Anna Lombroso per il Simplicissimus

C’è un tipo di culto della personalità al contrario che finisce per essere ancora più pericoloso dell’idolatria e del servo encomio.

In questi giorni le rare mosche bianche che esprimono preoccupazione per l’ascesa al cielo del bancario della Provvidenza, non osano distaccarsi dal comune sentiment descrivendo Draghi come una personalità potente,  dotata di superpoteri coltivati e sviluppati grazie a una straordinaria intelligenza e a una pertinace perseveranza, che, purtroppo, ammettono con malinconica rassegnazione, ha intrapreso la strada del male.

Si tratterebbe insomma di genio diabolico, non di un qualsiasi satanasso come ne abbiamo visti tanti, ma un vero Belzebù che vede premiato con la legittimazione istituzionale la sua carriera di tessitore di trame oscure e diaboliche macchinazioni che ha ordito nel suo pensatoio di sciagure.

Insomma, avremmo a che fare con una divinità carismatica incontrastabile anche se da tempo prevedibile, un po’ come l’altra pubblica catastrofe  virale, occorre quindi incrementare distanziamento sociale, stare nell’ultimo banco in modo che non si accorga di noi, uniformarsi al consenso plebiscitario sperando che la sottomissione ci risparmi dai fulmini  della sua ira.

Beati i tempi nei quali il genio era più gradito se si combinava con la sregolatezza, e meno beati ma più ragionevoli quelli nei quali si faceva i conti con la rivelazione della banalità del Male e della potenza mediocre ma implacabile dei ragionieri, dei geometri, dei “ceti intermedi” che scrupolosamente agivano, obbedendo ai comandi, grazie a una ferocia burocratica e amministrativa.

Mentre invece  attribuire all’incaricato dall’alto di commissariarci definitivamente,  in quanto staterello infido e indolente,  espressione geografica il cui nome potrà al massimo comparire sull’insegna di albergo diffuso, parco tematico, resort per ricchi tedeschi proprio come voleva il terzo Reich, il prestigio di un’autorità mefistofelica contro la quale non possono l’aglio o il paletto di frassino della democrazia parlamentare,   fa intendere l’impotenza a reagire, a avversare i suoi disegni di “demiurgo cattivo”, salvo essere eretici visionari e nichilisti distruttivi che è assennato mettere ai margini per la loro dannosa sterilità.

E dire che l’ostensione dei suoi meriti trascorsi  a reti e fogli unificati la dice lunga sulla sua qualità di scrupoloso esecutore di disegni imperiali, perché è irrealistico ipotizzare che sia venuto in mente a un ambizioso direttore del tesoro la perversa strategia  di liquidare  l’industria pubblica italiana (IRI, ENI, Telecom…) che ne abbia fatto partecipe il pantheon della finanza e la cupola politica occidentale tra una flute di champagne e uno scotch serviti da impeccabili marinai in alta uniforme a bordo del panfilo della Regina. È improbabile che in quella veste (nel 1993 era stato  incaricato della “sorveglianza” nel  Comitato per le Privatizzazioni) sia stato lui a confezionare il programma di svendita delle aziende pubbliche italiane, sviluppatesi e accreditatesi sullo scenario mondiale grazie al contributo dei cittadini, a prezzi stracciati.

Anche se dobbiamo proprio a Draghi la esplicita confessione delle motivazioni a monte dell’operazione: “contribuire a una crescita del mercato azionario che andasse oltre i meri aspetti dimensionali”, per farne il caposaldo ideologico e organizzativo dell’Europa che proprio nel 1992-93 ratificava il Trattato di Maastricht e approvava la direttiva 93/22/CEE sugli intermediari finanziari, attuata in Italia con   il D. Lgs 415/1996 e il T. U. 58/1998, il testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, noto più semplicemente come testo unico della finanza  o anche legge Draghi, la principale fonte normativa vigente nella Repubblica Italiana in materia di finanza e di intermediazione finanziaria, sotto il governo  Prodi, con Rifondazione Comunista in maggioranza.

In modo che, il corsivo è suo: “La privatizzazione delle grandi società pubbliche accresca l’offerta di capitale di rischio per importi senza precedenti. Il risultato di questi fattori ha conferito al mercato di borsa un’importanza che non aveva mai avuto nel corso della sua esistenza, relegato come era stato – fin dagli anni trenta – in una funzione del tutto sussidiaria rispetto ad un sistema che era fondamentalmente «bancocentrico».

O che, prima ancora, sia stato lui a suggerire a  Carlo Azeglio Ciampi e Nino Andreatta, che pure non avevano fama di accogliere con benevolenza i suggerimenti dei subalterni,  l’opportunità, in vista di future provvidenze personali, il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, che ha prodotto un susseguirsi catastrofico di crimini e misfatti finanziari, tra i quali spicca la frana del Monte dei Paschi con contorno di misteriosi suicidi verificatasi a sua insaputa.  

O che sia stata la lunga formazione delittuosa in Goldman & Sachs anche in veste di promoter di subprime e  fondi tossici, a fargli maturare il progetto criminale di distruzione dei Pigs, perfezionato dall’imposizione degli obblighi del Fiscal Compact votati dai parlamenti nazionali e dell’acquisto forzoso di titoli di stato, culminato nei golpe finanziari in Grecia e Italia.

C’è da dare torto a chi sommessamente si lamenta dell’arrogante indifferenza per le regole democratiche che dimostra nel condurre un giro di consultazione per la formazione del governo senza avere un programma che non sia semplicemente il brogliaccio con la lista della spesa dei leggendari 209 miliardi, se e quando verranno in forma di esosi debiti da risarcire, quando il suo progetto per l’Italia è già esploso nella lettera scritta sotto dettatura dell’impero e a 4 mani con Trichet.

A quelli che avevano paura del sopravvento della parodia dei fascisti, a quelli che si sentono soggiogati ma anche rassicurati dall’incarnazione efficientistica e autoritaria, finalmente!, della tecnocrazia anodina e sganciata dalle mefitiche influenze della politica, sarebbe bene ricordare che l’acme delle crisi sociali, a Roma come a Weimar ci concretizza  quando i fascisti veri in varie gerarchie, sostituiscono lo Stato instaurando  il governo diretto dei poteri economici, occupando le istituzioni, esautorando i parlamenti e ottenendo l’appoggio di partiti e rappresentanze invischiate e interessato solo al mantenimento della loro rendite e posizioni.

Pare proprio che nell’inferno che hanno allestito per noi, non siamo meritevole nemmeno di Satana, ma tutt’al più di diavolacci che mantengono l’ordine con il forcone.