L’altro giorno me la sono presa con chi demonizza la Cina perché “comunista” e pensa che sia essa a guidare le elites globaliste e i loro circoli. Anzi non me la sono nemmeno presa perché queste chincaglierie ideologiche che cercano di incolpare il comunismo di ogni fallimento del capitalismo, hanno un che di grottesco anche se poi di fatto complicano la costituzione di un fronte comune contro il grande reset. Ma che dietro tutto questo ci sia in effetti ancora uno spirito coloniale duro a morire e a riconoscere che l’ultra capitalismo che ha regnato negli ultimi 40 anni causando un declino inarrestabile dell’occidente e dando vita per reazione a nuove geometrie planetarie, lo dimostra il Giappone che non è comunista, che è la terza economia mondiale , che ha superato il Covid con una mortalità 20 volte inferiore a quella italiana e un quarto di quella tedesca pur a fronte di una densità di popolazione tra le più alte al mondo e una percentuale di anziani persino superiore alla nostra, che ha prodotto in questo 2020 una crescita del 5 per cento a fronte di cali generali e drammatici dei Paesi occidentali Quel Giappone che ha un tasso di disoccupazione di appena il 3% e che ha un debito pubblico del 250 per cento del Pil, ma che sembra fottersene delle regole imposte in Europa dall’egemonia tedesca e dalle teorie sociopatiche del neoliberismo che si rivelano ogni giorno di più dogmi privi di un qualche senso se non quelli di portare le diseguaglianze alle stelle
Per dirla in due parole sta stravincendo un modello asiatico che al di là delle differenze formali di ideologia e regime sa trovare al suo interno una maggiore coesione grazie anche alla presenza massiccia dei poteri pubblici che certamente in Cina dirigono la programmazione economica, ma che sono apprezzati anche nel Giappone “liberale” dove gli zaibastu, le grandi concentrazioni industriali e finanziarie non vedono come un nemico da ridurre all’impotenza, ma come una chance, una forza Ed è abbastanza naturale che in questa logica si stia man mano verificando la profezia di Mao: “Il Giappone è una grande nazione, Non tollererà che l’imperialismo americano la tenga sotto i propri piedi per sempre”. Il grande timoniere, dedito alla costruzione del socialismo cinese così diverso dal marxismo di matrice staliniana vedeva nel Giappone una sorta di ruolo intermedio fra i due mondi: Zhou Enlai costruttore di un a sorta di sintesi social – confuciana, parlando di Hiroshima la qualificava come “l’eterno segno di viltà e codardia dei meschini uomini bianchi”. Sta di fatto che la seconda guerra mondiale è chiamata in Giappone guerra della Grande Asia e pare quasi naturale che ora Tokio si stia ravvicinando a Pechino. Non si tratta soltanto di scavalcare completamente gli Usa per concordare una soluzione riguardante le isole del Mar Cinese Orientale, ma di una maggiore integrazione fra le due economie che fino a qualche anno fa parevano acqua e olio: nel solo mese di ottobre i giapponesi hanno comprato quasi 85 miliardi di yen di titoli cinesi e in generale la Cina non è vista più come un nemico ma come una grande opportunità e dopo il Covid anche i sondaggi di opinione vedono crescere in maniera imponente la fiducia popolare verso il continente cinese.
Questo poteva essere pronosticato già alcuni anni fa e ricordo di aver visto sequenze di un filmetto giapponese di fantascienza in cui la terra viene salvata da un’invasione extraterrestre da un’ astronave che per alcuni fotogrammi prende le fattezze della mitica Yamato, la più grande corazzata mai costruita e simbolo della guerra contro gli Usa. Quel conflitto che fu scientemente innescato dalle elite imperialiste americane sovrastate dal terrore che il territorio cinese conquistato da Tokio, fornisse all’impero del Sol Levante la base demografica per diventare il padrone del Pacifico. Ma ora tutto questo non ha più senso: la Cina ha in qualche modo reificato in proprio le paure dell’estremo occidente e non c’è più alcuna ragione per cui i due Paesi debbano essere ostili visto che entrambi hanno rappresentato nell’arco di un secolo e in successione il conflitto con l’occidente capitalista: in Giappone questo sentimento, presente sia nella destra nella sinistra estrema, è tutt’altro che superato, anzi negli ultimi anni e grazie anche a Shinzō Abe è cresciuto vistosamente tanto che Tokio è sceso decisamente a fianco di Pechino contro il tentativo di rivoluzione colorata a Hong Kong, sostenuto di fatto da Usa e mafia cinese.
Insomma la prevalenza dell’Asia si sta realizzando e l’occidente, diciamo meglio l’Europa, ha una sola strada per evitare un declino inevitabile: quello di scalzare il potere delle elite neoliberiste e i loro tentativi di rifeudalizzazione portati avanti in maniera cinica, anche attraverso le pandemie narrate.
Il Giappone come “stato canaglia” ha una storia centenaria poco pulita. Però c’è da dire anche una cosa sui giapponesi, ed è che la separazione dello stato Imperiale dallo stato Commerciale è paragonabile al nostro Concordato di Craxi imposto alla Chiesa (separazione dei sue stati) . Cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire che nel 1905 a guidare in guerra il Giappone contro la Russia non fu la casa reale, ma fu il Ministro del Commercio a tramare in segreto con l’occidente capitalista le trame delle tre guerre che si sono rivelate la loro sfortuna alla fine della terza. (Bomba Atomica) Ciò vale anche per la creazione del potere nazista alla quale aderirà, e in tutto ciò, un motivo strategico e politico c’è. Il Giappone, aprendosi ai cannoni di Theodor Roosevelt per bombardare la Russia nel 1905 e vincere la guerra, fece un Master Militare presso le basi americane aggiornando le divise e il concetto di battaglione degli eserciti suoi . Prima del 1850 circa, la figura del samurai quale protettore della famiglia imperiale, venne messa fuori legge dal primo Ministre del Commercio giapponese. Gli ufficiali giapponesi si spostarono in Francia, Inghilterra e America per apprendere i rudimenti per la costruzione della nuova potenza occidentale – con gli occhi a mandorla o “musi gialli” – per il controllo del Cotone e Oppio in Asia. I Giappone aderì all’Alleanza Occidentale. Nel 1905 il Giappone divenne una succursale occidentale il quale costruì la prima ferrovia metallica in Asia e a seguire una serie di industrie pesanti e leggere che lavoravano su licenza occidentale. Il Giappone divenne Moderno con un apparato politico Imperiale simile a quello ufficiale di Elisabetta d’Inghilterra che vale il 2 di picche , ma che dietro si nasconde il vero potere delle Lobby che provvedono al mantenimento estetico dei Reali. Il Giappone, alla sua resa finale, il generale Clark interrogato l’Imperatore, si accorse che era ignaro di tutto, assolvendolo dalle responsabilità. Egli viveva nella “Casa Celeste” come un agiato sacerdote di clausura, di santità e basta. Anche l’Imperatore di Cina viveva nel medesimo modo e modello, con una differenza, che fu castrato in tenera età dai sacerdoti per non avere eredi e mettere a capo dell’Impero in futuro un loro fido. Mao Tze Tung quando lo arrestò ebbe pietà di lui e fu rieducato da “Bambola” a cittadino normale, dandogli una sposa umile con la quale vivrà per tutta la vita facendo il giardiniere, sua passione per i fiori. Oggi, il Giappone, scaduti i termini cinquantennali di prigionieri di guerra si sono svincolati a livello industriale dagli Usa ma non in termini militari. I buoni rapporti commerciali nati coi cinesi, ha dato modo al Giappone di trasferire parte del surplus di produzioni di beni commerciali sopperendo al successo commerciale mondiale avuto, esportando in tutto il mondo. Il Giappone scelse la Cina perché affidabile solo se sotto il loro diretto controllo dei propri tecnici; i cinesi furono contenti perché dal Giappone appresero nuove tecnologie di lavorazione e dei mestieri vari a gratis. La somma di tanta produzione importata dalla Cina , e grazie all’umiltà e obbedienza produttiva, ha dato modo di realizzare il famoso “Balzo in Avanti” di Mao Tze Tung. Ma la prudenza insegna che con gli orientali bisogna essere prudenti, ma rispettosi, altrimenti si trasformano insolenti e dispettosi. Il Successo della Cina ha un nome: il Comunismo in quanto unica formula possibile per elevare un popolo di 2 miliardi di persone tutti insieme e uniti. La dove il Comunismo è morto (vedi da noi), ai cinesi si presenta uno spettacolo orrido, stupido e decadente. Dovremmo rivalutarlo per creare l’unità di popolo. Semplicemente Filorosso.
Si può leggere:
http://www.vietatoparlare.it/i-dpcm-di-conte-dichiarati-incostituzionali-e-illegittimi-dal-tar-di-roma-ma-la-notizia-e-ignorata-dai-media-perche/
Dal punto di vista economico è probabile che comuni interessi spingano Giappone e Cina alla collaborazione, ma da quello strategico e geopolitico la questione è più complicata.
Innanzitutto parliamo di un paese sconfitto e, come l’Italia, ridotto a portaerei e hub militare degli USA; poi l’arcipelago rappresenta la parte settentrionale della cosiddetta “prima catena di isole” che, passando per Taiwan e arrivando allo Stretto di Malacca, preclude a Pechino l’accesso all’Oceano Pacifico e all’Oceano Indiano.
Le Vie della Seta terrestri esprimono il tentativo cinese di aggirare l’assedio marittimo americano a cui partecipa con le proprie navi anche il Giappone.
Infine, vi sono dispute territoriali, opportunamente rinfocolate dagli USA, che riguardano la sovranità su alcune isole del Mar Cinese e che renderanno sempre problematici i rapporti tra i due Stati.
Tutto vero.
Tutto reso. però, maledettamente difficile dall’atteggiamento da “santi subito” che abbiamo ancora verso quella minoranza razzista e odiatrice, che ci rovina in casa e che ha animato da subito il monetarismo moderno. Ovviamente partendo dalla sponda anglosassone.
Gli asiatici si sono salvati per motivi culturali, geografici e, se vogliamo, anche razziali dalla contaminazione con questi “fratelli maggiori” dominatori e odiatori seriali.
Difficile dire la verità? Certo, Soprattutto quando si considera ancora il comunismo come l’antidoto al capitalismo e non la sua immagine riflessa. Guarda caso coniate entrambe sulla stessa medaglia, pardon… moneta.