borsa Anna Lombroso per il Simplicissimus

Viene da dire: beati i tempi nei quali radical chic era l’estrema offesa prima del duello dietro il convento dei Cappuccini. Viene da dire beati i tempi nei quali si misurava l’appartenenza alla sinistra e la militanza a testimonianza di sfruttati e sommersi dalla rinuncia anche col gelo, all’uso dissipato e all’ostentazione  di una sciarpa di shahtoosh , che prima di  denominare una sofisticata tecnica di colorazione di chiome regali indicava una pashmina di cashmere così sottile da passare per una fede nuziale, tanto da impedire a chi l’indossava di attraversare la cruna del famoso ago.  Erano i tempi nei quali i flaneur dell’Ultima Spiaggia erano oggetto di invidiosa denigrazione, prima che venissero legittimati in forma bipartisan in quanto rappresentanti di un ragionevole pensiero comune che integra e accoglie gli stranieri solo in veste di solerti cameriere con la crestina e operosi giardinieri in rigatino.

Eh si, perché adesso l’ostensione di quelli che una volta si definivano status symbol è invece oggetto di rispetto e ammirazione, in qualità di meritate conquiste che premiano l’ambizione e la determinazione ad arrivare, ad affermarsi e a dimostrare il successo ottenuto fregiandosi di pennacchi, medaglie e divise con tanto di griffe. I

n questi giorni fervono le polemiche a proposito delle becere rimostranze di rozzi populisti animati da abietto rancore e livorosa gelosia contro la fidanzata del Presidente del Consiglio che ha sfoggiato a complemento della lodatissima eleganza una borsa con il marchio Hermes “in paglia marrone, stile pic nic  con finiture in pelle, manico alto, chiusura frontale con battente, e dettagli super chic: lucchetto decorativo, gancio portachiavi e piedini di appoggio. Larghezza 36 cm, altezza 25 cm, profondità 13 cm”, insomma,cito, “un vero gioiello da collezione”,  del valore di listino, si è detto, di circa 80 mila euro.

Povero Bertinotti denigrato per i maglioncini a doppio filo, equiparato al volgare esibizionismo delle fan dell’utilizzatore finale, esautorato di credibilità civica e democratica:  per lui non si sono mobilitati esperti di marketing che ci hanno informato che il prodotto in questione oggi ha raggiunto quella quotazione, ma che nell’anno nel quale è stato messo sul mercato esclusivo delle intenditrici, il 2011, il suo prezzo di listino non raggiungeva i 7500 euro. A conferma dell’intuito commerciale di quella che viene definita la “nostra First Lady”  che avrebbe dimostrato la occhiuta lungimiranza di compiere questo oculato e redditizio investimento aggiudicandosi, cito ancora,  quello che costituisce uno dei più desiderati tra i “beni rifugio…. oggetti aspirazionali che non perdono mai valore, anzi”.

Ma non basta, per le custodi delle qualità di genere in quota rosa e della loro valorizzazione in forma bipartisan, è sicuro che il prezioso oggetto del desiderio di braccianti prima di diventare ministre, commesse della Coop al lavoro anche di domenica, casalinghe in attesa dell’atteso bonus di 40 centesimi per la redenzione, la leggiadra signora se l’è comprato senza aver bisogno di una amorosa elargizione da parte del prestigioso quasi consorte. Infatti si tratta della rampolla di una dinastia di albergatori che svolge una preminente funzione nell’impresa di famiglia, che le permette di appagare i suoi desideri e le sue aspirazioni, in veste di Pr di quel Plaza di Roma passato alle cronache rosa e giudiziarie per via di frequentazioni speciali,  e che, dicono sempre gli stessi maligni, sarebbe stato beneficato da una manina provvidenziale che con misuretta ad hoc avrebbe abbonato il mancato pagamento della tassa di soggiorno.

Così lo status symbol è stato promosso a raffigurazione plastica dell’emancipazione femminile, quella che piace alla gente che piace, che “affranca” dal dominio patriarcale le figlie di papà, quelle che partono avvantaggiate dall’appartenenza a delfinari del privilegio, o le affiliate e fidelizzate a cerchie dominanti, quelle della sostituzione in ruoli direttivi di maschi immeritevoli, arroganti e spregiudicati con femmine legittimate per via delle regole del riscatto a manifestarsi ancora più arroganti e spregiudicate.

Per dir la verità la compagna dell’azzeccagarbugli degli italiani ha mostrato una sovrana indifferenza per le critiche, forse disinteressata al consenso del quale è  omaggiato il fidanzato, proprio ieri oggetto di applausi e  lodi durante lo shopping ferragostano, manifestazioni di ossequio che ha signorilmente respinto con regale cenno della mano nel rispetto del distanziamento.

Quello che nausea è invece l’indole all’idolatria nei confronti dei potenti e delle loro famiglie che continua anche dopo l’eclissi dei settimanali con le vicende delle case regnanti, anche dopo che l’ultimo casato che ha dettato mode e convenzioni si è ridotto a esangue azionariato o a scapestrata pecora nera.  e che di manifesta in molti modi non certo nuovi, con l’invidiosa emulazione dei sottoposti, con la piaggeria dei ruffiani, ma anche con quella deplorazione che conferma il successo di una delle più abusate citazioni di Wikiquote da Oscar Wilde: parlate male di me purchè ne parliate, uso che sta beneficando Salvini, la Meloni, i loro supporter sui social, che dovrebbero più efficacemente essere condannati al cono d’ombra.

Sono quelli  che in prossimità del referendum sul numero dei rappresentanti del popolo sembrano fatti apposto per suscitare  dubbi sulla qualità e quantità degli elettori, da sottoporre a accurata selezione che riservi il diritto dovere solo a quella cerchia che rivendica una superiorità culturale, sociale e morale su una plebe rozza e ignorante. Sono loro che interpretano l’opinione pubblica, quella che ha diritto, tempo e voglia di parlare perché non è afflitta dalle rate, dai mutui, dalla minaccia del fine mese, e che attribuisce le critiche a chi governa a irresponsabile complottismo e quella alle loro icone come la miserabile rivincita di chi sta fermo, per incapacità, mentre altri avanzano, come la mediocre frustrazione da marginalità.

Vittima di questa forma obliqua di ammirazione all’inverso è stato l’opinionista che ha scelto la forosetta di provincia auto promossa a costituzionalista, come incarnazione della cancellazione della sinistra, un processo che avrebbe la sua raffigurazione plastica nella cintura inalberata sui pantaloni con la famosa H della stessa griffe amata dalla first lady de noantri, che diventa il marchio della vergogna dei borghesucci saliti di grado che si regalano gli orpelli un tempo esclusiva delle élite come onorificenze.

E adesso chi glielo va a dire a  Fulvio Abbate, calamitato  dalla lettera dorata della fibbia della cintura indossata dalla capogruppo di Italia Viva alla Camera,  “ iniziale di un marchio-griffe di lusso e orgoglio globali, planetari, di più, provinciali, rionali, da sabato in discoteca”, quella lettera scarlatta che marchierebbe il tradimento dell’eredità comunista e infine post-comunista,  che deve essere stato incantato sia pure alla rovescia da quella ragazzotta, da darle il lustro di una eroina negativa.

Quando ormai chi emerge dalla zona grigia di una classe dove si accredita il funzionario di banca che compiace i malaffaristi di zona, il giovanotto un po’ grullo ma ambizioso che si fa la propaganda elettorale con i proventi degli affarucci sporchi di papà e mammà, grazie a una selezione del personale politico che gratifica l’arrivismo, il conformismo, la fedeltà sia pure provvisoria a ideali e “aziende” che garantiscono una poltroncina, non è di sinistra,  di destra, di centro, di su o di giù, maschio, donna, perché il suo unico talento sta nel collocarsi dove può arraffare un posticino, una paghetta e un conticino in banca, magari quella di papà, per togliersi i capricci e i vizietti con la griffe.