Non sono mai stato un grande estimatore di Massimo Cacciari, soprattutto di quello che da molti anni si diverte a tirare il sasso e ritirare il braccio, ritagliandosi così un grande spazio di ambivalenza  e allo stesso tempo di curiosità come fosse una specie di uomo della soglia sempre in procinto di varcarla, ma senza mai superarla. Tuttavia da un po’ di tempo ritrovo ogni tanto qualche sintonia forse perché  man mano che si accumulano gli anni ci si stanca di fingere e si ha anche meno necessità di compiacere il milieu per conservare la visibilità. Così nelle ultime esternazioni Cacciari, pur senza decostruire  completamente la favola della pandemia, che dopotutto esiste e si chiama influenza, si diverte però a definire assurde le misure prese e a proporre un raffinata provocazione su vari livelli che colpisce nel segno: le segregazioni e i distanziamenti, dice in sintesi, sono stati una catastrofe senza precedenti solo per una parte del Paese, quella di chi ha un’attività autonoma. mentre per i dipendenti pubblici non c’è stato alcun danno (io aggiungerei anche il vantaggio di lavorare meno nella stragrande maggioranza dei casi): “Il Covid ha creato un abisso fra il settore pubblico che si illude di essere ancora garantito e quello privato, che non ha più niente neppure per illudersi, perché è, lo ripeto, alla canna del gas. E se gli salta anche il Natale…Conosco delle persone nelle mie montagne, che si sono buttate dalla finestra per la prospettiva immediata di fallire.” Dunque il governo dovrebbe operare per la distribuzione del reddito e Cacciari si augura che per solidarietà nella lotta al Covid vengano toccati in maniera consistente anche i salari del settore pubblico e parapubblico per mettere in campo le risorse necessarie ai “ristori” promessi da Conte e per ora niente più che qualche micragnosa e inutile elemosina.

La portata di queste parole sono tali da infliggere diverse coltellate all’Italia della confusione totale e del politicamente corretto: dà una mazzata a quel ceto  sempre pronto alla solidarietà esterna purché a costo zero o al massimo generosamente supportata dallo sforzo di compilare frasi fatte sulla tastiera, ma che in questo caso non sembra affatto toccato dal disastro di metà del Paese perché nella sua ottusità acquisita pensa di essere in un posizione sicura. Si tratta peraltro dello stesso ceto che proprio per non pagare dazio si aggrappa ai fantomatici e mitologici aiuti europei e che infine fa la guardia alla narrazione apocalittica del Covid  forse nella inconscia speranza di acquisire meriti o forse più realisticamente costretto a farlo vista l’origine di scambio di molti posti pubblici in questo disgraziato Paese. In ogni caso è del tutto chiaro – e Cacciari lo sa perfettamente – che la commedia pandemica in Italia come altrove, si regge proprio grazie al favore o comunque alla non opposizione che incontra nell’area dei garantiti per i quali la paura, anche la più irrazionale e la più sciocca, è gratis: se avesse un costo, il sipario verrebbe strappato in pochi giorni nonostante la potenza di fuoco mediatico sanitario che viene messo in campo. Tutto si gioca in questo momento sul divide et impera cosi da ottenere la rovina della piccola e media economia reale servendosi della complicità di ceti parassitari per ora lasciati indenni, ma il cui massacro inizierà non appena la dittatura economica sanitaria si sarà rinsaldata. La loro sostituzione con l’Intelligenza artificiale è già prevista tanto che le multinazionali del software stanno già sfornando programmi adatti a sostituire gran parte dell’impiego pubblico, insegnanti compresi.

Per questo la proposta dell’ex sindaco di Venezia si propone come una provocazione inclemente e al tempo stesso pietosa per le inconsapevoli vittime: attraverso una proposta inappuntabile dal punto di vista del politicamente corretto tenta di mettere le premesse per ritrovare una qualche strada per la libertà.