Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è un filone cinematografico che potremmo chiamare “farmacologico” che riscuote da sempre un grande successo. Esplora  in modalità thriller  intrighi che hanno come teatro laboratori di ricerca e industrie chimiche, altre volte assumono la potenza di vere e proprie denunce, altre ancora, come in Dallas Buyers Club, la trasposizione in film della vita  dell’operaio  Ron Woodroof, che contratto l’HIV nel 1985,  scopre che una proteina impiegata in Messico    allevia i sintomi della malattia senza gli effetti collaterali, tipici invece delle terapie somministrate  negli ospedali americani condizionati dagli interessi  delle case farmaceutiche, o come in Sicko di Michael Moore,  proponendosi come  atti d’accusa nei confronti del cuore nero di un sistema che condanna alla sofferenza e alla morte i poveri, negando loro tutela, assistenza e dignità.

Come è successo con 150 milligrammi, che ruota intorno alla storia di una  pneumologa che abbatte il muro di omertà che protegge gli ingenti e loschi affari di una grande azienda  rivelando la connessione tra numerosi decessi e l’assunzione di un farmaco dimagrante, ma anche con l’italiano Il venditore di medicine, la conversione al malaffare di un informatore   la cui missione consiste nel convincere i medici a prescrivere ai loro pazienti i prodotti della sua azienda con tutti i mezzi di persuasione perlopiù illeciti.

Per non parlare di The Conspiracy con Hopkins nei panni di un manager corrotto di una grande compagnia, o di The Constant Gardener tratto da un romanzo di Le Carrè, che affronta il tema della correità degli apparati governativi ed internazionali incaricati dell’aiuto umanitario nel favorire gli interessi delle multinazionali il cui brand va dalla vendita di medicinali – scaduti, incompatibili, inappropriati –  alla sperimentazione su “campioni” umani di serie B, la cui morte rientra tra gli inevitabili effetti collaterali del Progresso.  

Proprio in questi giorni, una delle serie più seguite su Netflix, è Paranoid, un vero e proprio giallo che segue lo snodarsi di una inchiesta della polizia inglese e tedesca per smascherare un complotto internazionale  nel comparto dei big pharma e degli psicofarmaci. Piace molto al pubblico, ci fa sapere la critica,  perché ha tutti i tratti di una storia “vera e verosimile” dove i cattivi sono perseguiti da antieroi, tenacemente impegnati a ristabilire la verità e la legalità.

Ecco, “vera”, con imprenditori e manager avidi, feroci e cinici, veri e propri cospiratori che lucrano sulla pelle della gente.

Ecco, “verosimile” perché chi non sa che al giorno d’oggi, ma non è una scoperta, la ricerca è un’industria e un business nella mani di multinazionali dedite all’accumulazione e alla moltiplicazione dei profitti sulla pelle della gente? chi non riconosce che alcune patologie non ricevono attenzione, perché colpiscono segmenti di popolazione improduttivi, o che di altre si fa una accurata manutenzione in modo che continuino a rappresentare un brand fertile, mentre di alcuni farmaci non si limitano gli effetti collaterali in modo da mettere in circolazione altri prodotti per “curarli”? E il tutto con la complicità di parte non irrisoria della comunità scientifica, di organismi di vigilanza, di governi e di organi di informazione.

Invece da un anno, per effetto di una comunicazione millenaristica e di una narrazione apocalittica,    tutto quello che si sapeva e si conosceva non si sa e non si conosce più: è diventata una macchia sulla reputazione sollevare il sospetto che case farmaceutiche non abbiano osservato e rispettato i principi basilari di precauzione e sicurezza, nel produrre e mettere in circolazione un preparato che non è stato sottoposto ai doverosi accertamenti su efficacia e controindicazioni, per accaparrarsi il mercato, si viene minacciati di Tso se non ci si vuol prestare a fare da cavie per l’ispiratore del ruolo di Anthony Hopkins, si subisce la deplorazione violenta alla stregua di barbari primitivi se si mette in dubbio il parere di esponenti della cosiddetta comunità scientifica che sparano opinioni contraddittorie, esimendosi da giri in corsia e autopsie e preferendo studi televisivi all’indagine in corpore vili.

Non solo, si viene additati come ridicoli complottisti paranoici se ci si permette di diffidare dello spirito umanitario di benefattori multimiliardari che scoprono la filantropia in vicinanza della dichiarazione dei redditi e che davanti alla possibilità di diversificare i loro interessi scelgono il brand farmaceutico, in coincidenza “casuale” con gli allarmi sollevati di poderose organizzazioni sull’eventualità probabile che la globalizzazione di fenomeni e rischi possa provocare epidemie micidiali.   

E dire che siamo stati tutti vittime di un bel po’ di cospirazioni sulle quali soprassediamo, che rimuoviamo dal nostro curriculum di abitanti del mondo per non fare la brutta figura di chi si è fatto turlupinare dai peracottari. Ma se questo vale per il passato, adesso che siamo nel bel mezzo di qualcosa che ha tutto l’aspetto di una macchinazione che non ha avuto bisogno di pipistrelli o topi vivi per mettere in ginocchio i paese più sprovveduti, non dovremmo svegliarci, smettere di non vedere, non sentire, non dire, preferendo la soggezione fisica e morale?

Ormai non possiamo fare nulla per svelare gli intrighi che hanno portato all’uccisione di Giulio Cesare, non ci è dato di smascherare la trama dei banchieri Pazzi contro i Medici, è vero che sono oggetto di docufilm più che di indagine storica l’incidente del Mar del Tonchino che legittima l’intervento Usa in Vietnam così come l’azione della Cia nella Baia dei Porci,  o gli atti e gli eventi culminati dell’incendio del Reichstag, o la morte dei Kennedy, tutti e due, o per restare in casa, tutto l’impegno dispiegato per coprire scenari di guerra in casa, Ustica, Italicus, Piazza della Loggia, Piazza Fontana, oppure  le trame nascoste dietro la P2 o Gladio, non si dovrebbe essere accusati di paranoia se si fa uno sforzo per andare a vedere cosa si nasconde dietro le verità ufficiali.

E non si dovrebbe essere ridicolizzati come cospirazionisti se si pensa che se un complotto, e non parlo del ridicolo prezzo del tradimento rivelato con orgoglio dai nostri servizi orgogliosi di aver sventato la cospirazione russa,   non nasce come “complotto”, ma perlopiù si materializza in forma di opportunità intorno alla quale ruotano e si coagulano interessi comuni per perseguire un obiettivo condiviso. Il che risponde all’obiezione che viene sollevata più di frequente: possibile che così tanti paesi siano caduti nel tranello della narrazione pandemica con quello che ne consegue?

Possibile eccome se da anni paghiamo una crisi economica largamente sfruttata per ridare al mercato ogni potere regolativo attribuendogli l’autorità e il potere di risolvere i problemi che determina, scontiamo gli effetti della libera circolazione di capitali che ha messo le fondamenta anche ideologiche del totalitarismo  economico e finanziario. E se ancora una volta ci viene imposta l’austerità nella forma aberrante della distruzione creativa, come prezzo doveroso per estinguere il nostro debito nei confronti del futuro diventato una minaccia da quando è nelle mani dello stesso racket che ci taglieggia e ci sta togliendo tutto, motivando che sia “per il nostro bene”.