Tutta la fine del secolo scorso e l’inizio di questo sono stati segnati da una sorta di ingenua utopia chiamata “società della conoscenza” nella quale si immaginava che il sapere, sia individuale che collettivo  sarebbe diventato centrale rispetto al capitale finanziario  e alle risorse naturali, sviluppando libertà, creatività, consapevolezza . E’ probabile che queste teorizzazioni sociologiche siano nate sulla scia della rivoluzione informatica che costringeva le persone ad entrare in una nuova dimensione del rapporto uomo – macchina, ma non hanno colto il nucleo del problema: ossia intanto che non si trattava di conoscenza, ma di competenza cioè qualcosa che rende possibile svolgere un determinato compito operativo senza necessità di comprenderne il quadro generale, il senso e il sapere sottostante. Pensiamo soltanto a quanti di noi usano in maniera competente un computer o un telefonino senza avere la minima idea di come funzionino, del perché funzionino in un  determinato modo e in che modo influenzino le modalità cognitive, una cosa che nella società pre industriale era inconcepibile, ma che in quella post industriale sembra la norma.  La conoscenza ridotta a “merce” subisce gli effetti delle regole del mercato che hanno obiettivi diversi da quelli dell’istruzione, della formazione e dell’inclusione, in quanto mirano a soddisfare consumatori e a rispondere a esigenze sempre nuove. In tal senso troviamo una sorta di corrispondenza tra la mutevolezza dei contesti sociali, culturali, produttivi e il dissolversi della realtà:  qualcuno ha chiamato tutto questo “diffusione capitalistica dell’astratto” che  favorisce una certa relativizzazione dell’idea di utilità e  crea un generale senso di incertezza. Lo spettro dell’inutilità sembra colonizzare e logorare dall’interno le nuove realtà sociali, culturali ed economiche, favorendo per un verso una forma di acquisizione acritica delle conoscenze e, per l’altro, l’affermazione di una pervasiva cultura della frammentarietà che impedisce di mettere assieme i pezzi e di percepire  e concepire i problemi globali. Questo per parlare  dell’ossessiva “proprietarizzazione” delle conoscenze.

Bene a questo punto possiamo tirare le conseguenze del fallimento di un ‘idea: non siamo mai stati così lontani da una società della conoscenza e così palpabilmente alienati. siamo in realtà in una società della manipolazione dove chi possiede gli strumenti dell’egemonia culturale e della comunicazione  può far credere qualsiasi cosa, anche quella più lontana dalla realtà, certe volte in maniera così palese che ci si può davvero chiedere come si possa cascare in racconti che solo trent’anni fa sarebbero stati improponibili e immediatamente smascherate: da pandemie puramente narrative, agli “avvelenamenti” di Putin una commedia talmente assurda e bislacca che suona come un’offesa all’intelligenza , alle bugie dette per scatenare guerre, o per ciò che ci riguarda molto da vicino l’esistenza di una solidarietà europea sbandierata in ogni sede pur in presenza di cifre e di accordi che dicono tutto il contrario.  E’ una società della contraffazione dove si discute animatamente della bellezza o bruttezza di fidanzate illustri come se questo ne andasse del futuro, o del cartellino di un abito addosso a qualche granciporra del jet set o  di produzioni desolanti presentate come il settimo cielo del gusto; siamo anche nei giorni dove i presenzialisti televisivi, spesso le persone più cretine reperibili su un mercato già inflazionato, compaiono con mascherine enormi, veri e proprio chador destinati a nascondere l’innegabile fascino  dell’imbecillità che poi vengono allegramente tolte per parlare a distanza di fiato: nessuno pare accorgersi della presa in giro o dell’incongruenza. Ma collegare le cose pare difficilissimo anche quando il legame è invece evidentissimo, quasi elementare : ciò che realmente manca è un mondo perché il potere ha fatto di tutto per evitare che le persone ne avessero uno o almeno possedessero  uno schema coerente invece di accontentarsi accontentassero di situazioni, di eventi, di frammenti che convergono solo in un inconsapevole nichilismo che non nulla a cui attaccarsi se non la più banale corporeità. È del tutto ovvio che rientra negli interessi del capitale dividere uomini, Stati, aree geopolitiche e saperi. Assistiamo così al sempre più incalzante processo di atomizzazione individualistica a cui fa seguito una costruzione accuratamente progettata  di conflitti fittizi messi in scena ad uso e consumo delle classi dominanti, donne contro uomini, bianchi contro neri, guerre fra poveri, sovranità assoluta di visioni del mondo antisociali e grette come il neo-liberismo e infine tirannie sanitarie destinate a rafforzare il processo attraverso la paura. Si dice di voiler eliminare il pregiudizio, ma in realtà si vuole uccidere il giudizio.