Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ormai c’è un filone narrativo che va alla grande: non c’è giornale, rivista, trasmissione televisiva che non dedichi un servizio, un’inchiesta, una testimonianza al negazionismo. Uno dei più “documentati” è comparso sull’Huffigtonpost e si avvale di contributi prestigiosi con l’intento di effettuare un’analisi del fenomeno con tanto di fonti e pareri di esperti.

A cominciare dalla  professoressa di Storia della Medicina all’Università degli Studi di Firenze, Donatella Lippi, che può esibire autorevoli referenze, compreso il sostegno militante alla  lista Nardella, che  racconta  come nei secoli siano state molte le malattie epidemiche ad essere state negate, dalla febbre puerperale alla Spagnola, dal colera la cui diffusione venne attribuita a un “virus borbonico”, alla peste del 1630.

Ad essere pedanti, si potrebbe pretendere da una accademica di storia della medicina che non negasse il dato di fatto che, nel caso della Spagnola come della peste nera, la virulenza dell’epidemia aveva trovato terreno fertile e un humus favorevole nella miseria, nella fame e in una crisi economica che aveva reso ancora più inefficace qualsiasi forma di profilassi, condizioni che hanno molto a che fare con la nostra contemporaneità.

Ma questo passa ormai l’informazione: così un’altra autorità chiamata in campo è uno psicologo di quelli un tanto al chilo al servizio delle Risorse Umane delle imprese- professore associato presso il College of Business Administration della Kent State University   in Ohio –che esplode un concetto illuminante:  “quando si trovano in periodi di particolare stress e ansia e c’è una minaccia, le persone sviluppano strategie per proteggere se stesse, il loro senso di sicurezza. E uno di questi è semplicemente negare l’esistenza della fonte minacciosa”. 

La pensa così anche un altro bel tomo in un articolo a sua firma non su Science, ma nientepopodimeno che su Forbes, tale Prudy Gourguechon, “psichiatra e consulente dei leader nel mondo degli affari e della finanza sulla psicologia che sta alla base delle decisioni critiche”, che illustra come  “I meccanismi di difesa come la negazione sono irrazionali, ma protettivi…. Per superare in astuzia la negazione è fondamentale rispettarne il potere, apprezzarne il valore adattivo, fare appello all’emozione e non all’intelletto e offrire l’alternativa di sfidare l’ansia a breve termine e il disagio emotivo, per averne un guadagno a lungo termine”.

Ci giurerei che ha già pronto un instant book, un manuale da dare alle stampe in forma di simpatica strenna su Amazon, con la ricetta per “vivere bene e in armonia con se stessi col Covid”, da aggiungere alla sua pubblicistica su come “mettere a frutto” la frustrazione dopo un divorzio o un licenziamento e a quella di supporto alle aziende, già sfornata a marzo, per “spingere il proprio brand durante la pandemia”.

Bontà sua a differenza di Galimberti o di tal Lorenzo Tosa che ne chiedeva il Tso, invece di liquidare semplicemente come matti da richiudere in istituzioni totali  i “negazionisti” e visto che con loro non serve fornire prove, opporre ragionamenti, suggerisce di fare appello alla comprensione, “entrando in empatia”,  con la carezzevole indulgenza riservata ai deficienti.

Ecco, essendo già stata arruolata nella categoria e invitata a “crepare di Covid così impari”, per aver osato criticare, come ormai sempre più cittadini, la gestione dell’emergenza, retrocessa a crisi sanitaria per negare – in quel caso, si – che è uno degli effetti prevedibili di una crisi sociale che ha incrementato come nel’600 la povertà, la circolazione di malattie, condizioni igieniche deplorevoli per la demolizione del sistema sanitario, mi aspetterei quel tanto di empatia da impedire alle autorità politiche (centrali e regionali) e scientifiche e ai loro comunicatori (dallo Studio Ambrosetti ai giornalisti in passerella nei talk show) di negare le proprie colpe, attribuendo le seconde, terze e quarte ondate (chissà quante ce ne aspettano adesso che i decisori dimostrano di non sapere più come cavarsela se non con la narrazione apocalittica) ai comportamenti irresponsabili della popolazione, dedita a apericene, rave party, grigliate, ammucchiate di scambisti e al miserabile sfruttamento del bonus vacanza.

Mi consola che tra i negazionisti della prima ora potrebbe starci bene, alla pari con Agamben, da qualche tempo regredito secondo i critici a riduzionista, il presidente dell’ISTAT Gian Carlo Blangiardo che ha dichiarato che il numero dei decessi per il Covid 19 risulta inferiore a quello dei decessi per malattie respiratorie, che nel 2017 sono stati 53.372. O uno dei più autorevoli virologi, Didier Raoult che ha espresso forti dubbi  sulla “importanza” dell’epidemia e sull’efficacia delle misure di isolamento, che in un’intervista ha definito una superstizione medievale. Per non citare i dati contraddittori dell’Oms, le statistiche farlocche o manipolate dello stesso Istituto Superiore di Sanità, che sembrano fatti apposta per creare quella sfiducia nelle fonti che animerebbe complottisti e eretici e gli studi che insinuano il dubbio che il virus circolasse da mesi  prima del Grande Allarme.

Ora, è vero che viviamo un tempo  in cui il senso critico nei confronti del potere è stato cancellato come una colpa, marginalizzato,  screditato e ridicolizzato come arcaica manifestazione di comportamenti irrazionali e irrealistici da mettere al bando e da far assorbire da una spirale di autocensura e conformismo.

Ma almeno avessero avuto il buongusto di chiamarci eretici, termine più appropriato per indicare chi contesta le divinità che hanno preso il posto di quelle “tradizionali”, il Mercato, la Scienza, la Tecnica, il Progresso, che richiedono un culto cieco e obbediente, parecchi sacrifici umani, liturgie e cerimonie, culto delle caste sacerdotali che possiedono una superiorità di carattere sociale oltre che  morale, tanto che il governo Renzi ha pensato a una ulteriore penalizzazione del negazionismo per appagare la sete di “vendetta” di chi lotta contro chi sconfessa le “foibe”.  

Ora si sa che negazionismo è  un termine  nato ed applicato a chi ha messo in discussione la testimonianza di migliaia di documenti, scritti e figurali, di una persecuzione disumana, che ha colpito 6 milioni di persone, una etnia, dissidenti, rom, matti, malati.

Primo Levi, ne “I sommersi e i salvati”  ne spiegava la natura prendendo a emblema le  dichiarazioni fatte nel 1978 da Louis Darquier de Pellepoix, già commissario addetto alle questioni ebraiche presso il governo di Vichy intorno al 1942, e responsabile in proprio della deportazione di 70.000 ebrei, che volevano accreditare la “falsità” delle le foto dei cumuli di cadaveri (“sono montaggi”, diceva)  le statistiche dei milioni di morti (“fabbricate dagli ebrei” in cerca di indennizzi), le camere a gas  (“servivano solo per uccidere i pidocchi”).

Ma dovrebbe valere oltre che per Faurisson, per indicare il succedersi di governi e storici della Turchia che trattano il genocidio armeno come una invenzione, oltre che per definire la conversione in campagne umanitarie di eccidi coloniali e quella di colpi di stato attuati con tiranni sanguinari in rafforzamento istituzionale.  

A vedere chi abusa del termine ben oltre il dileggio riservato a Pappalardo o Montesano, si capisce che l’intento è lo stesso che ha animato i decreti sicurezza dell’avvicendamento Minniti-Salvini, criminalizzare o deridere, punire o marginalizzare con il disprezzo i trasgressori, intesi come maleducati che offendono l’ordine pubblico, barboni e  lavavetri, straccione che minacciano la reputazione di città turistiche, stranieri che cucinano cibi dall’odore sgradito ai consumatori di SughiPronti, fino ad arrivare a contestatori del sacco delle territorio, delle Grandi Opere, e ora della qualità e potenza estrema delle misure eccezionali di contrasto, probabilmente  sproporzionate ma sicuramente fonti di soprusi, di disuguaglianze e discriminazioni.  

Sanzioni, multe, gogna morale sono le forme che ha assunto  la condanna contro chi, sollevando obiezioni sulla confusione che continua a regnare in materia di terapie e cure, mentre si aspetta l’arrivo miracoloso del vaccino, sugli investimenti dissipati  sparsi come una polverina d’oro sotto forma di banchi a rotelle, monopattini promossi dall’Ue, tamponifici a cura dell’esercito, sulla totale mancanza di un progetto per il rafforzamento della medicina di base, ricordata in occasione delle comiche linee guida, si sarebbe macchiato a un tempo di irresponsabile antagonismo disfattista nei confronti dell’autorità e di eresia nei confronti della scienza e quindi del progresso come oscurantisti.

E la risposta non può, a distanza di più di otto mesi, consistere nella conta dei morti secondo il pallottoliere astratto e orrifico che mette insieme  tutti i decessi, nell’esibizione delle immaginette votive degli eroi e degli augusti degenti, cronisti sul campo compresi a fronte delle foto segnaletiche dei vecchietti a spasso e dei flaneur al bar.

La risposta non può essere un  distanziamento sociale che ha assunto una valenza etica ormai ritenuto innaturale e dannoso, che ha reso conflittuali la sfera della socialità da quella della salute, “tutelata” da una tirannide scientista che ha la pretesa di tradurre l’uomo, il suo sentire, i suoi bisogni d’amore, le sue speranze e i suoi lutti in grafici e tabelle, ridotti a numero, cifre come quelle tatuate un tempo su un braccio.