Anna Lombroso per il Simplicissimus

“Gli omosessuali sono figli di Dio e hanno diritto a una famiglia. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo”. Poche parole estrapolate da una intervista contenuta nel docufilm “Francesco“ di Evgeny Afineevsky, hanno suscitato  unanime giubilo, soprattutto in laici e agnostici che, in attesa di tardive conversioni da conseguire come l’ultimo successo editoriale una volta giunti allo status di venerabili maestri,  si guardano intorno alla ricerca di oggetti di idolatria politicamente corretta.

E grande esultanza si è registrata anche per un’altra dichiarazione molto riportata dai giornali:   Ciò che dobbiamo creare è una legge di convivenza civile. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo”.

A questo pontefice piace vincere facile: in Italia la legge  invocata è già stata approvata, quindi  non c’è stato bisogno di adontarsi per eventuali ingerenze nella vita democratica di un paese straniero, i cui tribunali non vengono riconosciuti nel caso del crimine di pedofilia in attesa di quello del Cielo.  E semmai il problema è che le condizioni economiche del Paese hanno reso i matrimoni e le convivenze un lusso per privilegiati, che possono permettersi una casa, nella quale, privilegio ancora più esclusivo, mettere al mondo una prole.

E lo dimostra anche  una telefonata opportunamente ripresa nel film che il papa fa a una coppia di omosessuali italiani che gli avevano indirizzato una lettera, Andrea Rubera e Dario Di Gregorio, genitori orgogliosi di tre figli piccoli  grazie alla “gestazione per altri” avvenuta in Canada, e che lo avevano interpellato per “superare l’imbarazzo”  che provano  nel portare i bambini in parrocchia alle lezioni di catechismo. 

Pronta la risposta di Francesco: “ I bambini vanno accompagnati in parrocchia superando eventuali pregiudizi e vanno accolti come tutti gli altri”, per nulla imbarazzato, lui, dalle modalità contrattuali della felice surrogazione, visto che ormai i “prodotti” erano già confezionati e si trattava magari di tre contributi alla natalità   messa in pericolo da leggi che permettono l’aborto legale contrastato da volonterosi obiettori in grazia di Dio.

Quella grazia invece non spetta a chi chiede di morire con dignità, di mettere fine a una esistenza ormai ridotta a dolore e umiliazione. Pochi giorni prima dell’edificante e compassionevole indulgenza plenaria in favore delle coppie omosessuali, era stato pubblicato  da parte della Congregazione della Dottrina della Fede, un lungo documento sull’eutanasia e il fine vita  redatto dall’organismo guidato dal  cardinal Luis Francisco Ladaria, uomo di fiducia di Francesco che lo ha scelto per succedere al tedesco Muller.

C’è ben poco di misericordioso nella requisitoria del  Samaratinus Bonus , che nega agli individui il diritto di decidere della propria vita e della propria morte,  permettendosi di compiere  scelte che la religione condanna come empie,  innaturali e delittuose tanto condannarle come crimini. Confermando l’approccio teocratico in virtù del quale le leggi divine devono tradursi in leggi dello stato, condizionandole e ostacolando qualsiasi  valore che non si uniformi alle interpretazioni che la chiesa dà di volta in volta dei suoi dogmi.

Fanno bene i vecchi irriducibili della laicità a non fidarsi se al deflagrare del caso Becciu c’è stato un affaccendarsi solerte di esegeti della enciclica “Fratelli tutti” sottoposta a ostensione in modo da creare un sapiente contrasto tra i misfatti speculativi del finanziere maneggione, prudentemente licenziato prima degli articoli di stampa sullo scandalo, e l’immaginetta votiva di un Papa che rifiuta le mollezze vaticane, incarnazione della chiesa dei poveri per i poveri e di una francescana ingenuità, tenuto all’oscuro di trame e intrighi orditi dai mariuoli che avevano avuto accesso alle segrete stanze a pure ai conti in banca personali del pontefice.

Non si tratterà di un documento programmatico dei un partito riformista europeo: il Pd guarderebbe alla bolla come a un volantino anarco-insurrezionalista meritevole di galera come i No-Tav, ma l’ecumenismo generalista dell’enciclica potrebbe rappresentare il manifesto temporale della nuova religione del politicamente corretto, con tutta la volonterosa cassetta degli attrezzi messi insieme in occasione della Dottrina sociale della Chiesa, modernizzati per accogliere i valori  antiglobalisti ma cosmopoliti,   antiindividualisti, antirazzisti, antinazionalisti, antisovranisti (fatta salva la “specialità” dei poteri autonomi del Vaticano),  antipopulista.

Il fatto è che chi si sente orfano della sinistra dovrebbe smettere di fare scouting alla ricerca di nuovi idoli e nuovi profeti. Il papa fa il papa e non è ragionevole aspettarsi il riscatto e la liberazione degli sfruttati dalla sua propaganda fide, che proprio come quei “fermenti” graditi e integrati nell’establishment si fermano alla superficie del contrasto al consumismo e non alla teocrazia del mercato, all’Impero del Denaro e non al capitalismo, da combattere con le armi della carità e della pietas e delle pari opportunità al posto della lotta di classe.  

E infatti riprendendo  un’affermazione già contenuta in Laudato si del 2015, reinterpreta il concetto di  proprietà“, per sottolineare quella che dovrebbe costituire la sua fertile vocazione: “la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata”,    condizionando il  possesso (diritto secondario)    all’ipoteca del riconoscimento e soddisfacimento del  “diritto”  dei più svantaggiati,   diritto primario, quello,  che stabilisce la “destinazione universale dei beni “.  

Come a dire insomma che il nostro frigorifero in cucina sta alla pari con la cassaforte di Fca o Amazon, ugualmente obbligati ad amministrare i loro “beni”, a “valorizzarli” e restituirli in forma di benefici per tutti, purché, lo si ricordi, “senza alcun cedimento alla concezione e alla prassi comunista dei beni e del loro possesso, concezione e prassi in cui la persona e le comunità di persone vengono posposte e asservite allo Stato”.

Ci risiamo dunque con  la conferma di principi di solidarietà e fraternità  intesi come dovere morale individuale e collettivo e non come responsabilità personale e comune che può e deve esprimersi anche a livello istituzionale come doveri dello Stato, delle istituzioni, delle rappresentanze incaricate di garantire libertà dallo sfruttamento, così come di espressione, credo, inclinazioni, aspettative.

Si sa che la povertà culturale e morale dell’ideologia neoliberista esige il ripristino di vecchi miti e nuove narrazioni, per puntellare la mercificazione totale, così insieme a  teorie gender, diritti civili senza diritti sociali, emancipazione senza liberazione, fino alla triade tornata in auge: Patria (senza Stato sovrano), Famiglia(possibilmente arcobaleno e liquide) e Dio, quello capace di idealizzare e confezionare una falsa coscienza, quell’ombrello “etico” necessario a legittimare e “addomesticare”  l’ordine economico e sociale esistente in modo che sia accolto di buon grado e interiorizzato da chi lo subisce.

Ma non sarà che Francesco è rimasto l’ultimo radical chic?