corso-di-sopravvivenza-per-presidi-contro-il-bullismo-768x320Mi chiedo sinceramente e senza più  ironia perché al posto del ministero dell’Istruzione alla cui testa salgono regolarmente personaggi che esprimono a tutto tondo le carenze del sistema scolastico, non si pensi a mettere il direttivo del Cepu. Non cambierebbe nulla perché questa storia del Covid ha tra i suoi scopi più evidenti anche la definitiva distruzione della scuola pubblica dalle elementari all’università. Lo si capisce fin troppo bene  dall’immediato peana nei confronti dell’istruzione a distanza che si è alzato dai juke box dell’intellighentia a pagamento, dalla fine prematura dell’anno scolastico, senza nemmeno un incontro finale, dalle intenzioni di mantenere anche per l’anno prossimo, non si sa bene su quali basi di conoscenza o di semplice chiacchiera virale, il distanziamento di aula (un’altra cosa di esemplare stupidità) e dunque una struttura sostanzialmente legata alla didattica online. Persino molte università stanno decidendo di fare la stessa cosa, di eliminare le lezioni, di sostituirle con appuntamenti virtuali, cosa peraltro molto saggia: a che servono atenei i cui docenti non sanno nemmeno leggere i dati dell’epidemia e non arrivano a quella zona di giudizio cui sta giungendo  persino la casalinga di Voghera evoluta che comincia a sospettare della narrazione pandemica? O atenei nei quali pur di non dover insegnare si finge di essere impauriti dalla Pandemia con tanto di ipocrita maiuscola? O ancora così succubi del potere da non sentirsela di contestare un potere stupido e probabilmente anche assassino?

Dalla notte dei tempi si sa che il valore della scuola sta nel dialogo verticale e orizzontale che si crea fra studenti e docenti, che non si tratta solo di fare entrare in testa delle nozioni, ma di suscitare una cultura e una capacità critica attraverso lo scambio e questo è tanto più vero quanto più si avanza negli studi. So benissimo di aver imparato di più dalle notti passate a leggere Kant o Marx o Schopenhauer o Nietzsche insieme ad amici che da tutte le lezioni messe assieme. Eppure entrambe le cose erano strettamente legate, impossibili le une senza le altre.  La scuola “per corrispondenza”, dove ognuno  è isolato fa perdere completamente questa dimensione lascia il posto al vuoto diplomificio: il Cepu, versione degradata della glorioso  è  dunque il modello ideale, tanto più che on line non si sa bene come poter giudicare la preparazione degli allievi, la loro crescita i loro problemi o le loro caratteristiche di apprendimento per la scuola privatissima di recupero per asini  è l’ideale. Non bisogna pensare a un incidente di percorso virale perché il declino dell’insegnamento in Italia è stato rapido e impressionante: dalle università esce gente che non sa nemmeno esprimersi in un italiano corretto e che possiede un universo cognitivo simile a quello del dado con l’acqua calda, rispetto al brodo lentamente sobollito: lì per lì può sembrare la stessa cosa, ma si tratta di due cose incomparabili. Se volessimo descrivere la situazione nella sua orribile realtà credo che non ci sia miglior esempio di quel corso universitario in cui 21 studenti si 49 non hanno saputo risolvere un esercizio  preso da un sussidiario per la quarta elementare del 1905. Sospetto che i bocciati siano poi diventati Sardine, gente così profondamente vuota e incolta da pensare di essere supremamente acculturata. Oddio è anche vero che alla Stanford University si è scoperto che il 78 per cento degli studenti di ingegneria non aveva capito il principio di Archimede, quindi non capiva perché una nave galleggia e non affonda, anche se sapeva applicare le formule matematiche del caso.

Ma qui ci saldiamo ad un altro discorso: quegli studenti di ingegneria che non erano in grado nemmeno di esclamare “iurika”, come certamente leggerebbero il greco antico di Siracusa, sono il risultato di un contesto culturale dove è preponderante la parte pragmatico – algoritmica dell’istruzione che non coincide con la comprensione, ma con la competenza e l’abilità funzionale. Non sono dunque pesci fuor d’acqua, ma lo siamo noi che da decenni non riusciamo ad esprimere alcuna soggettività culturale e ci limitiamo a scimmiottare ciò che viene dall’altra parte dell’atlantico e che è poi all’origine del declino occidentale. Per questo è ormai inutile avere qualcosa che vada oltre il Cepu: pochissima spesa, esami pro forma, tutti promossi, insegnanti pagati pochi euro. E del resto anche questo abominio  lo vuole l’Europa delle oligarchie: una trentina di anni fa la commissione europea redasse un rapporto poi diventato linea guida in cui si sosteneva che “Un’università aperta è un’impresa industriale e l’insegnamento superiore a distanza è una nuova industria. Quest’impresa deve vendere i suoi prodotti sul mercato dell’insegnamento permanente”. Vogliamo forse negare che da questo punto di vista il Cepu sia effettivamente qualcosa di avanzato rispetto ai secolari atenei o alle scuole dove gli insegnanti tentano di aprire le menti degli alunni? Già da molti anni spendiamo per l’istruzione molto meno degli altri Paese europei, ad accezione di Slovacchia e Bulgaria, quindi non dobbiamo sorprenderci se la pandemia è ora il pretesto ottimale per cominciare a chiudere definitivamente baracca e burattini del vero insegnamento pubblico e dunque anche della democrazia. Ci penserà Colao, nomen omen