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Oh oui, je suis Montì

Agli inizi di questo secolo il professor Mario Monti godeva di un’altissima considerazione sebbene nessuno avrebbe saputo dire da cosa derivasse tanta buona fama, se non dal trascinamento del sentito dire visto che tra l’altro la sua carriera di consigliori di governo aveva spesso riguardato il debito pubblico proprio negli anni in cui calava a picco o meglio saliva alle stelle grazie anche ai suoi consigli . Forse veniva considerato “moderno” rispetto al ceto politico  in un periodo in cui non si intuiva cosa  significasse davvero questa modernità e dove sarebbe andata a parare: così  era una specie di lare benefico e in ogni caso sembrava l’uomo giusto da tenere di riserva per i tempi duri Poi quando questi sono arrivati o meglio sono stati appositamente propiziati dagli amici e sodali del professore, Monti ha dimostrato di che pasta è fatto, quello di un ormai anziano signorino, discendete da illustre stirpe di banchieri che conosce solo la dinamica del denaro e non quella della vita o dell’economia reale, sempre vissuto nel circolo ricreativo dei ricchi e delle loro ideologie. Si è circondato di una squadra di espertissimi  incompetenti come lui e ha cominciato la sua opera di picconatore dello stato sociale, combinando disastri.

Alla fine anche i suoi amici hanno capito che non era adatto al compito ed è rimasto solo con un piccolo elettorato salottiero di rentier cui nessuno ha mozzato la testa, ma che l’ha persa spontaneamente per apoptosi da denaro.  Oggi il professor Monti che conosce a menadito l’avere, ma non il fare, sta come cagnetto da guardia dei poteri finanziari e ogni tanto parla, fa discorsi da canaglia sociale con un candore che in altri casi potremmo attribuire all’imbecillità. E così anche in questo momento drammatico  per il Paese di fronte alla prossima scomparsa di centinaia di migliaia di piccole attività il professor Monti ritorna a far sentire la sua voce chioccia e a recitare il breviario neoliberista, o meglio la preghiera dell’integralista dogmatico, forse convinto che con la vittoria di Baro Biden possa tornare a fare liberamente esercizio di protervia che per i ricchi è come lo yoga. Egli dice che lo Stato non dovrebbe erogare alcun ristoro alle aziende in difficoltà perché è inutile sostenere le attività in crisi ed è meglio lasciarle perdere per aiutare invece quelle che ce la fanno. Insomma la solita banalità neoliberista che questa volta però è applicata a vanvera: le attività che costituiscono il nerbo della nostra economia non sono in crisi perché lavorano male o sono fuori mercato, ma semplicemente perché sono state fermate da misure totalmente assurde per combattere la pandemia narrativa prese sia dallo Stato che dalle Regioni. Dunque non si vede perché tale attività non dovrebbero essere sostenute, tanto più che un recentissimo studio di quattro professori dell’università californiana di Stanford dimostra dati alla mano che i lockdown non hanno alcun effetto nel ridurre la  diffusione del coronavirus e anzi in talune condizioni possono anche favorire i contagi e questo rende più concreto il sospetto che le segregazioni non siano in funzione della pandemia, ma che al contrario il “morbo” sia agitato come un bastone in funzione delle segregazioni.

Diciamo che quello di Monti è  lo stesso spirito con cui la Stampa prende per i fondelli i propri lettori e si inventa la favola del commercialista in crisi che va a fare il fattorino di Glovo o di chissà quale altra organizzazione e finisce per guadagnare il doppio di prima: quindi si direbbe che il professore ha fatto ancora una volta la sua bella figura di merda. Ma forse non è così, ha soltanto rivelato che il piano è proprio quello di distruggere le piccole e medie attività che resistono ai grandi conglomerati, alle multinazionali, insomma al suo mondo di riferimento e che quindi i ristori sono inutili perché la pandemia e le segregazioni non finiranno sino a che questa economia non sarà distrutta. Ah se esistesse in commercio l’eau de merde, potrebbe dire oui, je suis Montì.

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