Anna Lombroso per il Simplicissimus

Si chiama Emiliano Zappalà, ha 35 anni. Aveva aperto uno studio di commercialista, il covid gliel’ha fatto chiudere. E lui, invece di chiedere il reddito di cittadinanza, si è messo a lavorare. Dove? In uno dei settori che il covid ha reso vincenti: la consegna a domicilio. Business raddoppiato in 10 mesi, come il numero degli addetti…… ed è felice!”.

L’autrice di questo delicato bozzetto, ospitato da una Stampa nostalgica del concittadino famoso e della rubrica dello Specchio dei Tempi, di nome fa Antonella Mannocci Galeotti di Larciano, ma con elegante discrezione si firma con il cognome del marito, Boralevi, di professione antiquario quindi assimilabile a mestieri artistico-creativi, ancorchè non sia alto lignaggio e sangue blu come la consorte.

È una di quelle firme che si sono conquistate un posto al sole ricavandosi una nicchia nelle quote rosa di quotidiani e settimanali, tra la posta del cuore e il “costume”, ma anche, in questo caso, sconfinando nei territori della cultura grazie a prestigiosi riconoscimenti come quello di, cito da wikipedia, Consigliere Diplomatico per la Comunicazione della Cultura e della Immagine dell’Italia presso l’ambasciata italiana a Parigi, ottenendo un successo personale formidabile: il trasloco temporaneo in forma di prestito occasionale di quel Bacio di Hayez, irrinunciabile  immagine di copertina di palpitanti frequentatrici dei social.

Non c’è quindi da sorprendersi se l’apologetico ritratto di questo imprenditore di se stesso, figlio di una tradizione di self made men tra Frank Capra e Berlusconi, termina così “A me sembra una storia non di “colore”, ma di speranza”.

Infatti a me di colori ne evoca un paio, il marron della cacca, che come recita un proverbio delle mie parti, quando sale sullo scranno procura danni, spargendo in giro i suoi schizzi lerci e emanando miasmi irrespirabili.

E il rosso del sangue di chi è morto per riscattare la gente di questo paese da una condanna a miseria, ignoranza e sopraffazione, che adesso è impallidito, forse di vergogna, se stiamo permettendo che giovani che avevano un talento, che hanno studiato per crearsi un futuro sicuro e dignitoso, che hanno dei sogni e delle aspettative, vengano usati per la propaganda di un padronato globale, per fare pubblicità alla fine del lavoro con i suoi valori, i suoi diritti e le sue conquiste, per accreditare nuove libertà concesse, a costo dell’umiliazione, a chi pensa di essersi liberato dallo sfruttamento perché corre in bici all’aria aperta, può permettersi di scegliersi i percorsi delle consegne e si adegua “volontariamente” alle regole del moderno cottimo.

Sarebbe bene che prima di tutto fosse il nostro eroe deamicisiano, quel  dottor Zappalà, rider di Deliveroo che macina chilometri e chilometri ogni giorno con un borsone giallo sulle spalle,  consegnando pizze e pranzi e spesa con un guadagno di 2000 euro netti al mese e, certi mesi, anche 4000, uno stipendio da manager, a capire che non è colpa del Covid se ha dovuto “rendersi conto della realtà” come scrive l’autrice con tinte pastellate e prenderne atto, ma di una crisi sociale che dura da anni, che ha prodotto guasti economici e morale, creando disuguaglianze,  sleale concorrenza tra poveri, incitati al conflitto per la sopravvivenza, svalutazione delle vocazioni e del sapere  e valorizzazione dell’arrivismo, del familismo, del clientelismo e della fidelizzazione obbediente.

E che insieme a lui capiscano tutti quelli che non sono i fortunati figli della Boralevi, della Fornero, del papà della Boschi o del babbo e della mamma di Renzi, che quindi non hanno avuto accesso a scorciatoie, trattamenti privilegiati, lauree comprate in Albania, o clonate ma sottoposte a giudizi indulgenti, quelli risparmiati per lignaggio, rendita, dinastie malaffaristiche, case regnanti della politica o del giornalismo che questa realtà costruita a tavolino per demolire la scuola, in modo che insegnasse solo subalternità e specializzazione in alienazione e frustrazione, ma in inglese, alienation and frustration, come ha voluto un succedersi di ministri,  compresa l’attuale assessora lombarda alla Salute,  per rompere qualsiasi forma di coesione e solidarietà tra lavoratori costretti all’isolamento e soggetti a ricatti, quella realtà  non si cambia dimenticando la propria dignità, i sacrifici compiuti, la ricchezza di quello che si è imparato e di quello che si vorrebbe ancora conoscere per diventare persone migliori e la collera per quello che ci è stato sottratto, che è nostro di diritto e abbiamo il dovere di riprenderci.