isozakiAnna Lombroso per il Simplicissimus

C’era da immaginarlo che la visita pastorale agli Uffizi della piazzista del ciarpame globale più cafone, ultima dopo Madonna, i Masai che corrono con tanto di scudi e lance per celebrare le confezioni dello stilista locale e così via,  avrebbe prodotto danni incalcolabili (ne scrissi qui: https://ilsimplicissimus2.com/2020/07/20/il-brand-delloltraggio/).

E infatti c’è da sospettare che dobbiamo alla sua sguaiata opera di volgarizzazione di Botticelli, impiegato come sfondo dell’ostensione commerciale della sua merce, la svolta, salutata con giubilo dal sindaco Nardella e dall’ineffabile  direttore del Museo, Schmidt: “si tratta di una decisione storica”, che autorizza e finanzia (intanto con 12 milioni) e dopo quasi vent’anni di polemiche e contenziosi, la realizzazione della Loggia, disegnata dall’immancabile archistar, in questo caso giapponese, Arata Isozaki.

Pensata come una loggia moderna in acciaio e pietra farà da visionario, immaginifico e, pare, imperativo contrasto con quella dei Lanzi in piazza della Signoria, a significare la vocazione e il talento di Firenze nel combinare magicamente passato, presente e futuro grazie alla creatività degli artisti dei vari rinascimenti che si sarebbero susseguiti, compresi gli ultimi a cura di Renzi, Farinetti, Nardella, a base di finocchiona a New York, alta velocità con annessi buchi sotto lo storico selciato, rifacimento di facciate michelangiolesche e concessione munifica di siti d’arte, dopo lo storico caso di Ponte Vecchio, come location in uso esclusivo per buffet, eventi mondani, sfilate di compagni di merende  (Piazza della Signoria sarà la sala da pranzo a cielo aperto per gli stilisti Dolce & Gabbana, reduci da analoghe performance nella Valle dei Templi).

Chissà perché a dire Loggia in Toscana ne viene maliziosamente in mente un’altra contrassegnata da legami opachi, influenze velenose, cerchie tossiche. Niente a che fare, rintuzzerebbero i patron delle iniziative futuriste del dinamico ceto politico locale, dallo stadio della Fiorentina, all’ampliamento dell’aeroporto di Peretola, così  proiettato nel domani da sfidare dati e statistiche sul decremento degli arrivi e sulla crisi del turismo pre e post Covid.

L’opera, che si sarebbe resa necessaria  per “razionalizzare” l’uscita del museo considerata “insufficiente” già nel 1999,  muoverebbe invece dall’idea utopica di richiamare nell’oggi i temi cari a Brunelleschi, per promuovere  “un dialogo tra contemporaneità e  tradizione storica”,  offrendo al tempo stesso   protezione e copertura, che quando c’è un’acquata a Firenze si rischia come sanno anche i Lungarno, dando forma così a un vero e nuovo spazio pubblico con tanto di colonne e sculture in pietra “serena” – come Letta, beata lei –  aperto a turisti e cittadinanza, a esclusione, c’è da immaginare, dei molesti ospiti, vucumprà, allestitori di kebab, che tanto male fanno alla reputazione della Città del Giglio, come ricordato dal sindaco nelle  obiezioni sollevate alle accuse dell’Unesco di mercificazione oltraggiosa del centro storico.

È che non sono solo quelli l’ostacolo alla valorizzazione di Firenze come capitale indiscussa del turismo e dello sfruttamento del nostro petrolio, come ha sempre sostenuto il vero sindaco del quale il povero Nardella resta una pallida imitazione,  che investì milioni per farla “conoscere” nel mondo grazie a campagne pubblicitarie affidate ai suoi amichetti del cuore, o che cercò di aggiungere lustro promuovendo la ricerca di affreschi leonardeschi sulle pareti dell’ufficio,  e che, tanto per chiarire il senso dell’operazione di questi giorni, voleva che gli Uffizi facessero cassa, diventassero un juke box che faceva risuonare a comando il tintinnar dei soldi, concorde con il ministro che non tramonta mai nell’affidarne la gestione a un manager esperto di marketing.

A fermare la corsa verso un ambizioso futuro, come in tutte le città d’arte, sarebbero proprio gli ingenerosi residenti, misoneisti e arroccati nel passato, che le politiche di questi anni, hanno “convinto” a cercarsi nuovi spazi esistenziali, con ogni sorta di metodi dolcemente persuasivi:  piani  che  agivano con intenti vessatori nei confronti della gestione ordinaria delle trasformazioni, mentre  favorivano i nuovi padroni della città, imprese immobiliari d’assalto, corporation, fondi  stranieri, una voluta indeterminatezza delle regole in favore delle grandi proprietà strutturate e spregiudicate, lo stravolgimento dei criteri del “restauro” per  promuovere ghiotte estrazioni di valore a beneficio di speculatori, svendite del patrimonio pubblico.

In previsione del “rilancio”, della ricostruzione dopo la pandemia, il primo cittadino si è ritagliato una sua leadership nella cerchia dei sindaci che hanno chiesto più autonomia, più risorse, più discrezionalità e libertà d’azione, a base di cantieri per infrastrutture, per operette immorali, secondo le priorità che ogni giorno si rivelano più arbitrarie e irrazionali, ponti, tunnel, stadi compresi, secondo la filosofia dei 137 interventi argomentata negli Stati Generali, con il placet delle feroci dame europee in veste di streghe di Macbeth.

E infatti mentre esultava per la Loggia, che vuole sia, anche per affinità stilistica, la sua piramide del Louvre, ha anche festeggiato una “delibera di indirizzo” per riqualificare la zona di Campo di Marte ed agevolare il restyling del Franchi grazie a un grandissimo parcheggio, all’ampliamento dei volumi commerciali e all’inserimento di una linea della tramvia, interventi, ha sottolineato compiaciuto, che dovrebbero convincere i patron della Fiorentina a investire nello stadio ben oltre le promesse.

Si sta inoltre  impegnando per condurre il porto al più presto l’iniziativa di permettere e avviare  in zona di Costa San Giorgio, nota anche con il toponimo di Poggio alle Rovinate perché in vari periodi è stata al centro di movimenti franosi,  al posto dell’ex Scuola di Sanità Militare, la realizzazione di un mega albergo di lusso di una dinastia commerciale e immobiliare argentina, che richiede ovviamente di dotarsi  di parcheggi interrati, di magazzini e locali di servizio e tanto per non farsi mancare il doveroso buco,  un tunnel sotterraneo di 600 metri con accesso carrabile.

Anche non volendo, si ha sempre la conferma che le priorità di governi, centrale e periferici, non hanno nulla a che fare con il bene comune, secondo gerarchie e graduatorie che come nel passato sono condizionate da altri interessi che ondeggiano tra profitti, scambio di favori e voti, clientelismo, familismo, speculazione, corruzione e megalomania. Gli esempi si sprecano, anche in materia di felice combinazione di geni del passato e odierna creatività da mescolare per dare una nuova e moderna identità alle nostre città d’arte: a Venezia non si è costruito l’ospedale di Le Corbusier, non si è realizzato il Palazzo dei Congressi di Louis Khan, me è servita una mobilitazione generale per impedire la torre-mausoleo di Cardin, mentre nessuno si è davvero esposto per impedire l’osceno palazzone della Cassa di Risparmio a San Luca o l’inutile ponte mangiasoldi dell’ultimo faraone filosofo, cui dobbiamo anche la remota indifferenza per la bruttura dell’Hotel Santa Chiara.

E a Firenze oltre alla Loggia è prevista un’accelerazione del progetto del Museo della Lingua italiana, che dovrebbe vedere la luce, pronubo come al solito Franceschini,   nel complesso di Santa Maria Novella giusto in tempo per la celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante, grazie a un finanziamento di 4,5 milioni, auspicato e sostenuto da una pletora di studiosi riuniti in apposita commissione presso il Ministero che si vede che non sono a conoscenza delle sofferenze peraltro ampiamente denunciate in cui versa la Biblioteca Nazionale, che resterà chiusa in agosto malgrado le proteste di ricercatori e professori, che ha vesro diminuire di anno in anno il numero dei dipendenti: 400 nel 1997, 280 nel 2002, due anni meno di 150, la cui frequentazione è ridotta  e ostacolata da procedure insensate (i libri devono restare in quarantena a differenza degli indumenti in centri commerciali e boutique).

Per carità promuovere la lingua italiana poco frequentata anche dal nostro ceto politico è doveroso, ma è lecito interrogarsi sul perché costruire un altro contenitore comunale della lingua nazionale   invece di finanziare le biblioteche, gli archivi, le scuole in una città che non sa o non vuole tenere aperti nemmeno i suoi musei civici e le sue miniere di sapere e conoscenza, come hanno sempre recitato i mantra dei fautori della mercatizzazione del patrimonio culturale.

Non farà bene alla reputazione internazionale del Paese che vuole accreditarsi come “meta universale” del turismo l’ambizioso Piano Strategico del Mibact  “che punta al rilancio della competitività territoriale”  con una dotazione di 103 milioni di euro per l’implementazione di  «cantieri diffusi che vanno a migliorare la bellezza delle città italiane — ha detto Franceschini — e a sostenere l’economia e il turismo del Paese», dal parco e dal Museo archeologico di Sibari (Cosenza) al più improbabile Museo d’Arte contemporanea di Rimini con la nascita di Part (Palazzi dell’Arte di Rimini), dall’Archivio di Stato di Roma alla Casa dei cantautori liguri a Genova.

Iniziative all’insegna di estemporaneità e occasionalità,  che raccontano bene come gli affronti alla Costituzione e ai diritti che postula e testimonia si possano commettere non solo in via referendaria, nemmeno con la imposizione di stati di eccezione: basta consegnare tesori preziosi nelle mani sbagliate e l’oro si trasforma in sterco del diavolo.