ultrasAnna Lombroso per il Simplicissimus

Sembra ieri che qualcuno, dopo un primo voto “inutile”, si piegò al secondo turno a dare la preferenza alla candidata 5Stelle che aveva fatto del “no” alle Olimpiadi e del “no” allo stadio della Roma le sue battaglie contro Giachetti, il prescelto per non vincere,  che, in assenza di un programma, aveva contato sull’appoggio delle curve,  offrendo circensens in qualità di brioche.

Si doveva prevedere che, come è successo in innumerevoli occasioni, la via che porta al potere fosse lastricata anche in quel caso di  cemento, e che non può essere virtuosa e responsabile perché chi la percorre dopo tante promesse diventa inevitabilmente l’ingranaggio di una macchina, che marcia sempre uguale e nella  quale la corruzione morale anche senza mazzette e l’obbligo di assicurarsi il consenso anche senza popolare le aziende di servizio di zii e cugini,  sono il carburante.

Peggio ancora, ben presto si insinua la convinzione che il compromesso sia una virtù del politico, legittimata e autorizzata in cambio di qualche compensazione che, doverosamente, amministratori e rappresentanti dicono di essere costretti a accettare in nome del bene comune, per realizzare in combutta con i privati quelle opere che  non hanno i mezzi ma soprattutto la determinazione di concretizzare. Così le falle di bilancio e i vincoli di appartenenza diventano l’alibi per i cedimenti ai privati, siano essi sponsor di progetti o “mecenati” che devono apporre la sagoma del Colosseo sui loro mocassini.

Così non stupisce che – anche grazie alle pressioni dell’ultimo re di Roma in maglietta numero dieci: sto colosseo nostro s’ha da fa’, quelle delle banche che sperano nella messa a frutto dei crediti che hanno elargito a notori banditi né più né meno delle casse di risparmio del nordest o degli istituti della pingue Etruria, e quelle degli immobiliaristi interessati a quell’anfiteatro de noantri o a uno speculare quindi altrettanto inutile della squadra antagonista nel derby, purchè equipaggiati di torri e falansteri per  uffici  centri commerciali –  la giunta della Raggi abbia dato “l’ok definitivo” per la realizzazione dello Stadio di Tor di Valle.

Ora si  aspetta solo l’ultimo adempimento, il si dell’assemblea capitolina, più che probabile per via dell’appoggio  del Pd, di Italia Viva e della Lega (il sacrificio dei loro esponenti,  Bonifazi e Centemero, accusati di finanziamento illecito insieme a Parnasi lo testimonia), ecumenico  e interconfessionale almeno quanto le moine bipartisan della sindaca rivolte al giocatore della Lazio insignito della “Scarpa d’oro”.

In più di nove anni tante cose sono cambiate (una delle ultime volte ne ho scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2019/03/23/uno-stadio-che-viene-da-lontano/).

Si sono avvicendati tre sindaci, il patron dell’intervento, Pallotta, se n’è andato, la bulimia costruttiva delle cordate del cemento è stata penalizzata -mai abbastanza- “tagliuzzando spazi tra un piano e l’altro, abbassando di qualche metro l’altezza fissata a 200 metri, cucendo e scucendo metri tra corridoi e pianerottoli, rinunciando alle torri sghembe di Daniel Libeskind”,   come ebbe a dire l’urbanista Antonello Sotgia, parlando di un piatto di risulta “confezionato coi resti”, ma ugualmente indigesto: 800 mila e rotti mq di volume di quello che viene chiamato business park, destinati a uso commerciale, e a guardare la mole di opere in capo al Comune dal potenziamento della ferrovia Roma-Lido, agli interventi sulla via del Mare, dalle opere di messa in sicurezza idrogeologica del fosso di Vallerano nell’area di Decima, al ponte aggiuntivo sul Tevere e la bretella sulla Roma-Fiumicino, che potrebbero essere rinviate a tempi successivi.

Ma che continui a trattarsi di una vivanda avvelenata è chiaro, limitazione delle velleità costruttive, compensazioni a uso e beneficio dei cittadini, spazi per attività del terziario, come dichiarò fin dall’inizio Imposimato, servono solo “a mascherare un’operazione di mega speculazione edilizia”, a fare un po’ di maquillage e un   progetto contrario all’utilità sociale, che, lo ricordò a suo tempo il combattivo magistrato “viola gli articoli 9, 32, 41 e 42 della Costituzione”.

Zitta zitta la sindaca in campagna elettorale ha fatto quindi approvare l’Accordo di collaborazione tra Roma Capitale e Città Metropolitana di Roma relativo all’adeguamento del progetto definitivo dell’unificazione della via del Mare e della via Ostiense, nel tratto tra il GRA e il cosiddetto Nodo Marconi e quello finalizzato al potenziamento delle infrastrutture di trasporto pubblico locale, in particolare della linea ferroviaria Roma-Lido, in modo da  suffragare così la “dichiarazione” di “pubblico interesse” dell’intervento.

Come a dire che se metti in piedi un mausoleo inutile esercitando una pressione potente e micidiale in un sito vulnerabile, mettendo a rischio suolo e risorse, ma  poi ci spendi per fare delle strade che facilitino l’accesso al monumento dell’affarismo, ecco che il tempio a beneficio dei mercanti diventa strategico, fruttuoso e vantaggioso per la collettività.

Già prima era insensato dare priorità a uno stadio (ma in itinere sul territorio nazionale oltre a quello della Roma e di Firenze – indispensabile quanto il nuovo aeroporto, e i progetti per quelli di milan e Inter,  c’è l’ampliamento e ammodernamento di quelli di Bologna, Brescia, Cagliari, Genova, Verona, Napoli, Parma), assimilato a intervento di interesse generale tanto da autorizzare procedure d’urgenza, giustificate dall’opportunità di approfittare della smanie megalomani di costruttori e immobiliaristi per procurarsi interventi viari e infrastrutturali come è successo con alcuni prodotti di archeologia “ludica” (Città dello Sport di Tor Vergata, l’Air Terminal Ostiense, la Stazione di Farneto a Roma, per non dire delle Olimpiadi invernali di Torino, o dei Giochi del Mediterraneo a Pescara).

E già prima il calcio e le sue sedi ufficiali (stadi, società, club e pure i bassifondi dove i fascisti reclutano la manovalanza della violenza nelle curve) attraversava un meritatissima crisi che aveva premiato prima del Covid lo sport a distanza, agile e virtuale, imponendo imposto chiusure al pubblico per ragioni di ordine pubblico, con l’unico merito di aver effettuato una selezione del personale degli steward da destinare alla politica, figuriamoci se adesso non suona oltraggiosa questa scelta,  quando ospedali, scuole, fabbriche, esercizi commerciali,  musei, biblioteche sono chiusi, quando vincoli infami sottoscritti da governi codardi che sopravvivono in cambio della abiura e del tradimento della sovranità impongono nuove forme ancora più estreme e ricattatorie di indebitamento, dettando regole, tempi e priorità dietro minaccia di intervenire ancora più pesantemente nella formazione dei governi.

Questa  accondiscendenza alla rinuncia e al sacrificio di talenti, vocazioni, speranze, aspettative legittime di benessere e sicurezza e diritti, in cambio del salario della fatica, quando l’unica “occupazione” offerta è quella dei cantieri effimeri, dove non sono tutelate né sicurezza né garanzie,  è diventata la cifra di un paese in svendita, che non ha più una strategia di sviluppo, dove sono stati rimangiati perfino i mantra della sostenibilità e dell’ecologia, ridotti a macchietta stantia di un ambientalismo regredito a giardinaggio e a periodica raccolta di lattine, e che ha permesso venisse colonizzato e appiattito sul modello americano anche lo studio, con licei e università destinate alla formazione specialistica di personale esecutivo, nei quali le prestazioni sportive potranno facilitare il percorso accademico, diventato ormai un optional ingombrante a vedere alcuni curricula di influenti e decisori.

Con un patrimonio artistico ridotto a location di eventi commerciali, un paesaggio condannato a piegarsi a quinta teatrale e itinerario di parchi tematici, un territorio manomesso da abusivismo e edificazioni che incrementano i rischi della trasandatezza e dell’abbandono causati da consumo di suolo e mancanza di manutenzione, c’era poco da illudersi su un cambio di rotta.

Da vent’anni nel nostro Paese mentre si tiravano su monumento dell’ Irrazionalismo, piramidi erette per lasciare un’impronta, stabili e edifici obsoleti e in rovina senza mai essere stati abitati, ospedali vuoti dei quali resta l’osceno scheletro,  al tempo stesso si demoliva l’edificio di regole e principi dell’urbanistica pubblica.

Prive di un quadro programmatore, esautorati gli organismi di controllo, svuotate le leggi, senza mezzi finanziari, le amministrazioni comunali hanno ceduto alle  pretese pressanti della proprietà finanziaria, delle cordate consortili e cooperative delle imprese costruttrici, della finanza immobiliare intenta a gonfiare bolle a ripetizione per movimentare la liquidità degli hedge funds, dei fondi di private equity, delle obbligazioni, in tutto analoghe al  riciclaggio dei soldi sporchi  della criminalità, sicchè gli strumento di governo delle città sono diventati le misure di valorizzazione patrimoniale, i cambi di destinazione d’uso, l’aumento delle volumetrie, i piani casa, insomma quell’urbanistica contrattata che  legittima la costruzione di stadi ma non consente di investire nel risanamento del patrimonio immobiliare pubblico per dare un tetto a chi non ce l’ha.

Negli ultimi dieci anni le costruzioni realizzate (solo l’1 per cento è di edilizia pubblica) pari a oltre13 milioni di stanze, hanno risposto non ai bisogni della gente ma alle esigenze del sistema finanziario che doveva reperire forme e luoghi nei quali convogliare i suoi fiumi di denaro virtuale, a cominciare da quelli che superano i 3 mila miliardi di dollari dei fondi sovrani, quelli in tasca e nei programmi di investimento, tanto per fare qualche esempio, del Qatar, impegnato all’acquisto di porzioni di Milano e della Sardegna  e di squadre di calcio, a significare che si tratta di due brand che hanno un grande appeal.

E difatti dicono che non ci sono soldi per dare una casa ai senzatetto, ma le opere per il non svolgimento del G8 alla Maddalena sono stati buttati al vento 350 milioni, per la Città dello Sport di Calatrava il bilancio provvisorio è di un miliardo, per l’Alta Velocità tra Napoli e Torino si sono spesi 51 miliardi in venti anni, ma intanto la Regione per le opere che devono facilitare l’accesso allo stadio stanzia 180 milioni mentre non si trovano i 60 o poco più che servirebbero per Tivoli- Guidonia ancora a binario unico che servirebbe il pendolarismo giornaliero di almeno 200 mila lavoratori e studenti.

Intanto l’unico filone scelto per avviare la ricostruzione dopo la pandemia è quello di oltre 130 grandi opere, con i loro cantieri per impiegare un esercito di lavoratori che hanno perso la gara con gli immigrati grazie all’appiattimento sulle loro retribuzioni umilianti, in virtù di una politica di ricatti e intimidazioni che ha colpevolizzato e censurato la legittima rivendicazione di diritti e garanzie.

Che tanto, come ci hanno raccontato per anni libri, film, serie Tv, a unire tutti basta la partita, il calcio, il tifo, in milioni, tutti ammansiti e addomesticati a guardare, in arene che abbiamo strapagato, gladiatori di lusso che meriterebbero i leoni.