Mi è dispiaciuto di apprendere della morte di Giorgio Galli, uno dei pochi politologi decenti rimasti ma soprattutto  l’uomo che già in anni lontani, quelli del boom, diede un verdetto di prognosi riservata per la democrazia italiana a causa del suo “bipartitismo imperfetto” , titolo peraltro  del suo saggio più noto. Il tema, ripreso in mille modi e in mille chiavi nei decenni successivi, mostrava come lo scontro e la dialettica  tra la Dc e il Pci non riusciva ad incidere più tanto nella realtà italiana visto che il Paese apparteneva di fatto agli Usa e un governo comunista non sarebbe mai stato tollerato anche se fosse uscito vincitore dalle urne. Ma questa circostanza dovuta alla divisione del mondo non colpiva solo il Pci con una conventio ad excludendum e con la pratica impossibilità di contrattare profonde riforme, ma anche la Dc e lo schieramento a lei vicino  perché le forze più propense a un rinnovamento sociale venivano compresse e anche quando riuscirono a prevalere furono immediatamente fermate con tutti i mezzi possibili, assassinio compreso. Gli stessi socialisti che dopo gli anni del dopoguerra e del fronte popolare cercarono di proporsi come forza di sinistra, ma non compromessa con Mosca, finirono in realtà per essere travolti da questa logica che ebbe la sua espressione finale nel craxismo.

In realtà più che di partitismo imperfetto si sarebbe potuto parlare di democrazia bloccata nella quale poi sono nate le pratiche corruttive che hanno finito per dilagare in ogni fibra del Paese, inquinando anche ciò che di buono si era fatto nei decenni passati. Non è un caso che caduto il muro di Berlino e venuta meno la logica dei due blocchi, dunque  l’atmosfera e le ragioni sulle quali si era fondata la governance italiana, il segnale di cambiamento e di messa in mora del ceto politico sia stata innescata e favorita da una vicenda giudiziaria che si è dimostrata da un certo punto di vista troppo draconiana, ma insieme anche troppo debole e circoscritta per suscitare un reale cambiamento, come si può chiaramente vedere dai reduci formatisi in quella stagione tutto giudici e poco o niente politica. Infatti al bipartitismo imperfetto si è via via sostituito un monopartitismo imperfetto nel quale le forze politiche si prendevano a male parole, mettevano in scena uno scontro a tutto campo salvo poi essere perfettamente d’accordo nell’opera di regresso sociale, compressione dei diritti e del lavoro, erosione dello stato sociale. Il problema era che invece di liberarsi di un vincolo esterno di ordine geopolitico che non aveva più senso o che per dirla meglio veniva acquistando nuovi e inquietanti aspetti nei quali il carattere difensivo della Nato si tramutava in offensivo, il ceto politico ormai  cresciuto nella subalternità pensò bene di aggiungerne un altro di ordine continentale e monetario che di fatto avrebbe ridotto la politica a mera amministrazione. Tutto questo non era affatto chiaro allora, ma adesso acquista contorni ben definiti a cominciare dalla contemporaneità fra Mani pulite, la crisi monetaria di lira e sterlina innescata da noti speculatori oggi divenuti filantropi, l’adesione a Maastricht, l’impegno della Nato nella distruzione della Jugoslavia, la dissoluzione ufficiale dell’Unione sovietica, le prime elezioni italiane senza il Pci, ma con il partito democratico della sinistra e infine la svendita dell’industria pubblica il cui primo atto si svolse sul Britannia ad opera di Draghi e che era stata in un certo senso la via italiana alla produzione industriale, quella che diede origine al boom, ma anche a capacità di innovazione tecnologica oggi del tutto perdute.

C’è chi ricorda che sul transatlantico della resa di un mondo ci fosse anche Grillo: non saprei dire se sia vero o meno, ma di fatto è come se ci fosse idealmente stato dal momento che il comico è il protagonista dell’ultima fase della politica italiana , ovvero la falsa rivoluzione  organizzata proprio per essere fallimentare, un’ennesima rappresentazione del globalismo. Le condizioni attuali del Paese non sono che la conseguenza del bipartitismo imperfetto, del monopartitismo nascosto e della rivoluzione fallita: così che ai due precedenti vincoli esterni si è aggiunto anche quello della commedia pandemica frutto del declino dell’impero che viene interpretata con impareggiabile quanto squallido patos. Giorgio Galli si occupò in maniera del tutto originale della prima fase quella del bipartitismo imperfetto, ma  seppe riconoscere anche le altre e soprattutto si occupò anche dell’ascesa delle teorie elitiste, divise in vari filoni che vanno da De Maistre, a Haller, da Pareto a Schmitt  che erano rimasero marginali fino a quando la democrazia rappresentativa funzionò e che di solito vengono considerate collegate allo sviluppo dei fascismi, ma che in realtà hanno svolto  un ruolo sempre più importante dopo la caduta dell’Unione sovietica, portando dentro la democrazia i fantasmi del decisionismo autoritario di cui il neoliberismo aveva bisogno per disintegrare diritti e tutele..

Se oggi “Le leggi le fanno gli uffici legali delle multinazionali ” come Galli disse in un’intervista del 2016, se l’Europa è governata dalle lobby e dai disegni di egemonia, se in Usa si accetta il verdetto di elezioni falsate e dunque la morte della rappresentanza, se siamo in un a tirannide perfetta poiché nasconde se stessa, allora si può in un certo senso dire che l’Italia è stata sempre all’avanguardia in questo processo dissoluzione.