Anna Lombroso per il Simplicissimus

Noi adesso non ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non vogliamo distruggere. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a questo mondo in guerra ha un nome: si chiama fraternità, si chiama fratellanza”.

La più prestigiosa e autorevole delle sardine, ha anticipato così i contenuti cari al movimento durante la veglia di preghiera  durante la XXXI Giornata mondiale della gioventù di Cracovia nel 2016.  Come osservato in altre occasioni, è proprio il Papa che piace alla gente che piace e già allora recitava uno slogan altre volte ripreso, caro al renzipensiero che interpreta i sogni e le radiose visioni sviluppiste dei Costruttori ammessi al Grande Reset: ”Costruite ponti, non muri”.

Potrebbe proprio essere il motto della ricostruzione in sostituzione di “andrà tutto bene”. E difatti andrà bene per i dissennati cantieri in numero di 58 per opere infrastrutturali, prioritari in un’Italia dove è proibito viaggiare per diporto, accogliere turisti, far circolare mezzi che non siano i furgoni di Amazon, Coop, Glovo, metro e bus carichi di “essenziali”,  tutti sorvegliati e vigilati da altrettanti alti commissari la cui cerchia potrebbe arricchirsi con l’acquisizione degli espulsi senza otto giorni dal CTS, per via dell’accertata perizia nel  riciclare vecchi piani di emergenza e nel  fotocopiare studi previsionali impolverati.

Eh si, perché ci sarà da restituire una nuova giovinezza al ponte che ha occupato da anni e anni l’immaginario di tutti i malaffaristi, delle promesse del comparto della corruzione a norma di legge: il Ponte sullo Stretto, che si ripresenta periodicamente come un piatto indigesto ma ricco di ingredienti: appalti, affidamenti, ritardi, penali, materiali, controlli, consulenze, tutti elencati nelle ricette seguite per il Mose, la Tav, la Pedemontana, il tunnel del Brennero, l’Expo.

Ci aveva provato con strenua tenacia la ministra De Micheli, entusiasta dell’opportunità di spendere a vanvera i quattrini che aveva risparmiato lasciando senza tetto e aziende i terremotati, adesso guida il fronte dei pontieri il guastatore per eccellenza in veste di lobbista, alla testa di un “intergruppo”, lo chiamano così, per il Ponte, una joint venture di italiavivaisti, leghisti e forzisti  coesi “nello spirito unitario che contraddistingue il governo Draghi” e che annovera Faraone, Prestigiacomo, Furgiuele  e Schifani, insieme a meno note ballerine di fila e guitti del cabaret della modernizzazione.

Fonde queste anime belle l’intento programmatico di “dare un sostegno concreto alla ripresa dell’economia in un periodo in cui le idee devono riacquistare valore al di là di ideologie per il buon governo dell’Italia, ripartendo proprio dal cuore del Mediterraneo che, ancora una volta, si rivela fucina di innovazione e ispiratore del progresso”.   

La fucina, per dir la verità, di oro ne aveva forgiato anche quando era sulla carta. Bastavano a fare cassa chili e chili di cartacce pagate a peso, progetti, pareri, valutazioni, ipotesi, consulenze, workshop, facenti capo alla società “stretto di messina” che ha rivelato di essere di manica larga se in 40 anni, dal 1981 (da otto in liquidazione) ha già speso almeno 300 milioni per i 52 dipendenti (costo di sette milioni l’anno ) e l’attività corrente e forse ne dovrà sborsare altri 700 per via del contenzioso in corso con Impregilo, la ex società del gruppo Fiat oggi Eurolink  che   durante il governo Berlusconi aveva vinto il bando per la realizzazione dell’opera più bulimica, allucinata e delirante immaginata dei profeti del cemento.

Perfino l’Espresso di Gedi è stato costretto a pubblicare i dati sul vettovagliamento tra Scilla e Cariddi che ogni giorno mette in tavola 1500 euro riempiendo i piatti del Commissario liquidatore, ex capo di capo di gabinetto del ministro Giulio Tremonti  passato a offrire lo stesso servizio in nome della continuità a  ministri  dei governi Prodi e Monti, che dal 2103 riceve un compenso da 120mila euro l’anno come parte fissa, più 40mila di parte variabile, o della società di revisione dei conti che  ha revisionato  per gli anni 2018, 2019 e 2020 alla modica cifra di 36mila euro l’uno.

L’Anas, l’Autorità anticorruzione che potrebbe ragionevolmente prendersi in carico la chiusura dello sfarzoso baraccone, si è preoccupata finora delle varie e eventuali, voci minori, abbonamenti a banche dati e a giornali fiancheggiatori, in attesa che il mostro sorga dalle acque oppure, ipotesi cara all’ex presidenti si materializzi in un tunnel sotterraneo, in modo da mettere una pietra tombale di cemento, come negli usi di mafia, sulle spese pazze del passato.

Ma adesso potete immaginare  Renzi, Faraone, Prestigiacomo o Schifani, che, con piglio audace e proteiforme come si addice alla complessità dei tempi che chiede metamorfosi e cambio di casacche, fanno iniziare da qui, con l’edificazione del monumento simbolo la nuova era per un Paese completamente digitale in modo da applicare al tecnologia in ogni campo per collegare tutto e tutti non solo virtualmente con infrastrutture più si­cure ed efficienti come ipotizzava il Piano #italiaveloce «per un’Italia ad Alta velocità ferroviaria, aerea e marittima» e come – in attesa dei consigli per le svendite e gli acquisti di McKinsey –  prevede la bozza del Piano nazionale per accedere alle risorse del leggendario Recovery Fund con 13 tratte ferroviarie e 39 tra strade e autostrade, il completamento della Torino Lione, il collegamento con treni veloci da e per aeroporti, soprattutto quelli destinati a ampliamenti strategici Firenze e Pisa), con un budget di 196 miliardi.

Non poteva mancare quindi il Ponte sullo Stretto, che deve diventare un format replicabile per la realizzazione del sogno di un’Italia più verde e sostenibile, nel quadro della strategia pensata dall’immaginifica Confindustria per la QuartaIndustrializzazione, segnata dalla robotizzazione e dall’automazione, dall’efficienza delle interconessioni, dalla velocizzazione dei passaggi  dal progetto e dai prototipi alla produzione in serie attraverso tecnologie innovative, da una maggiore produttività attraverso minori tempi di set up (di impostazione), dalla riduzione di errori e fermi macchina, obiettivi facilmente conseguibili in un posto che a detta del Ministro per l’Innovazione considera la banda larga un’utopia, nel quale si favoleggia della Dad con almeno 4 bambini su 10 esclusi dall’istruzione scolastica, di un lavoro agile coi dipendenti obbligati a attrezzarsi con l’acquisto volontario di modem e abbonamento alla rete, ma pure con aziende che negli anni hanno approfittato dell’inefficienza e della burocratizzazione deplorata ma non contrastata per lucrare su ostacoli, ritardi, interventi progettuali, macchinosità delle procedure.

Cosa meglio di un Ponte tirato su in una delle aree più fortemente sismiche del nostro territorio, per ripetere il nostro recente prodigio green di Genova, esemplare modello di gestione commissariale,  che almeno aveva il merito di riparare con un progetto e un’opera al minimo sindacale di progettualità e innovazione tecnologica a crimini  reiterati e condivisi da tutti gli attori politici, amministratori, imprese, controllori, pesante, per ripetere la formidabile opera ingegneristica veneziana, che almeno ha il merito di affondare nei debiti e dell’inefficacia prima della Serenissima, costosa e dissipata, per ripetere i fallimenti prevedibili della Tav, della Brebemi, della Siracusa-Gela,  viadotti, tangenziali, bretelle, di interventi la cui inutilità è pari solo alla pressione esercitata sull’ambiente e sui bilanci pubblici.

E d’altra parte più che un oggetto fantasma è proprio un ideale immortale, se  il Ponte Berlusconi, così voleva chiamarlo l’allora ministro Matteoli, le ha passate tutte indenne come un Totem crudele e perverso, cancellato innumerevoli volte dai pacchetti di investimenti sotto i più svariati governi e resuscitato innumerevoli volte grazie a generosi rinvii riprodottisi sotto Monti, Letta, Renzi (che non lo voleva ma non lo demoliva) e Conte 1 e 2. Un totem senza tabù per i ladroni.