Anna Lombroso per il Simplicissimus

L’ipocrisia, oggi ridefinita in ossequio allo slang imperiale “politically correctness”, si declina in svariati modi.

Uno tra i più diffusi da che mondo è mondo consiste nell’indulgenza plenaria concessa a i defunti a partire da quando esalano l’ultimo respiro diventando “il Povero…” e qualche volta avviata già da prima. Il motivo è risaputo, la pietas serve a seppellire, con il caro estinto,  che troppo presto anche a 100 anni ha lasciato questo mondo che aveva contribuito a rendere migliore,  la colpa personale e  collettiva di “averlo lasciato fare”, qualche indubbia complicità data anche sotto forma di preferenza elettorale o  ovazione in piazza, la codardia disincantata che condanna a sopportare il Male nel timore che arrivi il Peggio. E guai a chi, ne abbiamo un esempio in questi giorni, si sottrae all’unanime compianto per esprimere un giudizio politico a posteriori su una personalità discussa e discutibile: viene soggetto a ostracismo e censura manco fosse un maramaldo che uccide un uomo – o una donna – morti.   

E c’è anche un’altra variante dell’ipocrisia, quella in quota rosa che ispira comprensione e solidarietà per le donne, grazie a un pregiudizio di  genere che non è soltanto emotivo e irrazionale, ma diventa ben presto disastrosamente deleterio, quando le lacrime della killer degli aspiranti pensionati incutono una comprensiva tenerezza,  quando si attribuisce a domestici sentimenti di amor filiale il salvataggio di banche e manager criminali, quando una sacerdotessa della negazione die diritti  e del neoliberismo economico, testimonial attiva degli interessi del totalitarismo finanziario e digitale, diventa  la paladina di quella scrematura di femmine di potere che spezza il soffitto di cristallo a colpi di ingiustizie apprese alla scuola di Wall Street.

Per restare sul caso in oggetto si corre un altro pericolo, a leggere le pensose riflessioni che girano in rete.

Jole Santelli, malata di cancro che in campagna elettorale rilascia interviste dichiarando la sua malattia – e diamole atto che la confessione non avesse il connotato propagandistico di riscuotere compassione da convertire in consenso – si candida e viene eletta malgrado le sue condizioni di salute siano precarie, con l’appoggio dei partiti dichiaratamente di destra.

Dopo meno di otto mesi al governo della sua sventurata Regione muore precocemente, sicché prefiche ma anche persone abitualmente ragionevoli accollano la prematura dipartita allo stress del suo incarico che sarebbe stata spinta ad accettare per abnegazione ma anche sollecitata dalla sua parte politica che l’avrebbe mandata allo sbaraglio per preparare ben altra successione, e si vede,  per usarla come madonna addolorata da esibire per coprire magagne, e si vede, secondo uno di questi giochi di potere dei maschi.

Il risultato è quello solito,  la condanna genetica e morale delle femmine al ruolo di vittime o almeno di gregarie, così introiettato da piegare ambizioni, talenti,  intelligenze al servizio dell’egemonia culturale patriarcale, fino a accantonare quel patrimonio di qualità e virtù muliebri: sensibilità, gentilezza, dedizione, capacità di ascolto e spirito di sacrificio.

Se una colpa ha il senatore Morra è quella di essersi scusato. E dire che era stato fin troppo blando se andiamo a vedere i tratti della dinamica e volitiva Santelli, decantata per essere una “tosta”, apprezzata per la sua aggressività bellicosa e il piglio irruente, se esaminiamo la sua militanza rivelatasi nella fucina dei giovani craxiani e poi diventata brillante e inarrestabile  carriera in Forza Italia,  se come è giusto, prendiamo atto di una certa disinvolta indole al “pluralismo” che la porta a diventare sottosegretaria di stato al Ministero del Lavoro nel Governo Letta. Ma soprattutto se diamo anche una superficiale scorsa alla sua azione politica in materia di intercettazioni, da oscurare in coincidenza di pruriginose rivelazioni sulle abitudini del suo leader, di atti di riforma del codice penale, anticipatori della feroce direttrice segnata da Minniti/Salvini, di regolamentazione della presenza e influenza di sacerdoti di religioni “altre”, e di matrimoni “misti”, “semplificazione” delle procedure di riconoscimento dei clandestini giunti sul nostro sacro suolo, solo per citarne alcune.

E anche se andiamo a rileggerci il florilegio di dichiarazioni e convinzioni espresse in tanti anni di esposizione al pubblico da “donna di legge” quando parla delle sentenze sul G8 di Genova, da “studiosa di diritto” quando guida la protesta contro gli immigrati “untori”, da responsabile del suo partito in tema di sicurezza quando ripetutamente chiede il pugno di ferro per contrastare l’invasione e perché no? da donna, quando si compiace della battuta del Cavaliere “sceso” in Calabria per sostenerla che dichiara “la conosco da vent’anni e non me l’ha mai data”,  e “ride di gusto” prendendo in giro il “femminismo d’antan” che non sa godere di questo garbato humor.  

Ascoltando le prime dichiarazioni di Biden abbiamo appreso che anche negli stati Uniti non è più in uso l’abitudine di chiedere ai candidati a importanti incarichi l’esibizione di una documentazione che certifichi il perfetto stato di salute, garantendo così di essere in gradi di adempiere ai propri obblighi elettivi e istituzionali con efficacia e efficienza.

In realtà dovrebbe essere un obbligo rispettato da chi si accinge a diventare un servitore dello Stato o un rappresentante della volontà popolare, autonomamente  per la consapevolezza che l’impegno che si accetta deve essere assolto come un servizio speso nell’interesse generale. Ma da qualche mese ancora più di prima, abbiamo invece appreso che i doveri vanno regolamentati e imposti di volta in volta, essendo stata dimostrata la incapacità e inadeguatezza antropologica degli italiani a assumersi responsabilità individuali e collettive, che chi transige deve essere deplorato moralmente, amministrativamente e penalmente.

E quindi, anche se non è gradita l’ipotesi che tra poco col certificato di buona condotta dovremo esibire anche l’app Immuni sul telefonino e il patentino di vaccinazione per accedere a pubblici concorsi, non sarebbe del tutto vana la pretesa che chi si propone per svolgere un servizio per la comunità e l’interesse generale sia cosciente e tenga conto di eventuali limitazioni e ostacoli che potrebbero ridurre l’esercizio delle sue funzioni. E non si parla solo di problemi sanitari, ma di legami opachi, come quelli che univano in una rapporto di antica intrinsechezza la Santelli e l’iper-votato Tallini già arruolato nella lista degli “impresentabili” dalla Commissione Antimafia, che confermano che è ancora forte il rischio sanitario di contagio rappresentato da Berlusconi e i suoi cari.  

Fatto sta che regna una gran confusione. E così chi denuncia la malattia viene perseguito dai “negazionisti” bipartisan che si sentono disonorati dalla verità.