La cartina che vedete a fianco mostra la diversa diffusione del virus nell’ Europa e possiamo vedere che praticamente tutta la Germania, l’Austria e la Danimarca hanno un numero di contagi molto minore del Covid ad onta che le misure di segregazione siano meno severe che nei Paesi dove il coronavirus sembra diffondersi con maggiore velocità. Come è possibile questo? Come fa il virus a riconoscere le frontiere? Ma il realtà esso non c’entra nulla, sono i governi in combutta con le autorità sanitarie e decidere quale livello di allarme si deve creare. Non è soltanto aumentando il numero di tamponi per trovare più positivi, ma è soprattutto stabilendo a quanti cicli di amplificazione del segnale chimico debbano essere sottoposti i test Prc ( reazione a catena della polimerasi ), i tamponi insomma. Siccome le molecole virali eventualmente presenti  sono pochissime, devono essere “moltiplicate” per poter essere facilmente rilevate, secondo un meccanismo utilizzato anche per la lettura del Dna. Sorvoliamo sulla tecnica con cui avviene tale moltiplicazione, quello che ci interessa in questo contesto è che a una maggiore amplificazione corrisponde un risultato più incerto o errato come generalmente accade per tutti i segnali ottici o acustici che dopo un certo limite divengono solo rumore. Così non stupirà apprendere che i test in Germania e in Austria sono mediamente moltiplicati 25 volte mentre altrove lo sono 40 o 45 volte trovando dunque molti più contagi, almeno secondo quanto ha rivelato il clinico francese Leopold Durocher.

Peccato però che oltre le trenta “moltiplicazioni” come ha detto più volte Kary Mullis, l’inventore della tecnica Prc per la quale ha ricevuto il Nobel, il responso non è solo inaffidabile, ma è proprio privo di senso potendo rilevare qualunque cosa, altri virus, spezzoni molecolari di ogni genere, persino parti di microbi: in questo modo è possibile trovare un numero di positivi adatto alle misure che si vogliono prendere. Come si fa a sapere quante volte è stato amplificato il tampone? In realtà non viene scritto nei responsi, ma un buon indizio può essere il tempo che intercorre tra l’effettuazione del tampone e il risultato: oltre le 48 ore siamo certamente a livelli di amplificazione di 40 volte, dunque privi di qualsiasi senso. La cosa è molto importante da molti punti di vista: per prima cosa viene leso il diritto alla salute dei singoli cittadini che si vedono diagnosticare la presenza di un virus che nel 90% dei casi nemmeno c’è, determinando perciò situazioni di stress, di ansietà, di allontanamento dal lavoro e dalla vita civile, se non addirittura di cure inutili o mal mirate. Qui non siamo nel campo del semplice errore, sempre possibile e in certa misura inevitabile, ma del vero e proprio dolo perché si usa uno strumento diagnostico oltre i propri limiti intrinseci e dunque in maniera scorretta: bisognerebbe perciò chiedere che almeno nel risultato del tampone sia indicato il numero delle amplificazioni, dato vitale per poter giudicare la consistenza o meno del responso e dunque anche per poter difendere la propria salute. L’altra è che in realtà le misure di segregazione, di distanziamento o di ubbidienza simbolica come le mascherine non sono dovuti ai livelli di diffusione di un virus che, ormai si sa è piuttosto debole, ma sono invece i livelli di diffusione ad essere regolati in ragione delle misure da prendere per scopi che con la sanità hanno poco o nulla a che vedere.

Capisco che all’uomo della strada, soverchiato dalla forza arcaica del “lo dicono tutti” e quindi disposto a credere qualsiasi cosa purché essa sia generalmente condivisa,  l’inversione tra causa ed effetto possa sembrare sorprendente e difficile da digerire, ma è l’unica logica ravvisabile nell’usare degli strumenti diagnostici in maniera volutamente impropria che tra altro finisce per impedire o rendere più difficoltosa la conoscenza intorno all virus. Del resto su quest’uso folle dei tamponi oltre i loro limiti euristici la polemica si era già sviluppata in Usa, provocando le reazioni di Kary Mullis, ma in Europa trova in un certo senso la sua conferma quando la diffusione segue confini nazionali in maniera così precisa da essere impressionante e da poter essere sovrapposta a una cartina politica.