Anna Lombroso per il Simplicissimus

Gentili Signori, vi informiamo che dalla data del 1º gennaio 2021, Gedi Gruppo Editoriale S.p.A. cesserà la pubblicazione del periodico MicroMega. Cordiali saluti. Corrado Corradi, direttore generale della divisione stampa nazionale di Gedi”.

Risponde il direttore, Paolo Flores d’Arcais: “Ai tanti amici, e amici di MicroMega, e giornalisti che mi stanno chiamando in queste ore, posso assicurare che MicroMega continuerà a vivere, e che con i redattori e i collaboratori stiamo già studiando le modalità per non interrompere la continuità della testata, anche se il numero in uscita il prossimo giovedì 17 dicembre, un almanacco di filosofia dedicato alla biopolitica, sarà l’ultimo edito da GEDI”.

Pochissimo tempo fa nel corso di un trasloco e in anticipo rispetto alla  famiglia Agnelli ho pensato che il mio tributo alla rivista  poteva aver fine. Così dopo molti tentativi a vuoto ho infine trovato un bouquiniste che a modico prezzo si è portato via quei quasi 35 anni di pubblicazioni.

E d’altra parte il mio con Micromega non era stato un rapporto di condivisione, riconoscimento e appartenenza, cominciato  allora nel 1986  per via dell’amicizia che ancora mi lega a uno dei fondatori, che dopo qualche anno, peraltro,  lasciò la nobile impresa.    

Per una volta ne farò un caso personale dicendovi che già la scelta del titolo mi aveva insospettito, ispirato a una racconto di Voltaire che narra  di un filosofo del pianeta Sirio, Micromega appunto, “nome perfettamente adatto a tutte le persone grandi. Era alto otto leghe, voglio dire ventiquattromila passi geometrici di cinque piedi ciascuno”.

È lui, che, insieme a un collega di Saturno, scelto malgrado non goda della sua stessa superiore intelligenza e delle sue capacità fisiche, visita la Terra dove ambedue, incontrando una solitaria spedizione di scienziati e filosofi locali, si stupiscono constatando che esseri ai loro occhi tanto insignificanti siano dotati della facoltà di pensare, comunicare e effettuare calcoli matematici.  Sicché decidono di aiutarli a nutrire e far maturare queste capacità, donando loro dono un libro contenente il “senso della vita”.  

Non occorre ricorrere all’indagine psicoanalitica per diagnosticare un complesso di superiorità smisurato fino al delirio di onnipotenza nel progetto di una rivista di giganti che si prodigano, come Micromega, per far crescere una scrematura di intelletti non ancora “perfezionati” grazie all’offerta dei contenuti del riformismo illuminato,  dell’europeismo elitario secondo il programma disegnato a Ventotene da un altro circolo nobiliare, della fideistica convinzione che Mozart, Hegel, insieme a un pizzico di marxismo eretico potessero addomesticare la ferocia dell’ideologia neoliberista che andava penetrando e colonizzando il pensiero comune e anche quello dei pochi intellettuali che si esprimevano già in contesti occupati da concentrazioni di editoria, media, accademie.

In fondo si trattava dei principi che avevano decretato il successo del quotidiano fratello e affine, la Repubblica, che aveva regalato a lettori che volevano appartenere ad una élite, l’opportunità  di comprarsi in edicola la promozione per fra parte di una cerchia progressista anche se scettica, influente anche se critica, critica sì ma quel tanto che basta per essere blanditi, accolti e vezzeggiati dai caffè di Via Veneto e dai  salotti buoni.

In questi anni la rivista in veste aggiornata di usignolo dell’imperatore nella gabbia di un editore in quota Pd, ha ripetuto i suoi riti di laicità, con un recente particolare interesse per la sua difesa da un islamismo incompatibile con la democrazia a differenza della svolta pauperista di papa Francesco,  l’atto di fede all’Europa, l’adesione a un cosmopolitismo aristocratico che ha saputo prendere il posto dell’internazionalismo,  la militanza garantista con qualche incursione nel giustizialismo, come si conveniva a qualche pentito del craxismo, acquistando un prestigio e un’autorevolezza che potrebbe essere attribuita anche a una indeterminatezza politica, all’ospitalità data sotto la bandiera del libero e civile confronto pluralista a voci apparentemente discordanti in realtà convergenti su alcuni punti inderogabili.

Sono quelli della fine delle ideologie, che ha risparmiato le idee della destra, dell’antifascismo senza antagonismo e senza una proposta anticapitalista, dell’ideale di un Progresso senza riscatto degli sfruttati che dovrebbero accontentarsi di prendersi le briciole sparse dalla manina della Provvidenza.

La “chiusura” di una rivista è sempre una ferita.

E non vale dire che la direzione di Micromega doveva aspettarselo da un padrone che riconosce e ambisce solo ai dividendi, che è vivo seppure esangue e amorfo solo in veste di azionariato parassitario, ciononostante assistito e nutrito da un succedersi di governi e da un ceto politico che esprimevano la loro subalternità mettendo l’orologio sopra il polsino e foraggiando la dinastia grazia a garanzie, alla consegna di brand innovativi,  alla reiterata offerta di impunità e immunità fiscali, penali e amministrative.

Non se lo sono meritato il “licenziamento” con gli otto giorni di rito,  anche se la sorpresa che ha annichilito i giganti di Sirio è l’effetto naturale della convinzione di costituire un club esclusivo dotato di una superiorità culturale, sociale e dunque morale, in grado di mettere al riparo delle botte riservate a chi sta sotto, di offrire una inalienabile sacralità, di garantire il rispetto dei poteri, anche se rozzi, commerciali, corrotti.

Una colpa c’è, quella di non aver previsto, intuito, contrastato va a sapere se per arroganza o affinità, la trasformazione aberrante ma facilmente diagnosticabile di quella imprenditoria che una volta coltivava dei miti da impiegare come copertura, che nutriva l’immaginario con le sue icone eretiche, da Olivetti ai generosi padroni che fanno opere di bene e mecenatismo, scaricandoli dalla tasse, che partecipavano dalle colonne dei giornaloni della ripresa delle utopie keynesiane pensando di darcela a bere mentre si accordavano sul Jobs Act, la Buona Scuola, le privatizzazioni, le repressioni delle manifestazioni del lavoratori e dei fermenti dei margini brutti, sporchi e cattivi.

E con i quali era stata trovata una comoda e confortevole intesa nel fare gli antifascisti limitandosi a censurare il gran buzzurro, scegliendo il cancro Hillary, perbacco è anche un donna, contro l’ictus Trump, e poi la lebbra Biden, così come in patria è consigliabile schierarsi con il male minore anche se è comunque un Male, politicamente corretto perfino quando instaura uno stato di eccezione, smantella principi costituzionali, demolisce l’edificio dei diritti già corroso alle fondamenta.

A pensarci mi viene in mente una novelletta veneziane che parla di un brav’uomo che incuriosito dal viavai segue un gruppo di signori in una casa, si siede nel salotto e segue con passione i loro discorsi, finchè fanno irruzione i soldati austriaci e lo arrestano con sua grande sorpresa. “Ma come, gli contestano, non sa che quello è un pericoloso circolo carbonaro?”.  E lui, “ma no, risponde, mi credevo che fusse el Casin dei Nobili!”.

Solo che qui andava alla rovescia, quelli che si presentavano come audaci rivoluzionari, erano in realtà un circolo di signorili  blasonati aristocratici.

Ecco, guai se non sopravvive Micromega, perderemmo l’occasione di combattere contro il nemico in casa.