Se si vuole la prova della mistificazione pandemica e soprattutto dell’ inutilità delle “misure” di segregazione atte a distruggere la piccola economia, industriale, commerciale, artigiana e agricola, ma non certo a fermare un virus dopo averne ingigantito a dismisura la pericolosità, basta guardare all’India dove tutti questi elementi, l’eterogenesi dei fini e l’elemento fittizio del panico,  si intrecciano e si dimostrano in maniera perfetta. Nell’autunno dello scorso anno il governo nazionalista e globalista insieme di Nuova Delhi – dimostrazione della vacuità delle  antinomie contemporanee –  ha approvato tre leggi riguardanti il settore agricolo  che invece  di venire in soccorso di centinaia di milioni di contadini in difficoltà,  prevedono una forte liberalizzazione del settore, un minore intervento da parte dello Stato, meno restrizioni per quanto riguarda l’accumulo delle derrate alimentari e un nuovo quadro legale per i contratti tra i contadini e le società agricole che tuttavia non prevede alcun meccanismo per fissare il prezzo dei prodotti che esse acquistano dagli agricoltori. La concorrenza creata da questa liberalizzazione mette ovviamente in grande difficoltà i piccoli e e anche i medi produttori i che non riescono ad essere competitivi quanto le grandi aziende. Quest’ultime perciò acquistano le terre dei contadini in fallimento che non riescono più a saldare i debiti e così questi nuovi diseredati sono costretti a migrare verso le città per cercare un nuovo lavoro in un settore non agricolo e spesso pagato al livello di fame. Un fenomeno presente anche in altre aree del mondo basti pensare che nell’ultimo anno Bill Gates è diventato uno dei maggiori proprietari terrieri degli Usa, visto che il controllo della produzione alimentare sarà un fattore chiave nel mondo post pandemico.

Ma comunque in India possiamo scorgere più chiaramente gli echi del reset e della guerra alla piccola economia, con misure legislative che colpiscono le attività economiche medie e piccole affinché possano essere assorbite dalle grandi, creando così grandi sacche  di disoccupazione e di povertà. ma la cosa ancora più visibile è che dal novembre scorso in India si sono succedute ondate di manifestazioni di contadini, con cortei di milioni di persone, per un totale che per tutto il Paese sta fra i 250 milioni e i 300 milioni di manifestanti, tutti senza nessuna mascherina e ovviamente senza distanziamento. Questo avrebbe dovuto provocare una immensa strage tenendo per buoni gli assurdi concetti guida segregazionisti con cui si cerca di smantellare il sistema di libertà, eppure l’India è uno dei Paesi dove il Covid ha fatto meno presunte vittime in rapporto alla popolazione: 10 ogni 100 mila abitanti contro le 112 in Italia. Certo magari in India si sono manipolate meno le cifre attribuendo qualsiasi decesso al Covid, con relativa scomparsa di tutte le altre affezioni dell’apparato respiratorio, certo si tratta di una popolazione più giovane e perciò meno sensibile al virus, ma è comunque impressionante la differenza in peggio che intercorre tra un Paese in cui la gente si è rifugiata in casa temendo ogni manifestazione di vita collettiva e un altro dove scendono in strada 300 milioni di persone e per un periodo di quattro mesi. Anzi prendendo solo il numero dei manifestanti e confrontandolo con le presunte vittime totali del Covid in India il rapporto rimane comunque 3 volte inferiore a quello italiano e di gran lunga migliore che nella maggioranza dei Paesi occidentali. Forse, manifestare, scendere in piazza, combattere per i propri diritti  fa molto bene ed è assai meglio di certi vaccini bugiardi. Ad ogni modo il rapporto avrebbe dovuto essere invertito ed è proprio questo il motivo per la quale la più grande e massiccia serie di manifestazioni del secolo è stata a mala pena citata dalla stampa mainstream: sarebbe stata una smentita troppo chiara delle fesserie segregazioniste e delle loro ragioni fittizie.