Gratta gratta e si scopre che i veri fascisti sono proprio quelli che fanno mostra di antifascismo e magari si appuntano medaglie di cartone sui baveri di sartoria, sono loro che si sono seduti sulla pancia dello stato di diritto e lo vogliono soffocare. E’ di qualche giorno fa la sparata del deputato piddino Andrea Romano il quale nel corso di un’intervista alla 7  si è armato di manganello e di olio di ricino e ha detto: “Se ci saranno ancora quelli che lavorano contro i vaccini, quelli lì andranno zittiti, non bisognerà nemmeno dare loro il diritto di parola, lo dico a tutti, giornalisti, politici, tecnici, perché davvero non scherziamo più”.  Naturalmente nel linguaggio deforme del deputato lavorare significa semplicemente mostrare le incognite di vaccini non sperimentati che del resto vengono evidenziate da centinaia di scienziati, ma al romano fascista questo non importa nulla, perché la sue verità sono esclusivamente i suoi interessi, vuoi politici, vuoi di altra natura, ammesso che ormai esista una qualche significativa differenza.  Dunque la libertà di parola deve essere abolita dice il banale interprete dello spirito del tempo e mentre si può anche sopportare qualche stonatura sugli articoli della fede pandemica, con i vaccini si tratta di toccare i soldi della questua e questo davvero non si può tollerare.

In questo clima  di veleni e di paura nel quale la Costituzione viene stracciata tutti i giorni dai più immondi figuri, compresi quelli che non parlano in sua difesa e tacciono come sepolcri imbiancati, la dichiarazione non mi avrebbe impressionato più di tanto, se non fosse che Andrea Romano non è uno di quelli pescati nel demi monde della piccola borghesia delusa, ma incapace di liberarsi perché vittima della deculturazione politica liberista, è invece un personaggio che viene da lontano, come si sarebbe detto un tempo, prima di approdare al più volgare trasformismo; è insomma in  qualche modo anche lui un’autobiografia del declino della sinistra italiana. Dopotutto è anche docente universitario di storia contemporanea, sebbene arrivato alla cattedra per peso politico e familiare ( l’ex moglie, Marta Craveri era figlia di di Pietro Craveri, illustre storico, barone universitario nonché nipote di Benedetto Croce). Ma diciamo che la sua docenza non è certo scandalosa come quella di molti politicanti accademici: in fondo ha passato quattro anni in Russia ad approfondire la storia dello stalinismo di cui poi ha ampiamente scritto e che magari ora vorrebbe praticare sulla nostra pelle. Sì perché Romano, rampollo di una famiglia più che agiata, con interessi nella marina mercantile , ha studiato prima presso i salesiani come ben si addice all’alto borghese italiano. poi al liceo si è accostato alla sinistra e ha preso la tessera della Fgci (federazione giovanile comunista),  cosa che adesso nega, ma che è evidente dai ruoli che ha ricoperto dentro questa organizzazione. Poi è andato a studiare Storia a Pisa e nel 1989, non appena caduto il muro di Berlino è andato in Russia a studiare da vicino la traiettoria del comunismo.

Tornato a casa dopo questa campagna di studi, il Pds lo inserì come ricercatore nell’Istituto Gramsci, sinedrio degli studi sulla storia del comunismo, ma quando D’Alema, alla ricerca affannosa di una nuova visione, si spostò sul blairismo  lui immediatamente divenne l’agit prop di una socialdemocrazia così annacquata da sembrare gemella del neoliberismo e fu tra i fondatori e poi direttore del think tank dalemiano Italianieuropei. Per celebrare il passaggio scrisse anche un libro peana du Blair, ma non calcolò bene i tempi della trasformazione, fece un passo troppo lungo in direzione di quelli che erano stati gli antichi avversari e così D’Alema non lo candidò a deputato dando inizio a una intemerata carriera di voltagabbana, prima con l’avvicinamento a Rutelli, poi a Luca Cordero di Montezemolo che lo volle direttore di Italia Futura, illustre pensatoio dei non pensanti e in tale veste fu candidato nella lista Monti nel 2013. Entrò in Parlamento dichiarando che il montismo era l’avvenire, ma dopo il disastro del partito alle europee, scappò nel gruppo misto dichiarando che era cambiato tutto, che lui si limitava a seguire i suoi elettori e infine approdò al Pd e al renzismo. Adesso è diventato il duce del vaccino, non prima però di essere stato un valoroso combattente a fianco della Nato contro le cosiddette fake news tanto che nelle cronache è rimasta questa folgorante dichiarazione: “La Nato, l’organizzazione internazionale che ci tutela in qualche modo dal punto di vista militare, è da qualche anno che investe soldi contro le fake news, ma non tanto per fare censure ma perché esse rappresentano uno strumento di conflitto geopolitico normalmente organizzato dalla Russia.” Uno così, uno capace di dire queste cose, dovrebbe andare a nascondersi e invece vuole mostrare a tutti il suo abito da Arlecchino, sempre stirato di fresco e inappuntabile.

Come si vede Andrea Romano non è un tizio qualunque: è al contrario l’emblema di una sinistra che ha dimenticato del tutto il marxismo, ma ha conservato il leninismo, che in questo contesto diventa mera espressione di elitarismo antipopolare. Anzi di vero e proprio fascismo e questa volta non scherziamo.