Secondo qualcuno che magari critica il sistema, ma che vede nella pandemia una sorta di possibile e ingenua palingenesi del capitalismo, astenendosi quindi da qualsiasi contestazione della narrazione apocalittica, sarebbe stata la Confindustria lombarda, spalleggiata poi dai governatori regionali ( nel frattempo si era aggiunto il Veneto) ad impedire che ci fosse una chiusura parziale di certo più efficace e razionale rispetto alle segregazioni generalizzate. Si tratta di una spiegazione plausibile, ma di certo non sufficiente a giustificare quanto è accaduto: si ha quasi l’impressione che dietro il premier che ormai si sentiva braccato da Draghi e dall’assoluta debolezza di un governo che avrebbe sfigurato come squadra per il Monopoli, abbia agito un ambiente deciso a sperimentare una profilatura autoritaria dell’emergenza, trasformata in stato di eccezione con la messa in mora della Costituzione, un “modulo” che per due mesi è stato praticamente unanime. Del resto la cosa non poteva non piacere ad un ampio spettro dell’elite: dai padroni del vapore di Assolombarda, agli autoritaristi di destra, ai poltronisti aggrappati come cozze ai seggi, fino agli ambienti europeisti felici che il colpo dato al Paese avrebbe abbassato la cresta di ogni sovranismo, vero o simulato che fosse e che facesse risplendere la sottomissione alla tecnocrazia e a un progetto di governance puramente elitario che era così ben incarnato dalle sardine e dalla presidenza della Repubblica.
Per ottenere questo scopo era però necessario rendere più apocalittica e angosciosa possibile la narrazione pandemica, trasformare una sindrome influenzale in male assoluto, celebrare in ogni minuto della giornata i riti tanatologici e nascondere ovviamente gli errori sanitari che hanno ucciso assai più del virus: qualcosa che abbiamo visto svilupparsi un po’ ovunque, grazie alla campagna di terrore messa in piedi a livello planetario da big pharma e dagli organismi ufficiali che controlla, ma mai con la stessa intensità rituale che abbiamo conosciuto noi. Man mano che questa narrazione perde pezzi è naturale che vengano a galla tutti i detriti e gli scaricabarile con i quali questa vicenda è stata costruita: il potere aveva forse sperato in una maggiore gravità del virus, per potere ricevere l’assoluzione ed anzi accaparrarsi il suggello di santità, ma adesso deve fare i conti con un Paese a pezzi che non ha nessuna voglia di ricominciare e che ben presto si troverà a fare i conti con le balle che gli sono state raccontate, ma che ha anche voluto bere fino in fondo la narrazione, compresa la parata solenne dei miliardi immaginari che il governo ha allestito come sequel della pandemia. E’ fin troppo evidente che il piano autoritario sta naufragando nella schizofrenia, ma è anche evidente che non esiste più alcuna reale dialettica politica, ragione per la quale il premier ha potuto guidare due formazioni governative antitetiche: non si andrà avanti di un millimetro con il governo Conte, ma nemmeno con questa costellazione di potere incancrenita nel più vieto occasionalismo, in gran parte corrotta e subordinata alla filiera del potere economico. Saranno tempi durissimi.