Anna Lombroso per il Simplicissimus

Il virologo Andrea Crisanti, cui pare si debba la salvezza del Veneto dall’ecatombe e di Zaia dalla sconfitta elettorale, va a una kermesse organizzata dalla rivista Focus – e questo non depone granché a suo favore – e a un intervistatore che lo interroga sul vaccino anticovid ormai alle porte, innocentemente e ingenuamente risponde:  «Normalmente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per produrre un vaccino. Per questo, senza dati a disposizione, io non farei il primo vaccino che dovesse arrivare a gennaio». 

Apriti cielo, è bastata questa affermazione piena di domestico buonsenso per togliergli di dosso l’abito sacerdotale dello scienziato e arruolarlo nelle file dei negazionisti, dei terrapiattisti e, ci mancherebbe il contrario, dei no-vax.

E lui si stupisce, da uomo riservato, che, par di capire, è stato trascinato dagli eventi a mostrarsi con una visibilità, che per altri tecnici della materia chiamati a comparire, offrire consulenze, dare pareri e soprattutto dichiarazioni, è stata come il sangue per Dracula, rinvigorendo la loro immagine, il loro credito e i loro dogmi inappellabili, pena la condanna al rogo, per ora virtuale.

Ancora si affanna a spiegarsi, non riesce a capire come mai sia stato frainteso. Si vede che non sa che per non essere manipolati bisogna stare in silenzio. E anche quello non basta perché può essere soggetto a opportuno trattamento così da essere percepito come codardia, supponenza, indifferenza o omissione colpevole.

E  nemmeno noi capiamo davvero di essere entrati in un circolo vizioso nel quale è sempre più difficile distinguere realtà e invenzione, verità e balla.

Se vogliamo credere ciecamente alla narrazione che viene dalle fonti ufficiali, precipitiamo in una spirale di conformismo obbediente che non ci mette al riparo dai rischi perché limita la nostra capacità di giudizio e veniamo posseduti da un marasma, diventiamo naufraghi in cerca di salvezza aggrappandoci a credenze, riti apotropaici, superstizioni, offerte a piene mai di santoni cini e una informazione farlocca.

Oggi tanto per fare un esempio, viene offerta l’opportunità di distinguere il Covid da altre influenze stagionali riempiendo le caselle di un simpatico test di quelli che si fanno sotto l’ombrellone, predisposto da “studiosi americani”: se tutto è cominciato con, cito con tanto di maiuscole,  “ FEBBRE, per poi progredire con TOSSE e DOLORI MUSCOLARI,seguiti daNAUSEA e/o VOMITO e, infine, DIARREA”, allora avete la peste del 2020, ma se invece vi limitate a tosse e febbre potete accontentarvi di   morire di un normale virus stagionale. 

Se invece ci ostiniamo a mettere in discussione l’informazione che ci viene erogata, non solo ci macchiamo della colpa di miscredenza arrogante e irresponsabile, ma finiamo per temere che un eccesso di negazione, fino all’irrazionale consegna al nichilismo, ci condanni alla stigmatizzazione e a un distanziamento morale.

 Il fatto è che siamo così soggetti alla manipolazione che invece di difenderci, siamo inclini a sospettare genericamente, e quindi ad alterare, a truccare o perfino a falsificare quello che apprendiamo da fonti che riteniamo autorevoli, al fine di rafforzare le nostre convinzioni spontanee delle quali non siamo sicuri. Ne  siamo talmente infiltrati che diventa fisiologico interpretare, invece  di “registrare”, sintetizzare per poi, successivamente, elaborare.

Siamo davvero indifesi, in una fase nella quale chiunque abbia conservato un minimo di lucidità si convince ogni giorno di più che non avranno creato il virus demoniaco in laboratorio, o forse si, ma che sia comunque in corso un processo per soggiogare la collettività grazie a una serie di procedimenti: nutrire una paura cieca e irragionevoli, somministrare il senso di colpa per qualsiasi comportamento anomalo, stabilire la centralità della scienza, quella dichiaratamente al servizio dell’autorità costituita.

Non vale nemmeno la pena di prendersi la briga di tornare sull’abuso della parola e del concetto di negazionismo, che ha estremizzato la marginalizzazione comminata come condanna a morte sociale e morale di chi non rende continuamente il suo atto di fede a alcune verità rivelate: il Progresso – e la tecnologia con i suoi corollari, automazione, robotica, intelligenza artificiale,  il Mercato, le cui regole e modalità sono state promosse a leggi naturali, il Pianeta, quello globalizzato,da tutelare con gli strumenti commerciali e economici  promossi dal sistema che lo sta alterando, la Velocità, proprio in senso futurista, quello del dinamismo vitalistico e attivistico,  dell’ottimismo che deriva dal possesso di strumenti e possibilità che nutrono un senso di onnipotenza virtuale, cui fa contrasto l’impotenza concreta della quale abbiamo proprio in questi mesi avuto al tremenda “rivelazione”.

E poi il Futuro, circoscritto all’immediatezza, se non possiamo aspettare i tempi necessari per testare un vaccino, se si celebra il primato situazionista della precarietà, del consumo usa e getta, cui contribuisce una somatica pubblica che vuole tutti giovani, produttivi o meglio ancora esecutori di ordini perentori dati giorno per giorno, che tanto il successo, la bellezze, la fama, l’influenza sono effimeri e “istantanei”.

E la Scienza. Qualcuno aveva detto che la Scienza e le sue discipline sono l’arte del dubbio applicata alla Verità e alle verità. Che non può e non deve elargire certezze non riscontrate, soluzioni demiurgiche e riti sacrificali, che non può e non deve imporre  un punto di vista univoco che proibisca di fatto agli individui di autodeterminarsi per addestrare la popolazione ad accettare come normalità e doverosa responsabilità collettiva, la rinuncia in nome della salute a diritti altrettanto inalienabili: lo studio, il lavoro, l’affettività, la socialità.

Invece. Ormai la censura zittisce anche scienziati e tecnici “eretici”, li accusa di complottismo, diventato ormai un’epica  letteraria, li tacita, con l’intento esplicito di rimuovere le vere cause dell’emergenza che consistono in una normalità malata, che ha soppresso assistenza, cura, professionalità, competenza, ricerca e prevenzione, che notoriamente costituisce una controindicazione al profitto delle industrie, dei santoni e dei guru della medicina, dei laboratori di ricerca impegnati a conservare sintomatologie dolorose e veleni  per alimentare il mercato delle terapie e degli “antidoti”.  

Purtroppo non c’è dottore che ci possa salvare dal morbo della manipolazione, c’è gente che la denuncia,  poco ascoltata e molto biasimata perché rompe la vetrina nella quale esibiscono i generi diventati di prima necessità che dovrebbero compensarci della perdita di libertà di pensiero e scelta.

Non sono medici della mente e della percezioni, ma da anni hanno messo a punto una diagnostica per analizzare sintomi, fenomeni, modi e processi di diffusione e contagio: creare un problema per proporsi in veste di demiurghi che lo risolvono, altalenarsi tra impennate e poi un decrescere consolatorio del rischio, determinati dalla opportunità di colpevolizzare o lodare i comportamenti individuali, sollecitare le risposte emotive, di paura o di sollievo, insinuare e nutrire il senso di colpa collettivo per distogliere lo sguardo dalle responsabilità politiche delle autorità, isolare il pubblico in modo da creare ulteriori sospetti, risentimenti e minare qualsiasi aspirazione alla solidarietà.  

Ma se il paziente non vuol sapere, non vuole conoscere per reagire e contrastare la malattia, allora la guarigione è impossibile.