Anna Lombroso per il Simplicissimus

Puntuale come la pioggia sul picnic di pasquetta, Galli della Loggia si è esibito nel disegnare la fisionomia della destra che  serve al Paese, forse per non farci rimpiangere l’indimenticato Tubolario, inventato negli anni ’80 da due geni, Marchi  dell’Istituto di Biostatistica ed Epidemiologia dell’Università di Pisa e Morosini, direttore di laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità (che per competenza e scatenata ironia ci servirebbero più che mai di questi tempi), il rullo a segmenti girevoli con i suoi  10 milioni di frasi “assolutamente casuali e gratuite”, luoghi comuni, stereotipi ed altre forme più o meno omologate, che si ripetono nel  chiacchiericcio della politica ormai  simile a quel brusio dei matti in manicomio ben descritto da Foucault.

Prendendo spunto dal “caso” Fratelli d’Italia “accreditati da tempo di una futura avanzata elettorale che potrebbe tradursi domani in un importante ruolo di governo”, l’autore raccomanda al partito della Meloni di “darsi una veste ben più convincente di quella sommaria e prevedibile, sempre tentata da toni d’opposizione a prescindere e talora schiettamente reazionari”.

E come non comprendere il suo tono accorato. Di ben altro ci sarebbe bisogno in Italia che di una destra, cito,  divisa “tra il populismo arrabbiato della Lega e il vaporoso liberalismo di Forza Italia”.  

Pur scoraggiato il nostro si presta però a suggerire a Fratelli d’Italia una strada di redenzione dall’atteggiamento sottomesso di oggi che si manifesta “in una postura difensiva contro le smargiassate dell’antifascismo di professione”, per “aspirare a rappresentare   quella destra conservatrice che nella seconda Repubblica non c’è mai stata…. assai diversa dal passato, quando a essere conservatori erano innanzi tutto le élite sociali e i grandi interessi economici, oggi passati invece in tutt’altro campo”.

Attingendo al tubolario di Galli della Loggia estrapoliamo quello che dovrebbe diventare il pilastrodel melonipensiero, scusate l’ossimoro: “l’anima di una destra conservatrice non potrebbe essere rappresentata oggi che da una forte cultura nazional-istituzionale centrata sulla dimensione dello Stato”, quello Stato strumento principe, in vista di due obiettivi di cui le nostre società sempre più avvertono l’urgenza, “lo sviluppo della coesione e della solidarietà sociali”, unico in possesso del  potere e dell’autorità  necessari a dettare regole limitatrici degli istinti bestiali scatenati dalla globalizzazione.

Insomma depone nelle manine della focosa leader troppo giovane, dice lei,  per poter essere compiutamente fascista, il delicato incarico di farsi depositaria attiva  degli ideali e delle azioni necessarie “per salvare il capitalismo innanzi tutto da se stesso e dalla sua suicida deriva finanziaria,  e i capitalisti dalla pressione dei loro interessi immediati”, dando rinnovato vigore “alla coesione sociale e al principio di solidarietà che ne costituisce il retroterra ideale: cioè i due pilastri di ogni «buona società» e del benessere delle persone”.

Lo so, lo so, tanti dimissionari dalla possibilità di fare la rivoluzione hanno ripiegato sulla speranza che il capitalismo si dia la morte per bulimia, gotta, diabete, insomma per le malattie tipiche dell’eccesso di benessere.

Altrettanti provano la cocente disillusione per la conversione aberrante del riformismo in neoliberalismo “progressista”, “antifascista”, femminista”, che ha infiltrato non solo i valori e l’azione politica, ma anche il pensiero delle élite intellettuali.

Lo so, regna gran confusione sotto i cieli se ancora oggi Berlusconi non è solo a temere il pericolo comunista, quando un succedersi di governi giura fedeltà agli Usa e alla Nato, quando i servizi di un paese si inorgogliscono per aver sventato la cospirazione di uno spione alla canna del gas che vende una ricerca su Google ai russi. E se tale è il marasma che un sacco di gente finge di credere che le stelle polari, le solite tre, della sinistra siano rappresentate in Parlamento da partiti e movimenti che non ne vogliono sapere perché minacciano il godimento esclusivo di miserabili privilegi, che rifiutano i doveri di testimonianza, che le trattano da moleste e arcaiche vestigia incompatibili con la modernità e con le loro ambizioni personali.

Un po’ di tempo fa si cominciò a dire che per essere rivoluzionari bastava essere normali, pagare le tasse, dare e ricevere la fattura, fare il proprio dovere, non servirsi delle scorciatoie del clientelismo e del familismo, insomma non fare come fanno tutti.

Adesso siamo tornati un bel po’ indietro, e quelle semplici “formalità” morali sono molto più velleitarie e visionarie di una insurrezione, die moti di piazza, della presa della Bastiglia, della Comune e perfino dell’assalto ai forni.

Tanto che quando parla di coesione e di solidarietà sociale, anche Galli della Loggia pare Danton, così come Corbyn e Podemos dopo la resa disonorevole del riformismo europeo al neo liberismo, se quello che una volta era illegale, illegittimo e moralmente deplorevole, perché contrastava appunto con ideali di solidarietà, giustizia e uguaglianza, viene promosso e autorizzato a norma di legge, come la corruzione e il malaffare della Grandi opere legittimate in qualità di motore di sviluppo, come il sostegno a precarietà e anomalie contrattuali spacciate come accorgimenti desiderabili per favorire l’occupazione, come la raccomandazione a assumere comportamenti divisivi, discriminatori e vergognosi come la delazione, da quando qualsiasi fenomeno diventa problema di ordine pubblico, dal circolare senza mascherina al manifestare per la difesa della propria attività, da risolvere con la repressione, la censura, leggi eccezionali, trattamenti sanitari obbligatori.

E vista la qualità dei nuovi valori, approvati e promossi grazie all’emergenza, ispirati alla riduzione dei diritti, alla gran parte dei quali è doveroso rinunciare, all’applicazione di uno stato di eccezione lesivo dei principi costituzionali, alla soppressione nemmeno tanto graduale dell’istruzione pubblica, alla inevitabile necessità di porre sotto tutela il Paese, il governo e le istituzioni, pare proprio che di destra ne abbiamo fin troppa, che di sovranismo ce n’è in eccesso se l’ideologia corrente ha persuaso che è fatale rinunciare alle competenze in capo allo Stato, attraverso Parlamento, istituzioni e governi nazionale e locali, per consegnarle a un potere sovranazionale, che il populismo ha avuto il sopravvento proprio nella sua forma tradizionale, quella di una “antipolitica” che esige il ricorso a forme autoritarie, che consiglia l’affermazione di un uomo forte, concentrando i poteri decisionali, esecutivi e amministrativi  nelle mani di una oligarchia dominata da un leader, che di questi tempi, viene selezionato per meriti apparentemente asettici nella cerchia dei “competenti”.

 Che cosa si può immaginare di altrettanto marchiato dai capisaldi della destra, quella vera, del ridimensionamento dello Stato a elemosiniere abilitato a dirottare finanziamenti e risorse a beneficio delle grandi concentrazioni industriali e commerciali, fino a fornire assistenza anche a quelle editoriali ridotte a unica agenzia di informazione di regime, della consegna dei sistemi pubblici erogatori di servizi ai privati, fino a ristabilire il trattamento privilegiato per organizzazioni ecclesiastiche, della riattribuzione al mercato della delega a regolarsi, in modo da incaricarsi di risolvere i problemi che crea, addirittura immaginando mostri giuridici che rappresentano compiutamente il conflitto di interesse, caricandosi di tutto il fare e il disfare, oltre che della vigilanza e del controllo, come prevedono le varie forme di commissariamento ipotizzate per la “ricostruzione”.     

 E cosa c’è di più esemplarmente di destra, anzi di fascista, secondo antiche dizioni mai cadute in disuso, della regressione dell’individuo a capitale umano, più facilmente sfruttabile fin dalla sua definizione, merce che assume valore unicamente in funzione del profitto che se ne ricava, da conferire, una volta concluso il suo ciclo, non appena estinta la sua “essenzialità”, in appositi ricetti/focolai di malattie, in discariche dove raccogliere quello che è diventato superfluo, quando non molesto, perché potrebbe ricordare com’erano la dignità e la libertà.