Anna Lombroso per il Simplicissimus

A volte viene proprio da ringraziare un accadimento che occupa lo spazio pubblico con la sua potenza apocalittica se ci risparmia dall’inanellarsi di baggianate rituali a scadenza annuale.

Impegnati tutti sul Covid 19 ci hanno  graziati delle liturgie della green economy senza olio di palma, delle narrazioni pedagogiche dei patron dei rave di raccolta di lattine  e dei moniti severi degli sporcaccioni globali che finanziano il pallottoliere ecologico a cura dell’organizzazione di ricerche ambientali Global Footprint Network incaricato di misurare le risorse consumate dai dissipati popoli della terra e “estinte” in previsione dell’Earth Overshoot Day.

E siccome quasi nulla può aspirare a stare alla pari con gli scenari rovinologico-sanitari della pestilenza passa senza grande risonanza l’arrivo in Louisiana dell’uragano Laura, più violento e sterminatore di Katrina, che minaccia  quelle che i meteorologi hanno descritto come inondazioni letali e danni diffusi se già 300 mila abitazioni e attività commerciali sono senza elettricità. E d’altra parte a Palermo, a Verona si sono verificati quegli eventi estremi che sono la conseguenza accertata del cambiamento climatico, retrocessi ad allarmi di serie B per via di un ridotto impatto sanitario o percepiti come la declinazione pittoresca contemporanea delle piaghe bibliche che si starebbero accanendo sull’umanità.

In pochi mesi il tema è sprofondato nelle brevi in cronaca e la figurina apologetica di Greta non popola più l’immaginario giovanile   che rinvia i volonterosi assembramenti dei  Fridays For Future a venerdì migliori.

E’  stata anche retrocessa a sterile e irresponsabile argomentazione da complottisti e negazionisti la teoria che possa esserci un rapporto evidente tra pressione antropica, smog,  inquinamento industriale e la superiore incidenza di contagi in Lombardia, registrata anche successivamente alla “riapertura” e, pare, non imputabile all’arrivo di immigrati.

Eppure numerosi articoli presenti in letteratura scientifica (tra l’altro è italiano uno “specialista” autorevole, Mario Menichella che da anni analizza le correlazioni tra condizioni ambientali e patologie) hanno informato che le particelle di particolato fine e ultrafine agirebbero da vettori fisici “leggeri” nei confronti del virus, in grado di portarlo assai più lontano rispetto a quelli  tradizionali.

Eppure, e non a caso, Wuhan, New York, Pianura Padana, che risultano tra le aree più colpite dal Covid-19, sono proprio quelle che  da decenni hanno sviluppato una forte concentrazione di industrie e grandi impianti inquinanti che contribuiscono più di altre sorgenti al loro inquinamento atmosferico per la maggior parte dell’anno, causando di conseguenza un’elevata incidenza fra la popolazione di cancro, malattie cardiovascolari(infarto, ictus, etc.), patologie respiratorie croniche o comorbidità spesso letali.

Eppure nella Pianura Padana da anni si registrano anche a causa della nebbia,  concentrazioni  anomale di varie sostanze nocive (diossine, polveri sottili, particolato fine e ultrafine, gas tossici, etc.), che ristagnano e si accumulano al suolo e che insieme alle emissioni causate dal dissennato ricorso a impianti di biomassa e biogas fanno di questi territori delle zone a alto rischio epidemiologico, come dimostrato dalla incidenza e letalità di malattie respiratorie e polmonari.

Ma la pandemoniaca gestione del virus influenzale del 2020 ha prodotto un effetto mortale in più, quello di cancellare dal nostro vocabolario la formula in passato abusata della qualità della vita, in favore della necessità della sopravvivenza. Proprio come la sopravvalutazione della imprevedibilità ed eccezionalità  di questo incidente della storia è servita a  esercitare una pietosa rimozione delle responsabilità di decenni di  smantellamento della sanità pubblica e di pudico silenzio sugli investimenti che grazie alla carità europea di sarebbero dovuti programmare per il futuro, così la colpevolizzazione dei comportamenti collettivi e individuali è stata brandita come un’arma per distrarre dalle negligenze e dai crimini dei grandi inquinatori, fonti industriale esonerate dal pagamento per i loro crimini e reati grazie a varie forme di immunità e impunità e licenze che intere aree del paese pagano da ben prima del Covid 19 con il loro martirio. 

Vaglielo a dire a Galli della Loggia che, in perfetta consonanza con la ministra Azzolina, attribuisce il marasma nel quale si agitano i responsabili dell’istruzione, allo strapotere dei sindacati, vaglielo a dire ai nuovi predatori pronti a comprarsi risorse e opportunità a prezzi scontati grazie a ristrutturazioni farlocche che promuovono espulsione  di lavoratori e  riduzione della sicurezza e delle tutele.

Vaglielo a dire alle associazioni imprenditoriali che vogliono persuaderci che la perdita stimata di almeno un milione e 1,4 di posti di lavoro – l’Inps fa sapere che gli occupati a fine maggio erano circa 750 mila in meno rispetto a un anno prima e oltre mezzo milione di precari sono spariti dal mercato del lavoro-  sia un incontrastabile effetto collaterale della crisi che deve far abbassare le ali alle pretese di garanzie e protezione, quindi di legalità, arretrata a optional quando non a capriccio incompatibile con la gravità del momento.

Vaglielo a dire a quelli che ancora credono che la partita di giro delle elargizioni dimostri che l’Ue è riformabile e che le condizioni che verranno imposte debbano essere accettate per riguadagnare la reputazione perduta da un popolo che ha voluto troppo.

E vaglielo a dire a Confindustria che reclama riforme strutturali, come se tra “Pacchetto Treu”, Legge 30/2003,  misure del Sacconi dello stare tutti sulla stessa barca, “Jobs Act non ne avessimo avute abbastanza per far regredire il lavoro a precarietà e poi a servitù e che indica tra le priorità la cancellazione del Decreto Dignità.

Ma non è mica l’unica cosa che si vuol cancellare, a guardare il senso profondo del Decreto Semplificazioni che in previsione dell’unica strategia partorita da Villa Pamphili, dalle task force e dal governo per la Ricostruzione (130 grandi cantieri di infrastrutture, stadi compresi, e Grandi opere) propone la demolizione di ogni sistema di controllo, vigilanza e sorveglianza sugli interventi per favorire quella libera iniziativa che non vuole ostacoli, ubbie da anime belle del movimentismo e intralci di antagonisti e anarco-insurrezionalisti.

Basterebbe quello a dimostrare che la tutela dell’ambiente è un optional incompatibile con lo sviluppo, come d’altra parte quella della salute, salvaguardata a suon di mascherine della Fca e di guanti di silicone, e che prevenzione e cure sono lussi che non meritiamo.

E quindi vaglielo a dire a quelli del “niente dovrà essere come prima” se l’unica novità in agenda sono gli interrogativi sullo smaltimento delle mascherine, plausibili a fronte del formidabile incremento della produzione di amteria palstiche a uso “sanitario”, a quelli che davanti allo spettacolo dell’arcadia pandemica, auto in garage, aziende chiuse, città deserte, pensavano che fossimo all’inizio di una beata era delle decrescita felice. A quelli che si illudevano che magicamente fosse arrivato il momento per  ripensare  il modello produttivo e consumistico, liberandoci dalla fatale dipendenza economica e morale del mito della crescita immaginando di sanare i danni del mercato globale con meccanismi di mercato, commercializzazione dei diritti di emissione, import-export dei veleni verso vittime affamate, ricattate e consenzienti o con una ecologia domestica che addossi il peso sui cittadini secondo la prassi della socializzazione delle perdite e della privatizzazione dei profitti.

Vaglielo a dire ai giardinieri dell’ambientalismo senza lotta di classe che la catastrofe rimossa è vicina, che il sistema non è più emendabile e che il rotolare inarrestabile del pianeta verso la rovina travolgerà tutti, lupi e agnelli, rane e scorpioni.