Anna Lombroso per il Simplicissimus

È vero, è proprio un esercizio da Pulcinella cercare elementi di soddisfazione vendicativa nella  defenestrazione di Azzolina, nel disarcionamento di Arcuri, nella rimozione di Speranza, mai come oggi omen nomen. È un po’ come la gratificazione del condannato che, durante l’avvicendamento dei boia,  può scegliersi  se è meglio l’iniezione letale o la sedia elettrica,

Oggi nei giornali e nella rete ferve quel lavorio che ricorda il dinamismo delle larve su un cadaverone, una foga dietrologica che fino a ieri era stata considerata un vizio da complottisti.

Così c’è chi si interroga su chi muovesse i fili della marionetta  sbruffona, chi si bea del successo della sua personalità distruttiva che a costo di rimetterci le penne avrebbe prodotto un bel po’ di macerie. C’è chi pensa che l’azzimato tenentino sia stato fatto fuori dai generali per una certa indole alla disobbedienza addirittura alla diserzione, a torto a vedere come il suo progetto superi addirittura le condizioni per la pace secondo quelli che vincono sempre, in tema di diritti, aiuti alle imprese, quelle grandi e strutturate, è ovvio, privatizzazioni, riduzione delle garanzie costituzionali e occupazionali.

Giornaloni ripescano gli auspici in corso come moneta corrente da qualche anno, perché l’abbia vinta l’algida determinazione dell’anatomopatologo che finalmente riporta un po’ di efficienza asettica nella sala d’anatomia, in modo regni finalmente un po’ di ordine alla greca dopo tutto il marasma degli inconcludenti dilettanti.

A cominciare dal cognome, che evoca detergenti energici per la pulizia a fondo, water compreso, e dalla fama conquistata sul campo, anzi sulla tolda del Britannia   quando i boss  della cosca bancario-finanziaria italiana, il governatore Ciampi, il ministro del bilancio Andreatta, lui, allora direttore generale del Tesoro, insieme ai vertici dell’Eni, dell’IRI, delle banche pubbliche e delle varie aziende Stato e partecipate, si diedero convegno  al largo di Civitavecchia sul panfilo della regina Elisabetta, con la cupola internazionale, per stringere, proprio un 2 giugno, del 1992, un patto infame volto a liquidare l’azienda Italia, attraverso la privatizzazione e la svendita a prezzi da outlet, del tesoro industriale, consortile e creditizio del Paese.

Poco dopo la firma di Maastricht e in una non sorprendente coincidenza con l’apparente repulisti di Tangentopoli, di preparava così il dominio della vera antipolitica, quella dei potentati del vero establishment, tecnici, manager, economisti passati dalla Bocconi all’università della strada tramite poltrone ministeriali, la riduzione dell’Italia a provincia remota e riottosa da commissariare sarebbe avvenuta grazie alla progressiva espropriazione, alla forzata rinuncia della sovranità, alla  cessione dei poteri e delle facoltà dello Stato ristrette all’unico ruolo di esattore dei poveracci e ong dei ricchi.  

Non è poi molto diverso il sentiment “popolare” che affiora dalla palude dei social, ormai contagiato da una domanda di repressione di comportamenti trasgressivi, da un bisogno di un ordine sociale che si avvalga del distanziamento  e della forza sanzionatrice  per allontanare presenze, e esigenze, moleste e parassitarie.

Ben presto quelli che oggi si dedicano alla celebrazione del martirio di Conte, proprio come in passato, confideranno, ma qualcuno ha già cominciato, a inorgoglirsi per il credito di un nuovo governo in grazia di Dio, dell’Ue, della Goldman & Sachs (Draghi  ne fu Vice Chairman e Managing Director per le strategie europee e in qualità di membro del suo Comitato esecutivo  appioppò prima all’Italia e poi alla  Grecia un bel po’ di derivati tossici), della Nato e del Vaticano.

Qualcuno già rammenta le alate parole al meeting dei Comunione e Liberazione dell’agosto scorso quando il Grande Liquidatore usò tutta la sua faccia tosta, che – notazione fisiognomica – sembra sempre calzata di naylon come quella dei rapinatori,  per denunciare come  l’ingiustizia da sociale di sia convertita  in ingiustizia generazionale, raccogliendo il plauso dei Propaganda Fide, dei volonterosi giovinetti e di tutti i commentatori e opinionisti pronti a giurare sulla sua “redenzione” keynesiana, confermata da quel tanto di esercizio dell’autocritica che serve a dare credito alle più sgangherate abiure:  “l’inadeguatezza di certi assetti era da tempo evidente, e questo lo deve riconoscere chi ai tempi, io per primo, li ha fortemente sostenuti”.

Il fatto è che ci sono due livelli di disperazione nel Paese, quella più profonda di chi non ha parole e meno che mai ascolto, così abissale e vergognosa del suo stato che non ha tempo né modo né voglia di immaginare che da un cambio di governo derivi qualcosa di buono, che vive la sua condizione di vittima condannata alla rassegnazione, che se si muove può farsi male con le sue stesse catene.

E poi c’è l’altra, anche quella immobile perché appartiene a quelli che pensano che con la loro inazione si proteggono, salvando il tetto e le pareti della tana che sono riusciti a conservarsi, che si augurano con l’assoggettamento, di tutelare i miserabili privilegi che sono certi di essersi meritati. Si tratta di una disperazione gretta, che fa della mediocrità e del conformismo le vere virtù della cittadinanza, che deplora chi pensa e vuole immaginare “altro” da tutto questo e si rafforza con l’anatema, la censura e l’autocensura, abituata a non voler sapere, vedere, sentire, che vive il disincanto democratico come la doverosa e ragionevole abiura da qualsiasi forma di resistenza allo sfruttamento e di opposizione alla sopraffazione.  

E siccome pare non ci sia via virtuosa al potere, e nemmeno alla salute, preferisce un noto conosciuto e già provato a un ignoto che potrebbe sorprendere, rimettendo la delega in mano di gente scafata e pratica.

E d’altra parte non è più tempo di democrazia, nemmeno digitale, le elezioni nuocciono alla salute, chi le continua a pretendere è a un tempo velleitario e negazionista, il Parlamento è stato giustamente esautorato in favore di organismi “privati” costituiti da manager e esperti di marketing.  

E Draghi lo è, con i suoi affini e famigli ( si parla di Cartabia per la Giustizia – anche quella divina, di Fabio Panetta, membro italiano dell’esecutivo Bce, che potrebbe andare a guidare il Mef, di  Carlo Cottarelli, il premuroso  e dalla Capua alla Salute), tutti da annoverare nelle cerchie dei competenti e dei quali  sono già state messe alla prova le capacità, tanto da non riservare sorprese.

Difatti basterà fotocopiare la famosa lettera a firme congiunte Draghi-Trichet che intimava agli italiani le obbligatorie misure improrogabili per ripristinare la fiducia degli investitori: “ revisione strutturale della pubblica amministrazione”, “privatizzazioni su larga scala” , di servizi, Welfare, istruzione,  “piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali”;   “riduzione del costo dei dipendenti pubblici, se necessario attraverso la contrazione dei salari”; “riforma del sistema di contrattazione collettiva nazionale e  criteri più rigorosi per le pensioni di anzianità” e “riforme costituzionali che inaspriscano le regole fiscali”.

Difatti basta pensare a lui come gran suggeritore  del “fiscal compact“  quella revisione inferocita del  patto di stabilità, cui le politiche di bilancio nazionali devono uniformarsi   per risultare credibili. Difatti basta guardare al suo ruolo nella guerra condotta contro la Grecia, quando la Bce tagliò i flussi di liquidità d’emergenza alle banche greche come vendetta per aver osato indire un referendum contro i diktat europei.

Il trailer dell’horror che ci aspetta è andato in onda, almeno non avremo sorprese.