Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ieri a proposito del mio post (qui: https://ilsimplicissimus2.com/2020/10/23/un-papa-radical-chic/ ) nel quale mi meravigliavo ancora una volta del credito che gli orfani della sinistra riservano all’attuale pontefice, che ai loro occhi rappresenta non solo una moderna incarnazione della dottrina sociale della chiesa, ma anche una testimonianza in favore dei sommersi, dei derelitti, delle vittime di consumismo e totalitarismo finanziario.

Lo spunto era offerto dalla dichiarazione di Francesco riportata in un film, di apertura al rinascimento giuridico delle coppie omosessuali, già smentita da altri esponenti del “vertice” vaticano. “Le unioni civili, secondo il cardinale Muller, violano i diritti umani,  e il Papa che non è al di sopra di Dio, dovrebbe stare più attento”.

Non ho l’ingenuità di stupirmi ancora per le incursioni temporali dei sacerdoti della religione dell’amore: nello stesso contesto il pontefice aveva affermato anche che  si deve “creare una legge di convivenza civile” in modo che le coppie gay siano coperte legalmente. Tanto da essersi battuto personalmente per quello.

Icastica manifestazione questa, della sua volontà, o meglio della sua legittimazione celeste, a intervenire sulle questioni e sulle norme che regolano la vita “civile” non solo dei fedeli ma di tutti i cittadini. Attività che già svolge con grande tenacia se taccia di “carnefici” i medici che applicano una legge dello Stato italiano che legalizza l’interruzione di gravidanza, prima soggetta a criminose pratiche clandestine.

E se agisce come i predecessori compreso l’emerito vivente, delegittimando il tribunale in terra nel caso di pedofilia, per consegnare il giudizio a quello supremo. O se, in plastico contrasto con la riflessione contenuta nell’ultima enciclica sul “possesso”, che avrebbe ragion d’essere se prevede una funzione sociale di “indennizzo” dei poveri della terra, non si ipotizza l’obbligo di “cittadinanza” che spetta a chi possiede delle proprietà in Italia, chiamato a contribuire con le tasse ai servizi offerti dallo Stato e dei quali gode.

 Si sa che sono tempi bui nei quali un diritto, quello alla salute, è stato collocato in cima alla gerarchia che comprende quelli fondamentali e primari, che in troppi a torto credevano inalienabili, e quelli denominati “civili”, elargiti a piccole dosi in modo che non compromettano lo status quo.

Ci stanno persuadendo – ceto politico, scienza mai sfiorata dal dubbio, informatori, compresi quelli che hanno scoperto il giornalismo investigativo rivelandosi “positivi” in modo da offrirci dolenti e edificanti cronachette dalle corsie – che è doverosa la rinuncia alle conquiste di garanzie e prerogative nel lavoro, nell’istruzione, nella libertà di circolazione fino a otto mesi fa decantata come il trionfo del moderno cosmopolitismo, rappresentato dai voli low cost e dall’Erasmus.

E figuriamoci se è il caso, proprio di questi tempi, di parlare del diritto a porre fine alla propria esistenza quando i suoi ritmi e le sue aspettative sono sovrastate dal dolore, dall’umiliazione, dalla sconfitta della dignità battuta dalla sofferenza fisica e morale.

E infatti mentre il papa si esprimeva in favore dell’amore coniugale,  passava inosservata la pubblicazione, da parte della Congregazione della Dottrina della Fede, di un lungo documento sull’eutanasia e il fine vita, intitolato Samaratinus Bonus, nel quale non sono presenti quegli elementi di compassionevole misericordia che la religione dell’amore dovrebbe riservare a chi patisce una sofferenza che minaccia di farlo regredire a una condizione animale di puro patimento senza speranza.

Si tratta di una condanna che fa un bizzarro contrasto con un pensiero comune concentrato da mesi unicamente a combattere una malattia, accettando qualsiasi imposizione più o meno efficace, autorevole, ragionevole, dando per buone misure che sconfinano nella superstizione e che obbligano all’abdicazione dal diritto a un lavoro dignitosamente remunerato, all’istruzione e alla cura di patologie che non siano la peste in atto.  

Eppure da otto mesi chi malgrado, la colonna sonora di dati contraddittorie, statistiche raffazzonate e manipolate, ha saputo ascoltare e vedere,   ha avuto la rivelazione che è stata attuata da anni e ultimamente applicata in forma diffusa una eugenetica ispirata a salvaguardare la specie – quella dei nuovi schiavi – eliminando i pesi morti, quelle frange parassitarie che pesano sul bilancio pubblico.

Perfino  chi ha devastato l’assistenza pubblica, tagliato prevenzione e cure per i malati cronici, perfino chi ha adottato disposizioni che hanno impedito di effettuare tre milioni di esami e accertamenti per patologie – cancro, patologie respiratorie, cardiache, ematologiche-  si è vergognato di chiamare “eutanasia” ( e vedi mai,  significa buona morte) l’ecatombe di anziani morti per ipotetico concorso del Covid in aggiunta a malattie trascurate, effetto collaterale e non solo di condizioni di abbandono, della difficoltà di accesso all’assistenza, del costo di farmaci e terapie, della solitudine.

Come una apocalisse sorprendente e inattesa abbattutasi su zone inquinate che hanno incrementato la vulnerabilità dei soggetti più esposti, l’epidemia ha invece rivelato il già noto, qualcosa che avremmo dovuto conoscere e prevedere: che gli ospedali mal gestiti ammalano perché diventano focolai di infezioni, perché i vecchi non meritano attenzioni da un personale sfruttato e impreparato, perché quando riconquistano autonomia possono essere conferiti in strutture apposite dell’ordinaria manutenzione che ogni anno diventano focolai influenzali.

Il compianto per i vecchi morti da soli, senza esequie compassionevoli, senza elaborazione del lutto è diventato il sudario sotto il quale si è composta l’ipocrisia di chi ha contribuito con la benedizione delle influenti personalità mondiali a condannare gli anziani all’invisibilità, alla morte virtuale che sarebbe opportuno si concretizzasse per lasciar liberi posti e più fruttuose le risorse da investire nelle nuove geografie del profitto, quelle digitali e automatizzate cui non devono avere accesso e che più che risparmiare la fatica devono incentivare la servitù atomizzata degli individui davanti a un pc, pronti anche a dirigere con un clic i bombardieri senza pilota.

Partorirai con dolore, hanno prescritto, vivrai con dolore e morirai nel dolore, hanno “promesso”, per percorrere la strada della redenzione e della salvezza, per attraversare la cruna dell’ago, passaggio arduo, ma che, si sa, è risparmiato a chi se lo può permettere, esentato dal male, che viene ridotto con ogni mezzo diventato lecito, se si  patisce tra sete, broccati e porpore, così come escursionisti della genitorialità possono approfittare delle offerte a disposizione in altre latitudini, così come, avendo i mezzi, si riconquista la propria dignità con una morte serena e volontaria oltre confine.

E infatti vecchioni anche spregevoli ma ben equipaggiati dello sterco del diavolo si evitano l’inferno in terra, guariscono rapidamente e senza effetti dalla provvidenziale peste, occupano un piano dei nosocomi cui hanno offerto nel tempo doviziose elemosine e gli ospizi li frequentano quei pochi giorni necessari all’applicazione di pene alternative.

Il fatto è che quando la libertà è negata, quando dietro ai dogmi si nasconde un profitto, quando la malattia fa affiorare le tremende disuguaglianze, quando la nascita, le inclinazioni, gli affetti, sono soggetti a una morale di parte al servizio di regole di mercato diventate leggi naturali incontrovertibili, allora nemmeno la morte è una livella.