Anna Lombroso per il Simplicissimus

Pare ormai che l’ultima traccia di quella lotta della quale sono stati espropriati gli sfruttati perché funzionasse alla rovescia, sia la “classe” universalmente riconosciuta all’ultimo monarca, a definire pregio ed  eleganza esclusiva ereditata o consolidata  grazie alla frequentazione del Gran Mondo.

Una qualità sociale e perfino morale che è attribuita al Cavaliere malgrado le tante affinità tra il tycoon venuto su dal niente e l’altro appartenente a cleptocrazia. Lo credo, il puttaniere affetto da priapismo anche mentale doveva pagare le sue accompagnatrici mentre le signore di tutti i ceti che entravano nel letto del proverbialmente taccagno re di Torino erano appagate dalla referenza del suo gradimento da citare in interviste e memorie.

Per non dire della capacità di Agnelli di non dover subire l’onta di innumerevoli processi per reati analoghi e  paragonabili con quelli di Berlusconi – qualcuno anche moralmente più deplorevole (il Cln accusò invano  i vertici Fiat  di aver collaborato con il regime fascista, ma l’intervento degli angloamericani garantì l’assoluzione), avendoli sempre delegati a tutori e    amministratori da Valletta a Romiti a Mattioli, al fratello Umberto, a Ghidella, anche quando Mani pulite scoperchiò il vaso di Pandora di vecchi crimini sui quali si era eroicamente ma quasi inutilmente accanito il pretore Guariniello: dai trecentocinquantamila dossier e schedature illegali di altrettanti lavoratori, sindacalisti, giornalisti, insegnanti, comuni cittadini e, in una cassaforte, un gran numero di mazzette che l’azienda aveva già predisposto per quei poliziotti e carabinieri che si fossero adoperati per fornire all’azienda le informazioni riservate, all’inchiesta a carico del responsabile per gli enti locali della Fiat,  Umberto Pecchini, per tangenti poi “abbonate” come finì in un nulla di fatto con la sentenza in appello al processo a carico dei fratelli Agnelli per la vendita irregolare di auto all’estero.  

E sempre Guariniello nel 1989 scoprì violazioni dello Statuto dei lavoratori e presunti abusi nelle sale mediche aziendali aprendo un procedimento nei confronti di Gianni Agnelli, di Cesare Romiti e di tre dirigenti di Fiat Auto. Non sorprendentemente l‘iter processuale si chiuse  prematuramente per l’intervento di un provvedimento di amnistia.

La differenza è anche segnata dalle frequentazioni eccellenti: vuoi mettere la protezione di uno stalliere in odor di mafia con quella del banchiere Cuccia che contribuisce generosamente al “risanamento” dell’azienda, i cui conti, si disse, erano avvelenati dalle lotte di potere interno, malgrado si trattasse di una impresa che attraverso  l’Iveco, la Fisia, la Fiat Ferroviaria Savigliano, la Cogefar Impresit, Impregilo, agiva in regime di monopolio.

Per non parlare delle altre imprese, epiche, quelle di una corruzione che ha interessato tutti i partiti, amministratori locali, soggetti di vigilanza, quelle del riciclaggio e  dell’evasione. Eppure anche il quel caso la dinastia dimostra la sua signorilità superiore, con la famosa gita sociale del 1993 a Vaduz, dove qualche tempo prima era stata trasferita la documentazione relativa a conti opachi, e dove il vertice torna per selezionare il materiale da offrire alla magistratura come merce di scambio per ottenere sconti di pena.

E’ che deve essere sancita la differenza tra padroni e padroni nelle aule giudiziarie ma anche nei tribunali popolari che riservano commossa partecipazione e indulgenza a eventi che in altri casi vengono giudicati come il fallimento di principi educativo, come una gestione disastrosa delle relazioni famigliari, stabilendo il divario tra il rovinoso cupio dissolvi di un delfino ambientato in un contesto da tragedia greca e  il caso umano del povero tossico finito a bucarsi al Valentino.

A commento di un mio ritrattino dell’Avvocato (a proposito, chiunque altro sarebbe stato oggetto di deplorazione per abuso di titolo), qualcuno ha avuto da ridire (qui: https://ilsimplicissimus2.com/2021/03/13/100-anni-di-lupi-in-forma-di-agnelli/ )quella famiglia, non solo ha dato da lavorare a tante gente, preclara qualità sociale attribuita anche a Mediaset, ma ha fatto anche “tanto del bene” con il prodigarsi in enti benefici, la beneficenza e il mecenatismo.

E’ ovvio che questo pensare comune è frutto di quella tirannia della “compassione”, che ha confuso artatamente la pietà con la solidarietà, la benevolenza con la giustizia e gli sponsor con i protettori delle arti, cosa che succede di continuo anche con appena appena  meno prestigiosi benefattori, da Armani a Della Valle a Berlusconi che paga gli effetti speciali del G8 o dona la protesi alla vecchina terremotata, tutti circonfusi dall’aura che permette l’oblio della ponderosa attrezzatura fiscale che rende così profittevole essere buoni.

Ma è comunque davvero prodigioso vedere il modo, diffuso in tutte le latitudini, grazie al quale imprenditori sciacalli, fondazioni di banche criminali usano il denaro di cui lo Stato si priva, per abbattere lo Stato. Fin troppo facile riferirsi ora al monopolio della bontà di Gates, che ha aiutato a espropriare stati e nazioni della ricerca per farne il business di organizzazioni private e aziende farmaceutiche in regime di esclusiva.

Il processo viene da lontano e difatti – ne parla diffusamente con dovizia di esempi Marco d’Eramo nel suo libro Domini, al quale rimprovererei soltanto il sottotitolo: La guerra invisibile dei potenti contro i sudditi, perché mi pare sia invisibile solo per chi non la vuol vedere – a cominciare dalla istituzione della Fondazione Carnegie nel 1905, o della Rockfeller nel 1913, l’impegno sociale si è tradotto in un sostanzioso e profittevole business, tanto che solo il 10% dei redditi delle organizzazioni benefiche deriva dalle donazioni, mentre il 90% proviene da “guadagni” frutto della concessione del nome e della “testimonianza” a fini pubblicitari, da attività di servizio e da vendita di prodotti.  

Aveva visto giusto Theodor Roosevelt che si era battuto contro i benefici concessi a questi enti quando disse “Nessuna somma spesa da queste fortune in beneficienza può compensare in alcun modo le iniquità nell’acquisirle”.  E più puntuale ancora fu il commento di un confederato sindacale a proposito della proposta di Rockefeller di creare un nuovo organismo filantropico poco dopo aver mandato la Guardia Nazionale contro i minatori in sciopero che avevano resistito tutto l’inverno alla fame al freddo, con un’azione che costò la vita di 13 operai e di 11 bambini e donne. “La sola cosa che il mondo accetterebbe grato da Rockefeller sarebbe il finanziamento di un’istituzione che insegnasse agli altri a non essere come lui”.

Eppure ancora oggi artisti, intellettuali, ministri, preti, vanno a mendicare un obolo concreto o morale da grandi avvelenatori,  narcotrafficanti, riciclatori che, si dice, svolgono un ruolo sostitutivo rispetto a stati che non sanno praticare equità e giustizia. Così Gates o Buffett e perfino Soros sono oggetto di civica  riconoscenza e ammirata gratitudine, oltre che di emulazione e invidia estesa ai poveracci per giunta vittime.

Si mette in dubbio- Cacciari docet – che gente che è già così ricca voglia lucrare dimenticando che la cifra di speculatori e predoni è l’avidità, si mette in dubbio che siano così perversi da produrre per profitto merci dannose perfino quelle che dovrebbero tutelare la salute, si mette in dubbio che gente che manda i pacchi doni negli asili, condanni i genitori dei piccoli beneficati a remunerazioni talmente insufficienti da non poter loro garantire la mensa, le medicine, i libri, con la correità di sindacati che si sono liberati dell’onere della rappresentanza di bisogni e interessi per abbracciare la professione di agenti assicurativi e procacciatori di fondi e derivati.

Come al solito siamo andati peggiorando, dopo essere stati ostaggio del sogno della ‘500 adesso siamo ostaggio dell’incubo di Big Pharma.