Il Trivulzio secondo Morbelli

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Mentre siamo tutti in fervida attesa di conoscere nel dettaglio le nuove misure emergenziali del governo, anticipate da organi di stampa bene informati: probabile coprifuoco, salvi i parrucchieri, ma penalizzato il calcetto,  ingressi scaglionati per scuole superiori e atenei e una “mossa netta” sul lavoro agile, è passata inosservata una breve in cronaca.

È quella che rende noto che nella residenza per anziani   “Anni Azzurri” di proprietà del gruppo di sanità privata Kos, che si affaccia sul Parco di Veio a Roma Nord si registra un focolaio di coronavirus: i positivi sono 51, 14 operatori dipendenti della struttura e 37 ospiti, tutti anziani in condizione di forte riduzione della propria autonomia per patologie cronico-degenerative, che non necessitano di assistenza ospedaliera ma hanno necessità di un monitoraggio delle condizioni cliniche e dei parametri vitali.

Va di moda la narrazione bellica per via della guerra al virus e della ricostruzione, necessariamente rinviata a data da destinarsi. Vien bene quindi immaginarsi la società come uno di quei campi di battaglia del Settecento, con i soldati disposti in file, davanti quelli destinati a essere crivellati dai primi colpi.

E ecco qua come si presenta la situazione a quasi otto mesi dal divampare dell’epidemia: in prima linea si trovano i soggetti più vulnerabili ed esposti, i già malati, gli anziani, i pesi parassitari sulle spalle della società, a meno che non si tratti di augusti vegliardi che se proprio si sono arrischiati in congiungimenti carnali e orge invidiabili vista l’età, ritrovano la salute in meno di una settimana.

E tra le truppe a rischio – i generali sono a casa a fare i  von Clausewitz in smartworking davanti al pc, ci sono ancora quelli che – si contavano a milioni – durante il domicilio coatto degli arditi resilienti sul canapè, dovevano conquistarsi la gavetta del rancio, andando a lavorare in posti dove non si rispettavano elementari requisiti di sicurezza già da prima (basta fare un conto delle morti bianche a lockdown vigente), elusi grazie a un patto unilaterale sottoscritto dai datori di lavoro per essere esonerati da responsabilità, viaggiando come bestiame diretto al macello sugli stessi mezzi pubblici stracolmi, oggi oggetto di caute e pensose dissertazioni sul da farsi.

Perfino il Manifesto che si era fatto promotore di un appello “Basta con gli agguati”, che aveva raccolto, si disse, quasi ventimila firme a sostegno dell’azione dell’esecutivo bersaglio di “attacchi strumentali”, di una congiura di Palazzo ordita da chi aveva  opachi interessi a sostituire “la maggioranza che faticosamente lo sostiene, per monopolizzare le cospicue risorse che saranno destinate alla ripresa”, si è interrogato sulla strada intrapresa dai governi europei, criticando la più discutibile delle misure, quel coprifuoco, il più “odioso” simbolicamente, e che  costituisce “una manifestazione esemplare del potere, l’occupazione poliziesca di uno spazio e di un tempo di libertà”.

In tempo di sanzioni e multe intanto c’è da comminarne una per “abuso” al quotidiano comunista, ultimo superstite riferimento morale per gli stessi indifferenti che da in qualità di flaneurs reclamano restrizioni drastiche per fronteggiare la crisi, che in forma bipartisan viene definita “sanitaria”.

Il tardivo richiamo alla difesa di diritti costituzionali, instaurando “un clima di terrore tale da indurre i cittadini a ogni rinuncia possibile del proprio spazio di libertà e all’obbedienza in generale”, rappresenta l’ennesimo rifiuto storico e politico, la rinuncia alla contestazione e la critica al sistema che ha prodotto quella crisi sociale che è l’humus nel quale si sviluppano le patologie epidemiche, effetto di inquinamento, smantellamento del sistema sanitario, delega della cura e dell’assistenza al settore privato o al volontariato non riconosciuto delle donne, cui si offrono generosi part time e cottimo in modo che attuino il potere sostitutivo del Welfare, condizioni ricattatorie di precarietà che inducono i lavoratori a accettare condizioni lesive della dignità e  della sicurezza.

Sono tutti elementi che costituiscono il volto nero del progresso, l’altra faccia delle scoperte scientifiche e tecnologiche, di condizioni di benessere che sembravano inalienabili nelle nostre geografie e che denunciano che alla nostra onnipotenza virtuale si accompagna un tremenda e incontrastabile impotenza concreta.    

Dopo aver sbertucciato chiunque avesse messo in guardia da uno stato di eccezione che in nome del diritto alla salute creava una gerarchia punitiva degli altri: lavoro, istruzione, tacciando di delirante e visionario complottismo chi ne evocava i sinistri effetti – e dire che giorni fa perfino il capo della Polizia, non Agamben, metteva in guardia dall’effetto Weimar – ecco che la cerchia degli idolatri della quarantena arcadica, che faceva riscoprire le città d’arte e i ritmi del tempo e dell’ozio, ha delle rivelazioni sorprendenti quando gli proibisci il cinemino e la pizza con gli amici.

E’ che sono quelli che pur non facendo parte dei vertici dominanti, ne hanno assorbito l’ideologia che ha colonizzato l’immaginario  con la persuasione che non c’è alternativa al capitalismo neoliberista, e che è opportuno e sensato incistarsi nel suo contesto per assicurarsi uno standard minimo di benessere e di affermazione personale, adesso scoprono che in forse ci sono prerogative individuali e collettive.

Il fatto è che come al solito a preoccuparli sono quei diritti che sarebbe ingiusto definire aggiuntivi, che sono stati definiti “civili” in modo da assecondare una graduatoria o un gerarchia basata sull’illusione che quelli fondamentali fossero stati conseguiti e non poessero essere rimessi in discussione.

Invece sono anche quelli aggrediti grazie al pensiero forte e all’azione dei governi nessuno escluso, che vogliono dimostrare che se le cose funzionano e il virus regredisce è merito loro, se invece si “riaccende” è colpa mia, tua, nostra, vostra.

Così le limitazioni servono a blandire le coscienze di chi si sente partigiano perché rinuncia alla movida e ai fine settimana nella seconda casa, partecipe della lotta dei “pompieri” eroi ai focolai.

E che se ne sia acceso uno ancora una volta in una di quelle garbate discariche in cui vengono conferiti i vecchi che non hanno una famiglia che li accudisca non basta a farci guardare al nostro terribile futuro di gente sempre più impoverita e accanita a arrabattarsi in nuove miserie, economiche e morali. E non fa chiedere se le polizie incaricate dell’ordine pubblico sanitario non sarebbero meglio impiegate nel controllare come le strutture private che porprio a Roma e nel Lazio, o a Milano e in Lombardia, o a Bologna e in Emilia, o a Venezia e in Veneto (regioni queste ultime che pretendono maggiore autonomia, spendano le risorse che con munificente larghezza sono loro concesse dalle amministrazioni pubbliche.

Però possiamo star tranquilli, al funerale della libertà con giustizia saremo in pochi, che il divieto di assembramenti ci salverà dal contagio.