Anna Lombroso per il Simplicissimus

Il maltempo si è abbattuto sull’Italia: precipitazioni  nevose sui settori alpini, colpiti il Veneto e il Friuli investiti da  raffiche di bora e mareggiate,  in Toscana voragine nel grossetano, nubifragio a Roma, a Ostia il vento ha devastato lo stabilimento della Vecchia Pineta dove si recavano i gerarchi e le loro signore e finora rimasto intatto, fenomeni a carattere temporalesco al Centro-Sud  dove notevoli accumuli di pioggia che hanno ingrossato i fiumi, portando esondazioni e frane in Campania, Basilicata e Calabria, venti forti  sulle regioni meridionali e sulle isole maggiori. In Sardegna è esondato esonda lo stagno di S’Ena Arrubia nell’Oristanese, tanto da richiedere la chiusura della strada provinciale. E a Venezia “San Marco non regge più” dice il Procuratore della Basilica.

 Nel  calendario lunare  cinese, ogni anno è legato a un animale. Fosse così in Italia, questo per le autorità sarebbe l’anno del cigno nero, tanto è loro cara l’applicazione  della  metafora che descrive così un evento non previsto, che prende di sorpresa con ricadute rilevanti e drammatiche. Così una crisi sociale che dura da anni e che si è concretizzata in emergenza sanitaria viene razionalizzata come un accadimento fulminante e fatale e non come l’esito certo di una catena di fattori di propagazione e incremento dei danno di una malattia, dall’inquinamento alla inadeguatezza del sistema sanitario a prevenire, curare assistere.

E benché ad ogni autunno un paese malandato, trascurato, trasandato, oggetto di sfruttamento delle risorse e del territorio, di consumo di suolo, speculazione e abusivismo, celebri un rito di rovina e di morte, la reazione è quella della sorpresa inaspettata, cui seguono gli atti ogni volta ripetuti e sempre uguali, richiesta del riconoscimento della stato di emergenza che produce misure speciali, commissariamenti di territorio, poteri eccezionali e risorse buttate senza risparmio per la riparazione che – lo sanno anche gli amministratori di condominio, costa di più dell’ordinaria manutenzione, e che viene affidata con agguiramenti di regole e controlli.

Quest’anno non viene riservato nemmeno il doveroso pensiero ad eventuali vittime, non catalogabili in assenza di opportuno tampone, così anche i titoli e  le passerella delle tv del dolore fanno scivolare il maltempo tra le brevi in cronaca.

Non desta sorpresa che ormai il maltempo sia, alla pari della criminalità, un elemento unificante del Paese troppo lungo: al nord operoso come nel mezzogiorno renitente crollano strade, franano montagne, si aprono voragini, straripano fiumi e torrenti, nella Calabria diventata allegoria del malgoverno come nell’operosa Lombardia dove il piano per il risanamento e la messa a regime di Lambro, Seveso e Olona giace nei cassetti ministeriali e regionali da ben più di trent’anni,  nella Sicilia i cui dirigenti politici sono concentrati sul ponte dei miracoli che dovrebbe collegarli a un sogno di sviluppo fatto di cemento, soldi sporchi, pastette e rischi, come nel Veneto diventato un posto dove si stoccano in discariche abusive rifiuti tossici, dove il brand del prosecco largamente infiltrato dalla mafia contribuisce  al dissesto di un territorio un tempo felice e pingue.

E per caso vi ricordate quando lo storico inglese Donald Sassoon sostenne che il buongoverno in Italia veniva percepito come una specificità̀ tipicamente emiliana, grazie a un modello di governo locale   capace di promuovere il benessere attraverso la stabilità politica e un’efficace azione amministrativa?

Qualcuno attraverso i dati di centri studi sostiene che la vittoria alle elezioni regionali di Bonaccini sulla candidata di Salvini sia dipesa da un “tesoretto” di fiducia che ancora resiste  nei confronti delle istituzioni locali e delle associazioni di rappresentanza con livelli di credibilità di Comuni e la Regione superiori al dato nazionale.

Verrebbe da chiederlo agli abitanti di Nonantola a quanto ammonta il gruzzolo di autorevolezza su cui conta il ceto dirigente locale, dopo lo straripamento del Panaro, la falla di 70 metri degli argini del  fiume che ha richiesto 4 squadre di operai, 150 mezzi pesanti per il trasporto di 4500 tonnellate di materiali   e chissà quanti quattrini in previsione dei fondi statali richiesti immediatamente dal presidente, partner con i colleghi di Lombardia e Veneto della sempre più singolare pretesa di autonomia dal governo centrale.

Anche Nonantola alluvionata deve essere stata una tremenda e inattesa rivelazione, malgrado nel 2017 il modenese fosse stato investito da fenomeni altrettanto estremi, malgrado la Padania, espressione cara a a pari merito ai leghisti con l’elmo con le corna in testa mentre suggono l’acqua benedetta del sacro fiume, come ai progressisti/riformisti reduci del sogno rosso, abbia dimostrato di essere una zona a rischio di eventi climatici e pure sanitari, che, si sa, le due cose non sono estranee l’una all’altra.

Le persone, le famiglie e le attività colpite sappiano che la Regione è al loro fianco, da subito- ha dichiarato Bonaccini nello spirito della rinascita tempestiva, un po’ come quella di Conte che ha annunciato urbi et orbi all’Avvenire che dalla primavera “decollerà la ricostruzione nel cratere del sisma del Centro Italia!”.   La cosa più importante, ha detto, è fare tutto ciò che è necessario per tornare in pochi giorni alla maggiore normalità possibile, facendo rientrare nelle proprie case chi le ha dovute lasciare e far ripartire pubblici esercizi e piccole attività, cominciando da chi era già stato penalizzato dalle misure restrittive anti-Covid”. 

E difatti ha stanziato nel ruolo di elemosiniere due milioni di euro per i ristori economici dei pubblici esercizi colpiti: commercio, piccoli negozi, bar e ristoranti, combinando le mancette della carità pandemica con quelle altrettanto arbitrarie della beneficienza climatica. Non è stato altrettanto sollecito nel fornire dati e preventivi su misure di tutela e salvaguardia del territorio, malgrado abbia a capo della sua compagine in qualità di vice presidente la grande speranza del progressismo “coraggioso”, quella copertina dell’Espresso della Gedi che rivendica di avere al primo posto tra i suoi “valori” l’ambiente.

E come non dare ragione a Chico Mendes quando diceva che  “l’ ambientalismo senza la lotta di classe è giardinaggio”, infatti par di vederla la Elly Schlein con cappelluccio in testa come una eroina di Barbara Pym che zappetta audacemente tra i rosai mentre il suo capo esige che venga rivisto il regime di autorizzazioni per le trivelle davanti ai litorali della regione, mentre mobilitava più di 70 unità mobili specializzate per girare in tutta la regione, provincia per provincia, per andare a cercare chi si sottraeva agli obblighi di isolamento, i positivi renitenti alla quarantena.

O mentre perfino in piena pandemia reclamava a fini turistici una nuova stazione della linea di Alta Velocità in corrispondenza della Fiera di Parma che faccia da pendant con quella di Reggio Emilia, o mentre autorizza la realizzazione di un polo logistico ad Altedo, una distopia costruttiva da  400.000 mq di superficie utile pari a 80 campi da calcio, al centro di una zona priva di collegamenti ferroviari, o mentre si espone personalmente, lui si che è un ardito, per rivedere la legge del 2017 sul consumo di suolo in modo da  renderla ancora più consona alla spirito della semplificazione, quindi più permissiva.

È che l’ambientalismo che piace alla gente che piace è quello della gran balla della green economy che pretende di sanare i guasti del mercato con il mercato, facendo raccogliere lattine, promuovendo il commercio delle licenze di inquinale e eliminando il famigerato olio di palma, è quello che denuncia lo scioglimento dei ghiacci nelle zone artiche, mentre si scioglie di gratitudine per costruttori e immobiliaristi, è quello che si commuove per le foche ma ha girato lo sguardo dallo spettacolo degli allevatori colpiti da terremoto del 2012 che hanno dovuto indebitarsi per rimettere in piedi stalle e attività.

Eh si hanno davvero un bel coraggio, la regione Emilia Romagna diversamente leghista e gli altri gaglioffi di Veneto e Lombardia,  a esigere, dopo le prestazioni in campo sanitario a ambientali come fosse meritata la secessione dei ricchi per liberarsi dalla zavorra meridionale e proprio in materia appunto di salute, istruzione, università, ricerca scientifica e tecnologica, lavoro, giustizia di pace, beni culturali, tutela dell’ambiente, rifiuti, bonifiche, caccia, difesa del suolo, governo del territorio, infrastrutture stradali e ferroviarie, rischio sismico, servizio idrico, commercio con l’estero, agricoltura e prodotti biologici, pesca e acquacoltura, politiche per la montagna, sistema camerale, coordinamento della finanza pubblica regionale, enti locali.

È che il coraggio dobbiamo averlo noi invece, di stanarli e poi confinarli perché non nuocciano gravemente alla salute e all’onore.