70651_18891_cuccia-per-dueAnna Lombroso per il Simplicissimus

È perfino banale osservare che c’è una guerra fuori moda, sgradita ai più che proprio non vogliono esserci messi in mezzo, nemmeno quando sono vittime civili e le loro tragedie sono identificabili come effetti collaterali.

E’ quella che dovremmo muovere a un sistema economico-finanziario che sarebbe giusto chiamare col suo nome “totalitarismo”, anche se non è stato preso in considerazione dell’europarlamento, troppo occupato a mettere all’indice il comunismo e perfino  con la damnatio memoriae, il ricordo  dei martiri dell’antifascismo, rei di quella “appartenenza” ideale.

Così la critica al capitalismo è stata confinata nelle anguste geografie degli “specialisti” a ranghi sempre più ridotti o è caduta nelle mani di avventizi che la riducono a critica del marxismo in modo da non fare mai i conti col presente e meno che mai col futuro, scenari per esercitazioni sociologiche e letterarie, se pensiamo al successo del Moccia della filosofia, Fusaro.

Peggio ancora se a pensarci e parlarne sono gli “economisti”, che infatti hanno contribuito a darne una lettura circoscritta alla dimensione dei rapporti di produzione e di mercato, sottovalutando non casualmente quegli aspetti non strettamente legati al profitto e all’accumulazione   che invece hanno investito e condizionato tutti i rapporti di potere, lo stato e le istituzioni, l’espropriazione colonialista e imperialista dell’ambiente e delle risorse, la “riproduzione sociale” che non remunera il lavoro,  tutti aspetti di un ordine sociale  che via via ha perso la forma di un ordine naturale, incontrovertibile e inestirpabile.

Tanto che  ormai pare ineluttabile consegnarsi fatalmente al sistema e alla sua ideologia, non riuscendo a immaginare un’alternativa praticabile da quando è tramontata l’ipotesi di una rivoluzione contro il capitale, come Gramsci chiamava quella russa, che richiederebbe nuove forme di emancipazione.

Ormai pensiero, creatività politica, sono stati egemonizzati dalla sua ultima corrente, il neo liberismo, che ha dato alle élite “intellettuali” che occupano con la loro pretesa di superiorità culturale e morale lo spazio pubblico dell’informazione  della costruzione dell’opinione, una tana relativamente protetta e ancora sicura, con discreti privilegi e forme di tutela, che conducono alla rinuncia e addirittura alla derisione o alla condanna di qualsiasi critica e opposizione al governo della cosa pubblica, ma anche della vita delle persone, delle loro scelte e inclinazioni individuali, retrocessi a esercizi visionari irrealistici e impraticabili.

Ci si è messa anche l’emergenza sanitaria – che non sarà nata come complotto ma che assume i contorni cospirativi di uno stato di eccezione destinato a prolungarsi – a stigmatizzare ogni forma di ricusazione di scelte imposte, contraddittorie e immotivate se non dall’esigenza di creare una condizione favorevole alla sospensione della democrazia, grazie ai poteri speciali attribuiti al governo tra cui quello di adottare Dpcm che non hanno bisogno dell’approvazione delle Camere.

Basta guardare all’anatema lanciato contro chi si interroga su qualità e portata della proroga delle misure di sicurezza. Ormai ostracismo e condanna non riguardano più soltanto i comportamenti  “irresponsabili”, che hanno fatto arruolare chi osava contestare l’efficacia di misure e proibizioni -anche se si era sempre lavato le mani e osservato criteri elementari di profilassi anche in latitanza di influenze e non mangiava le cozze crude né tanto meno topi vivi – nelle file degli scambisti trasgressivi, degli organizzatori di rave party e di crapule.

Diventato impossibile contestare le scelte anche le più irragionevoli e suicide, è quindi doveroso accettare tutto il pacchetto: mascherina, guanti forse si forse no, distanziamento, rilancio dello smart working (l’industria chimica e quella farmaceutica fanno da apripista per regolare il lavoro da casa, sottoscrivendo  il 9 luglio un accordo programmatico in materia con i sindacati) e della didattica a distanza, vista l’impossibilità di applicare il principio costituzionale del diritto all’istruzione, ricorso a forme di rapporto di lavoro atipico indispensabili a riavviare lo sviluppo,  regolarizzazioni fasulle a spese degli immigrati cui si potrebbero aggiungere i percettori di redditi e aiuti.

E poi,   il part time per le donne che permette la dolce espulsione dal posto occupato,  in modo da combinare  cura, assistenza, aiuto pedagogico e cottimo, senza contare i debiti per il risarcimento del Mes e dei generosi aiuti europei in cambio di riforme,  a pesare sulle spalle dei cittadini che – lo dice la Banca d’Italia –    arrivavano già a marzo  alla fine del mese con difficoltà per una contrazione del reddito generalizzata e che per il 36% ammonta alla metà. E poi, ancora, indebitamenti per proseguire nel disegno insensato per la realizzazione di Grandi Opere e infrastrutture, mentre non si prevedono gli investimenti decantati per la sanità, l’istruzione, nemmeno per le tecnologie che dovrebbero sostenere la rivoluzione digitale.

Pare proprio necessario scontare la salvezza con il crollo della domanda determinata dal lockdown, cui si reagisce con politiche finanziarie che comporteranno a loro volta impoverimenti, anche per quelle fasce di popolazione che non sono state pesantemente colpite, dipendenti pubblici e pensionati che si vedranno ristrutturare la pensione e le remunerazioni o sui cui conti correnti inciderà una tassazione straordinaria.

A esigere a gran voce obbedienza, senza contestazione o dubbi, diventata una virtù civica, sono quelli che, a leggere le loro esternazioni sui social e esibiti come testimonial della cittadinanza responsabile dalla stampa, rivendicano il loro sacrificio, lo “ io resto a casa” per tre mesi e più, i resilienti, ma qualcuno si sente resistente,  dalla trincea del divano, del pc aperto su Fb,  della poltrona davanti a Netflix, dello smartphone con l’app  Immuni, distribuita non dal Governo che l’ha finanziata, ma dagli gli store di Apple e Google, generosamente e giudiziosamente pronti a perpetuare la Fase 2, come è diventato inderogabile da quando si sarebbe resa necessaria  una compressione delle libertà, che non sarà un colpo di Stato, ma che ha prodotto una obiettiva limitazione delle prerogative  e garanzie, senza violare apertamente la Costituzione ma attribuendo una scala di valori e una gerarchia ai diritti per mettere al primo posto la sopravvivenza.

Invece non hanno avuto né hanno voce  gli altri milioni che dall’inizio del Lockdown sono stati destinati ad altro sacrificio, esposti doverosamente al contagio, senza dispositivi di sicurezza, graziosamente previsti nei limiti di accordi volontari e dunque arbitrari e discrezionali dalle rappresentanze padronali, negli uffici, nelle fabbriche, nei supermercati, raggiunti con mezzi di trasporto affollati, che non hanno suscitato le reprimende rivolte agli aerei che in questi giorni permettono a quelli di serie A di raggiungere mete gratificanti nelle quali riposarsi con mascherina e distanziamento dopo l’estenuante isolamento.

C’è da temere che non sia lontano il momento nel quale di fronte alla loro ribellione, in vista della indispensabile punizione di chi contesta le verità dell’establishment, governo, comunità scientifica, stampa ufficiale, si materializzeranno più concretamente forme di censura e repressione, già ipotizzate: chiusura di sociale, task force di sorveglianza severa sulla “controinformazione”, la mobilitazione contro le bufale e il complottismo a cura di chi si è insignito di una superiorità, sociale, culturale e morale, che di solito finisce per sfociare nella desiderabile eventualità di circoscrivere il suffragio universale, in modo da selezionare i meritevoli con diploma, patentino di progressismo antipopulista e antisovranista, muniti di piccola rendita, o posto fisso, o startup finanziata dagli amici di famiglia, esito del tampone e dichiarazione di intenti in favore di ogni tipo di vaccinazione contro le influenze.

Influenze, si, intese come patologie, che i condizionamenti che vengono dall’alto sono invece raccomandati, come l’isolamento che favorisce la fine della coesione e della solidarietà.