Viviamo davvero davvero in un mondo irreale che purtroppo ha la solidità degli incubi e rischia di schiacciarci. Il “Grande Reset” titolo di un  libro di Klaus Schwab, fondatore e attuale direttore esecutivo del World Economic Forum tratta temi e prospettive che in realtà sono argomento di dibattito da diversi anni nei circoli del potere con buona pace della truppa mediatica di infima qualità intellettuale e morale, la quale vorrebbe farci credere che l’espressione sia frutto di complottismo. E’ infatti da tempo che le elite dominanti hanno consapevolezza dell’impossibilità di conservare il potere e le sue forme dentro la logica neo liberista di crescita infinita, totale privatizzazione e di distruzione sociale: per questo  cercano di immaginare un futuro distopico, comunque autoritario e oppressivo, non ancora non ben definito nei suoi particolari , ma spesso baluginante nei documenti delle grandi organizzazioni finanziarie, del Fondo monetario internazionale  della Banca mondiale, ma anche di personaggi come per esempio Soros e Gates la cui immensa ricchezza, inimmaginabile ancora negli anni ’80 del secolo scorso, li rende protagonisti e coautori di una visione globalista  dove non c’è posto per le culture intese nel senso più ampio del termine a cominciare da quelle politiche, non c’è posto per la partecipazione dei cittadini, per i diritti, per gli Stati e per la democrazia. Non è che siano congiurati, ma semplicemente parti più visibili di una corrente, come rami che dentro un fiume segnalano lo scorrere delle acque e fanno da momentanei punti di riferimento o forse sarebbe meglio dire i parassiti più visibili di una colonia che ha infestato il pianeta e le menti.

Negli ultimi tempi la governance globale che nei decenni precedenti ha scalato le posizioni di potere nelle nazioni dell’occidente si è trovata di fronte a un problema: la trasformazione graduale della società , attraverso tutti gli strumenti della persuasione e della compravendita, della deculturazione, della neolingua, della tattica politica dei piccoli passi e della repressione morbida  è giunta ai suoi limiti cominciando ad incontrare resistenze sempre più forti , non importa se coerenti, ma comunque espressione di un disagio in via di esplosione. E questo mentre l’economia finanziaria si è trovata di fronte a un circolo vizioso senza uscita, mentre incombe una diversa divisione del mondo. Di qui ha preso sempre più forza l’idea, peraltro già rimuginata dei think tank di ogni genere, di agire attraverso degli choc in grado di paralizzare le resistente per accelerare al massimo i processi di trasformazione senza pagare dazio. Come, quando e perché si sia coagulato il fronte pandemico, peraltro tema di infiniti dibattiti ed esercitazioni almeno dal 2015, è difficile da dire, anche se certamente le elezioni Usa sono state un passaggio decisivo, ma credo che una cosa debba essere compresa: non ci troviamo affatto di fronte a un complotto che nasce da una serie di personaggi e di poteri, ma da una logica di sistema, dai rapporti sociali ed economici che esso rappresenta. Non c’è alcun dubbio che puntare su alcuni personaggi e scelte, su alcuni possibili eretici  piuttosto che su lacchè dichiarati può essere vantaggioso, può far guadagnare tempo, ma non risolve di certo il problema: pensare di poter tornare alla “normalità” neoliberista è un’illusione perché essa è ormai consumata e non ha che la propria follia da offrire. Le sue soluzioni per il futuro sono un falso ambientalismo del profitto, che tra l’altro punta sui problemi minori come quello che cosiddetto riscaldamento globale ed evita invece i nodi decisivi dell’avvelenamento ambientale che invece vengono esaltati dai nuovi assetti tecnologici suggeriti. E per quanto riguarda la immensa caduta del lavoro dovuta all’inevitabile robotizzazione non si pensa nemmeno a sostituire quel lavoro con altro che potrebbe derivare dall’estensione, per esempio, dei servizi universali e sociali, oggi ridotti ai minimi termini, ma si propone come detto mille volte dal sistema stesso nonché dai grandi ricchi, di sussidi verso una popolazione senza lavoro, dunque senza nemmeno un minimo di autonomia politica e la capacità di reagire a qualsiasi arbitrio, una massa amorfa, senza diritti se non quello di supplica e interamente dipendente dalle elemosine.  Come suggerito all’inizio del post è una situazione assolutamente irreale, ma è anche assolutamente inevitabile rimanendo dentro il sistema di capitalismo neoliberista che porta all’accentramento totale delle risorse e alla privatizzazione di ogni potere contro ogni forma statale e costituzionale.

Occorre dunque inventare un’altra strategia, ma il fallimento delle resistenze finora abbozzate deriva dal fatto che esse in qualche modo si collocavano e tuttora si collocano dentro il neoliberismo, anche se talvolta travestite da sospette escatologie di rete o da teorie economiche alternative o da vacue suggestioni importate da oltreoceano e pensano che sia possibile semplicemente correggerlo, magari, nei casi più estremi, bastonando talune delle sue figure idealtipiche. E’ la medesima illusione della socialdemocrazia, quella di correggere il capitalismo dentro il capitalismo, che ha in qualche modo funzionato fino a che è stata intesa come piattaforma per rendere più facile una trasformazione, ma è diventato il miglior complice quando ha pensato di essere un punto di arrivo e non di passaggio, un fine e non un mezzo. Neanche alla pandemia narrata, nonostante la sua palese e sfacciata mistificazione, sarà possibile opporsi con efficacia senza cambiare sistema di riferimento di pensiero. E tanto per essere concreti lo vediamo in questi giorni in cui l’Oms si sottrae al tribunale di Bergamo invocando l’immunità diplomatica e non la bontà dei suoi letali suggerimenti, senza che questo dissolva un grammo di paura o aggiunga un grammo di lucidità e di indignazione verso quello che siamo costretti a subire. Una resistenza coerente in grado di arrestare il dispotismo, ora sotto forma sanitaria, domani estesa ad ogni ambito, potrà nascere soltanto da un fronte che ha quantomeno la chiara consapevolezza di essere antagonista al sistema e non solo l’ambizione di fare da correttori di bozze. Solo così sarà vera Resistenza e non mera resilienza.