immaginari e magari si appresterà a trattare. E le cazzate sugli estremiste verranno lasciate ai giornaloni servi e stupidi.
Provengo da un’epoca più remota, quella delle contestazioni del ’68, quando, durante un’occupazione della Facoltà di Architettura a Napoli, fummo chiusi dentro in modo definitivo dalla polizia, che obbedendo ai “padroni”, così si chiamavano preside&professori, e senza ascoltare le nostre richieste, per riuscire a tornare a casa, anzichè essere arrestati, fummo accusati di occupazione di suolo pubblico, strascico giudiziario con relativa macchia su fedina penale, decaduta parecchi anni dopo. Le forze dell’ordine in questo paese hanno sempre mantenuto un comportamento fascista immutato. Poi con le donne neanche a farle parlare. Fortuna volle che emigrai a Londra per lavoro, ed in quel momento felice per la musica, almeno là scoprii la solidarietà, la sincerità, la condivisione, e la serietà nel tener fede alle promesse di lavoro.
Ora è tutto così diverso ovunque. Le arti e la fantasia sono state le prime vittime, come sotto ogni regime.
"Mi piace""Mi piace"