Non passa giorno che la Cina non sia nel mirino del presunto occidente civilizzato e non venga infilzata dai media mainstream, dai think tank e dagli uffici di propaganda di ogni tipo; in Italia è stata arruolata per la guerra santa persino la vecchia killer del Pds – Pd, ovvero la Gabanelli uno degli esempi di come il giornalismo più teleguidato dalla politica e dal potere possa passare per virtuoso e indipendente. Insomma il mondo fittizio in cui vive il sedicente cittadino occidentale, in realtà mai così suddito, è esposto mattina e sera alle pressioni della disinformazione mediatica, beninteso negli spazi lasciati aperti dalla narrazione pandemica che tuttavia in qualche modo si vorrebbe legare all’ex celeste impero, quando sono 15 anni che filantropi e pensatoi neo liberisti discutono in proprio di pandemia e di vaccini. In effetti questo tipo di propaganda ha radici bipartisan, esprime più che altro le fantasie e lo stato d’animo di chi avverte di star perdendo terreno, mette in campo la rabbia di vedere gli ex colonizzati che non abbassano più lo sguardo di fronte ai vecchi padroni. Una prova lampante che l’ostilità nasce proprio da questo garbuglio che si fa propaganda e non da considerazioni razionali è l’antinomia dei giudizi che si possono leggere: per esempio che la Cina è comunista il che è terrificante e abominevole per il cretino medio che una volta coincideva con l’americano medio, ma che oggi rappresenta anche l’europeo medio: abbiamo tutti sentito tutti da leader votatissimi che i cinesi mangiano i topi vivi o in alternativa e più classicamente i bambini. Da un’altra parte invece si sente dire che la Cina non è affatto comunista, ma che si è convertita al capitalismo, altrimenti non si spiegherebbe la sua ascesa economica. Oppure per rimanere in ambito temporale più attuale, la Cina persegue una politica mercantilistica e dunque sfida gli Usa i quali pretendono di riequilibrare la bilancia commerciale con i diktat, oppure la Cina sta sviluppando il proprio mercato interno e dunque ignora i suoi obblighi come locomotiva economica. Tutto e il contrario di tutto, purché se ne parli male.

Questo coacervo di sciocchezze contrapposte ognuna delle quali ha una parte di verità così minuscola da essere per intero una menzogna è praticamente l’unica cosa che fornisca la pubblicistica, ma d’altronde bisogna capire che per la prima volta dopo dopo secoli l’occidente, nelle sue varie articolazioni, si sente spodestato e vede messa in pericolo la propria centralità, deve fare i conti con una cultura diversa nel bene e nel male che sembra funzionare con maggiore efficienza e verso la quale è sempre più difficile atteggiarsi come impero universale attorno al quale tutto dovrebbe ruotare. Alla fine del secolo scorso e l’inizio di questo Bill Clinton e i geni di Washington avevano scommesso sull’integrazione economica della Cina nella speranza che ciò avrebbe accelerato la sua decomposizione politica. Soggetta alla legge stabilita dalle multinazionali che sventolano la stelle e strisce, la Cina avrebbe dovuto adempiere alla profezia del neoliberismo rimuovendo l’ultimo ostacolo al dominio del capitale globalizzato. Ma è avvenuto il contrario: Pechino ha utilizzato le multinazionali per accelerare la sua trasformazione tecnologica e ha privato Washington della posizione di leader dell’economia mondiale. Gli pseudo-esperti occidentali arzigogolano e i cinesi non li contraddicono, ma in realtà non sono cambiati, hanno mantenuto le loro imprese pubbliche, controllano le fluttuazioni della loro valuta, le banche cinesi obbediscono al governo e quest’ultimo pianifica lo sviluppo dell’economia come ai tempi di Mao. 

La differenza la si è potuta toccare con mano dopo la crisi del 2008  quando di fronte al caos finanziario causato da anni di deregolamentazione neoliberista e avidità del mercato azionario, Washington in primis ma tutti i governi occidentali si sono ritrovati prigionieri dell’oligarchia bancaria e finanziaria, non sono riusciti a regolamentare nulla accontentandosi di salvare le banche private, comprese quelle responsabili della crisi. Pechino ha fatto esattamente il contrario: lo Stato ha sviluppato massicci investimenti nelle infrastrutture pubbliche e in tal modo ha migliorato le condizioni di vita del popolo cinese sostenendo la crescita globale, salvata dal crollo promesso dall’ingordigia di Wall Street. Da noi invece sono stati i poveri e i piccoli a pagare le conseguenze, cosa che accade anche sotto regime di pandemia: dopo tutto, l’oligarchia dominante segue il proprio istinto di classe: che senso avrebbe per essa precipitarsi in aiuto dei “perdenti”?

Un sistema che reagisce alla crisi economica privilegiando le strutture pubbliche, merita molto di più di un diluvio di luoghi comuni e calunnie che comunque servono, come sempre a coprire verità scomode e in definitiva l’assassinio della democrazia e della libertà reale da parte del neoliberismo che è poi la vera causa dell’inarrestabile declino occidentale sotto ogni punto di vista. Ciliegina sulla torta: nelle sue ultime previsioni l’Ocse afferma che la Cina è l’unico Paese industrializzato che farà registrare una crescita nel 2020 (+ 1,8%), con tutti gli altri in rosso, e che avrà un tasso dell’8% nel 2021. Salvare sia l’economia del Paese ed evitare una recessione senza precedenti è come un aggiunta alla Grande Muraglia.