Anna Lombroso per il Simplicissimus
Dovessimo giudicare lo stato e la tenuta di una democrazia dalle sue piazze, non ci sarebbe da stare allegri.
Personalmente nutro analogo fastidio per l’arruffapopolo ex militare cacciato dall’Esercito, passato attraverso le più squallide formazioni della “scontentezza”, pallida macchietta di Tejero più che di Pinochet, che per il piccolo arrivista senza né arte né parte se non quella in commedia sotto l’ala protettrice di Prodi e dei petrolieri, che alterna pensose e troppo brevi pause di riflessione con l’entusiastica militanza elettorale nell’area progressista, con la stessa aspettativa, un posto al sole, una poltrona, un reddito, l’unico ormai sicuro, sapendoci fare.
Certo l’uno schiamazza e articola grugniti bestiali con Casa Pound, né più né meno di acuti opinionisti o accreditati direttori di telegiornali che li hanno voluti accanto per dialogare in nome del pluralismo, certo l’uno ha dato vita a una calca incompatibile con l’emergenza ancora in corso, nè più né meno di un pericoloso assembramento di autorità a accogliere festante la connazionale infine liberata.
Ma diciamo la verità a suscitare biasimo nella pubblica opinione non è tanto la performance di un attempato aspirante golpista, ex tutto dal Psdi ai forconi, nemmeno l’ostentazione ribellista contro le regole imposte dallo stato di eccezione, equiparata ai vergognosi rave, ai deplorevoli apericena ai Navigli, alle deprecabili grigliate in terrazza condominiale. E probabilmente nemmeno l’alzata di scudi contro il Governo, unanimemente considerato il migliore caduto dal cielo per la gestione dell’emergenza, meno che mai l’odio antistatalista, che aveva rappresentato fino a ieri il sentimento comune, consolidato la convinzione che si trattasse di un padre padrone, inefficiente, forte coi deboli e debole coi forti, ridotto a erogatore di aiuti generosi ai ricchi e spietati e di assistenza pezzente ai parassiti.
No, è che ai generatori meccanici di indicatori della pubblica percezione, un ceto che conserva ancora qualche sicurezza, più o meno acculturato, grazie al succedersi di riforme perverse della scuola e dell’Università, più o meno informato, grazie a una stampa che via via si è ridotta all’Unico Grande Giornale degli italiani, più o meno posseduto dal mito del progresso, malgrado qualche tentennamento recente, ammesso che si sia accorto della qualità modesta della nostra comunità scientifica, ecco a quel ceto che rivendica una superiorità sociale, culturale e morale, proprio non gli stanno bene queste piazze cialtrone, ignoranti, belluine che non conoscono il bon ton e le regole dell’educazione.
A ben guardare non gradiscono nemmeno altre piazze che dovrebbero invece appartenere alla loro formazione di cittadini probi, a giudicare dalla indifferenza, quando non riprovazione riservata alle manifestazioni di lavoratori in lotta, di immigrati irriconoscenti degli sforzi per introdurre il caporalato di governo, di No Tav o No Triv, retrocessi a molesti disfattisti che ostacolano sviluppo e lavoro avviato dei cantieri a beneficio di giovani altrimenti pigramente inoccupati.
Non hanno ricevuto il minimo sindacale di solidarietà dai reclusi del divano davanti a Netflix, nemmeno le manifestazioni e gli scioperi dei primi di marzo quando gli addetti costretti ad esporsi alla pestilenza hanno reclamato per ottenere dispositivi e misure di sicurezza.
E d’altra parte nessuno ha pensato di ricorrere agli strumenti messi a disposizione dalle democrazia per impugnare quei decreti di ordine pubblico che si sono susseguiti negli anni, che limitano il diritto di esprimere dissenso in nome del decoro alla pari del contrasto a violenza insurrezionale e terrorismo, ancora pienamente vigenti e oggi rafforzati in virtù della crisi sanitaria che esige unità e coesione intorno all’esecutivo e ai suoi consiglieri speciali autorizzati a aggirare il controllo parlamentare.
Eh si, le uniche piazze legittimate sono quelle in favore di governo e qualche governatore, che poi quelli che oggi non riscuotono consenso, sono comunque ammessi a restare al loro posto, oggetto al più di garbata satira, così come gli appelli degli intellettuali, primo caso in assoluto salvo lontane rimembranze che riecheggiano oggetto immediato di anatema.
Vige la pretesa di innocenza, così nessuno si assume la responsabilità di ammettere che piazze e critica sono stata consegnate nelle grinfie di innominabili, che ormai la Repubblica nata dalle resistenza e fondata sul lavoro ha perso il diritto di parola, salvo una, il si, pronunciato in segno di accettazione e fedeltà a un “potere” superiore allo Stato nazionale, che ci offre a caro prezzo la sua carità pelosa inadeguata, come il Recovery Fund, il cui continuo rinvio conferma l’inconsistenza, per imporci come fatale il Mes, il rimborso senza sconti e i conti ingenti dei tagli della spesa pubblica e degli investimenti sociali, della privatizzazioni dei servizi pubblici con relativi licenziamenti, delle imposte su patrimonio e immobili, della piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali, di una profonda e radicale revisione del sistema di contrattazione collettiva nazionale nel quadro di un contesto di riforme costituzionali che inaspriscano le regole fiscali.
Nessuno dichiara la sua complicità nell’aver permesso che l’ideologia e la pratica neoliberista sconvolgessero il sistema di classe, senza abbatterlo, confondendo i confini delle geografie: proletari, piccola borghesia, segmenti sociali attivi nei settori produttivi e nella pubblica amministrazione sono stati persuasi, dopo la demolizione degli apparati politici e sindacali, della bontà di arruolarsi nell’esercito padronale, per poter godere del rancio e della paga del soldato. Sono loro che dettano gli slogan del “buonsenso comune” nella piazza virtuale, per condannare alla marginalità, senza parole e senza diritti di cittadinanza, il popolo bue, ignorante, rozzo, rispetto al quale si ha l’opportunità di sentirsi superiori.
In attesa dell’assalto ai forni, a mobilitarsi sono i ceti medi impoveriti, i piccoli imprenditori, i commercianti, i bottegai, oggetto di generalizzato disprezzo, assimilati a quella maggioranza silenziosa che ci ha consegnato a Berlusconi, mentre l’edificante proposta alternativa era l’avvicendamento di Prodi, D’Alema, Amato, Monti, bersaglio di schizzinosa condanna in quanto vittime predisposte del contagio del populismo e del sovranismo, in quanto restie all’approvazione suicida delle politiche razionali e severe dei tecnici e poco inclini a sentirsi rappresentati nella celebrazione del grande centro, tra destra e diversamente destra progressista, che prevede la gestione “neutrale” e concordata degli affari pubblici.
Vedrete come finiremo per aver perseguito la loro colpevolizzazione tramite ostracismo sociale e culturale, quando gli affamati faranno giustizia di chi pensa di poter conservare pane e denti, ma è già condannato a perdere entrambi avendo rinunciato alla consapevolezza e alla lotta.
Non ci fossero i gilet arancione, dovrebbero inventarli: si deve a loro l’opportunità di assimilare ogni forma critica e di opposizione alla gestione della crisi sanitaria e di quella economica alle loro formazioni, di condannare ogni legittimo dissenso al silenzio della mascherina sulla bocca e sugli occhi.
Certo, l’aplomb di Pappalardo ed il suo pedigree non sono certo quelli degli pseudo-rivoluzionari, perché sempre di pseudo si tratta, che sanno mirabilmente impastare tutti gli ingredienti giusti per il melting pot fucsia, come lavoratori in lotta, immigrati, No Tav & No Triv, ecc…
Ché rivoluzione è, sì, bello, ma sempre con il mignolo alzato.
“Sporcarsi le mani” non è da intendere solo in senso letterale, occorre il coraggio di accostarsi alle idee chiunque inizi a svegliare i cittadini e a portarli in piazza, a capire che restando nella virtualità dei cari libri o della tastiera, i farabutti al comando potranno spegnerci tutti come le luci del loro cesso dopo averlo usato.
Occorre una massa fisica che “si” manifesti, a prescindere da come e con chi lo fa.
E’ questo il segnale di risveglio che preoccupa il sistema, dopo decenni spesi ad attaccare i cittadini prima alla tv, ora alla tastiera.
Dei migranti, cara Anna, ancor più fragilmente beoti e sempre pronti a votare anche per la Nutella, purchè unga le loro fette di pane (offerte dalla Caritas), parliamo in un secondo momento.
Anche i buchi Triv & Tav non mi sembrano al primo posto tra quelli da riempire. Forse il Suo frigorifero Le racconta un’altra storia, cara Anna, ma il mio non sarebbe d’accordo…
Lo dico con faticoso rispetto, ogni volta che qualcuno si offre di portare il peso della carriola della protesta, ecco che si pretende di sovraccaricarlo con tutte le piaghe del mondo. Tipica mancanza di senso della realtà di chi ha solo pratica di attività intellettuale, ovvero virtuale e poi, magari, nemmeno va a fare la spesa.
Quindi spazio a Pappalardo e a tutte le sue contraddizioni, augurandoci che altre figure lo affianchino, magari con contraddizioni di segno diverso, giusto per controbilanciare, ma con la stessa volontà di rompere il muro davanti a noi, che certi occhiali da lettura, notoriamente, non consentono nemmeno di vedere…
non riesco ancora a capacitarmi del fatto che appena si propone una idea, una riflessione di debba necessariamente premettere dichiarazione dei redditi, professione e adesso anche il contenuto del frigo e lo scontrino della Coop. Se lei Lorenzo mi avesse letto con attenzione avrebbe forse inteso che nei confronti del Pappalardo ho la legittima nausea che provo per le sardine e per i fermenti da tastiera, ma credo mi permetterà di non trovarmi a mio agio al suo fianco, proprio come non mi sono trovata a mio agio con movimenti che avevano rimosso interamente la spinta anticapitalistica.. Non si tratta dell’antifascismo o dell’antirazzismo di superficie, ma del contrasto al totalitarismo che tra le altre cose si declina appunto anche con xenofobia a intermittenza, secondo i bisogni del padronato, fascismo quando serve qualche milizia che mena o reprime. Vede io ho una convinzione, che i lotte come i diritti non possono avere graduatorie e gerarchie, che sia necessario aggregare bisogni, aspettative, domande. Pensare che le lotte per la tutela del proprio territorio, che i bisogni degli immigrati che arrivano qui depredati e affamati da noi, non siano secondari, altrimenti avrebbe ragione il Pd, avrebbe ragione il progressismo neoliberista che ha scelto di imbonirci con il politicamente corretto dei matrimoni gay, quando ha levato alla gente la possibilità di convivere sotto un tetto, quando si limita il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro.
Gentile Anna,
non contesto i contenuti, critico il metodo. Attribuire una sorta di teorica “pari dignità” a istanze che, necessariamente, hanno una diversa incidenza temporale e concreta, direi un diverso peso specifico, almeno quando si parla di distruzione sociopolitica del Paese, è come pretendere di mischiare l’acqua con l’olio.
In effetti ciò avviene nel condire l’insalata, ma è perché le fibre della verdura contengono l’acqua al loro interno e trattengono l’olio in superficie, permettendo ai due elementi di convivere per la gioia dei nostri palati.
Non intenda il paragone di bassa cucina come irriguardoso o sciovinista nei confronti di una donna, è la prima cosa che mi è venuta in mente quando, per riflesso pavloviano, ho costruito il paragone sulla base della mia dieta forzata non da ragioni salutistiche.
Ad ogni modo, parafrasando un tizio sepolto troppo in fretta dalla Storia, il colore dei gatti non mi interessa, voglio solo che riescano a sterminare questi sorci bastardi.
Che, tra l’altro, mi hanno anche svuotato il frigo.