marzi  Anna Lombroso per il Simplicissimus

Immaginiamo che sia sceso dall’astronave  proprio qui il solito marziano, dal quale qualcuno, compreso un filosofo  più acchiappacitrulli che visionario, Zizek, si aspetta la salvezza dai mali commessi dagli umani.

Imponendogli la mascherina dovremmo raccontargli che forse arrivò dalla Cina, ma c’è anche chi pensa che a portarlo là sia stato un untore occidentale forse un italiano esponente di spicco dell’internazionalizzazione del sistema Italia, un virus influenzale della famiglia dei Covid. Che presto si diffuse, persuadendo le autorità sanitarie, istituzionali, centrali  e regionali, che si trattava di un ceppo particolarmente contagioso e particolarmente letale, a guardare al numero dei decessi nelle aree più popolose, industrializzate e inquinate del Paese.

Tanto che si stabilisce subito un rapporto causa effetto tra la qualità dell’aria e l’incidenza della patologia sull’apparato respiratorio.

Solo molto tempo dopo, e vallo a spiegare al marziano, si scoprirà che con tutta probabilità gli effetti letali sarebbero invece a carico di quello circolatorio, suscitando il sospetto che molti anziani già affetti da malattie a carico del cuore e della circolazione siano morti per terapie inappropriate, conseguenti tra l’altro alla interdizione per gli anatomopatologi di praticare autopsie sulle vittime, considerate superflue ma che invece avrebbero potuto chiarire le vere cause di morte.

Inizia da subito l’erogazione da parte delle autorità di cui sopra – che agiscono seguendo le indicazioni disomogenee, contraddittorie, confuse di una selezione di personalità scientifiche che da anni hanno consolidato relazioni  stabili con la politica anche in virtù di una certa indole alla spettacolarizzazione del loro sapere, mai colpito da dubbio – di informazioni e statistiche a dimostrazione che l’unica strada da intraprendere è la serrata del Paese. Anche perché, e questa da subito è l’unica certezza incontrovertibile, il sistema della sanità pubblica dopo anni di tagli, dopo la consegna ai privati del settore della cura e della ricerca, dimostra subito di non poter far fronte a una epidemia, come in realtà si evidenziava già – ma forse vi vergognereste di dirlo all’ometto  verde – a ogni influenza stagionale, che mieteva u gran numero di dipartite, incrementate da accertate infezioni ospedaliere.

Allo slogan “Andrà tutto bene”, che campeggia ovunque, si sostituisce subito # iorestoacasa, impegno indicato come il più responsabile a tutela della propria salute e di quella degli altri, e reso obbligatorio da una pioggia di provvedimenti limitativi della libertà personali, che aggirano il dettato costituzionale in presenza, viene affermato e confermato da alcuni costituzionalisti, di una emergenza che impone leggi eccezionali, in forma di Dpcm, insieme a poteri commissariali, svincolati dal controllo parlamentare. E infatti il loro rispetto è garantito dalle forze dell’ordine, dalle polizie municipali e dalla presenza occhiuta di militari incaricati di vigilare sulla loro applicazione comminando sanzioni elevate ai trasgressori e avvalendosi di delazioni e denunce anonime di cittadini coscienziosi.

Inizia così il lungo lockdown (non dite al marziano che ricorso a un anglicismo non nasce da una attitudine italiana alla solidale socialità che addirittura non prevede un termine appropriato nella lingua di Dante, ma nella inclinazione della comunicazione di chi sta in alto a rendere indecifrabile e quindi più potente le decisioni autoritarie).

Chiamiamolo dunque confinamento e consiste nel dividere gli italiani in due grandi categorie: quelli che possono salvarsi dal  contagio della pestilenza, imperscrutabile, misteriosa e minacciosa, della quale si continua a non sapere nulla e che viene quindi contrastata con l’uso di mascherine, guanti e  l’invito a lavarsi frequentemente le mani, come si dovrebbe peraltro fare sempre nel rispetto di normali criteri di igiene, stando a casa,   e quelli, declinati in forma di martiri e eroi nazionali, che devono prestarsi per spirito di servizio e doverosa abnegazione essendo addetti ad attività definite essenziali.

I servitori del popolo esposti al morbo sono i lavoratori di produzioni indispensabili (compresi gli F35), operai di grandi industrie, manutentori, dipendenti della grande distribuzione, e poi quelli dei trasporti, quelli delle consegne a domicilio, i magazzinieri delle multinazionali delle vendite online, riscattate dal bisogno immediato, i pony, le cassiere del supermercato, cui fino a ieri si guardava come a indolenti parassiti perché non volevano fare i turni alle feste comandate.

Non ne fanno parte i santoni della scienza che ispirano e guidano le scelte governative in modo da contenere le esuberanze di un popolo renitente e indisciplinato, da mettere in riga come un ragazzino riottoso, proprio come era stato necessario fare in occasione di crisi economiche che avevano richiesto l’adozione di criteri di austerità punitivi.

Ai martiri, anche a quelli che circolano nelle zone rosse, i datori di lavoro,  quelli di Bergamo is running,  quelli che si accordano con il Governo e i sindacati per bloccare gli scioperi e le proteste di operai che si chiedono come mai, se il morbo è così pericoloso, a loro non è data salvezza,  concedono dispositivi di tutela in applicazione unilaterale di un protocollo concordato con l’esecutivo e appoggiato dai sindacati che prevede in forma discrezionale e “volontaria” l’adozione di “strumentazione adeguata”, il distanziamento nei siti di uso collettivo, guanti e mascherine, queste ultime perlopiù a spese del dipendente.

Così, secondo un rapporto dell’Istat il 55,7% della forza-lavoro, escludendo chi ha operato in modalità smartworking,  è rimasta attiva durante il lockdown, spostandosi da casa per andare a lavoro: i livelli più alti si sono avuti a  Milano che registra il 67,1%,Lodi 73,1% e Crema 69,2%, che distano solo 24 km da Codogno, epicentro del virus.

E in prima linea, ovviamente,  c’è il personale sanitario,  celebrato e commemorato con un repertorio retorico epico anche grazie all’adozione di una narrazione e di un linguaggio bellico rievocativo dell’amor patrio e della opportunità di dotarsi d nuove leve di eroi nazionali, gli stessi fino a due mesi prima sottopagati, spinti a collocarsi nel privato, umiliati da salari poco dignitosi e caratterizzati da disuguaglianze gerarchiche.

Infatti la loro presenza virtuale si materializza via cavo, via etere e via intervista telefoniche, mentre è accertata la latitanza doverosa e avveduta da laboratori, reparti e corsie di ospedali. Quei luoghi dai quali ben presto si capisce che è meglio non frequentare insieme a case di riposo e ospizi, dichiarati focolai e dove sono stati conferiti da tempo e recentemente proprio i soggetti a rischio. Chi lamenta sintomi riconducibili al virus (e vaglielo a spiegare al visitatore interstellare) dopo qualche tentativo di relazionarsi coi numeri verdi, con i pronto soccorso, disorientato dai consigli telefonici dei medici di base e dalle contraddittorie informazioni sui sistemi diagnostici, tamponi si tamponi no, indagini sierologiche si o no, tachipirina raccomandata o sconsigliata, si arrende all’evidenza e si cura in casa nel timore di essere conferito nelle terapie intensive e sottoposto a trattamenti che in seguito si riveleranno inadatti se non controproducenti.

Per più di due mesi gli italiani vengono retrocessi a gregge:  impaurito dall’infezione e dalle sanzioni, assediato, criminalizzato se si sottrae alle leggi marziali, perseguitato  nella quotidianità con una manifestazione di potenza muscolare  che solitamente caratterizza la repressione dei crimini più vergognosi, chi segregato tra le mura domestiche, chi “in trincea”, separato comunque dai propri cari, isolato nella malattia e nella morte, perfino  privato dei conforti della religione.

Mentre intanto viene sospeso il diritto alla cura di patologie che non siano il Coronavirus, dell’istruzione somministrata in forma volontaria e dilettantistica,  dell’occupazione, quando si tratta di partite Iva, part time, precariato, artigianato e commercio, costretto a consumare i risparmi nell’attesa di un obolo statale, magari in forma id prestito da risarcire a banche alle quali il presidente del Consiglio chiede amore, in cambio della consegna dell’economia nelle loro mani criminali.

Ci sarebbe proprio da vergognarsi agli occhi del marziano per aver accettato tutto questo, sena mai mettere in discussione le imposizioni, gli obblighi, la repressione che di giorno in giorno sembrano essere sempre meno legittimi e giustificabili.

Ma più ancora è inspiegabile che nessuno si interroghi sul Dopo, che secondo la paccottiglia ideale sciorinata da una informazione che ha definitivamente tradito il suo mandato, non dovrà essere come il Prima. Quando governo e i corpi separati istituiti per l’occasione, non hanno pensato a nessun programma che non disegni un futuro di stenti, privazioni, rinunce sotto forma di costi da pagare perfino per rimettere in sesto una sanità che negli anni è stata il terreno di scorrerei dei predoni, sotto forma di carità pelosa da risarcire, sotto forma di espedienti per sopravvivere quando interi settori sono destinati a scomparire, dal turismo e il suo indotto, compresi quei B&B che avevano costituito un sommerso promosso anche nelle sue forme più opache, la ristorazione, il commercio al dettaglio, il settore pubblico quando non ci saranno più le risorse per pagare gli stipendi.

Sappiamo già che  marzo la produzione industriale è diminuita del 29,3%, mentre 270mila negozi (stima prudenziale della Confcommercio) sono destinati alla chiusura: sono le cifre di un fallimento che va di pari passo con il flop della comunicazione apocalittica che ha legittimato il confinamento se da noi il numero dei contagiati ufficiali è allo 0,36%, in Germania (con il lockdown “addolcito”  e in  Svezia dove non è stato messo in atto è allo 0,26%.

Il marziano – ma nemmeno il governo e le sue task force quando parlano di ricostruzione – ha certamente letto un volumetto di Keynes che aveva partecipato alla Conferenza di Pace di Versailles e che si intitola “Le conseguenze economiche della pace”, con il quale metteva in guardia dagli effetti punitivi di quella che definiva una “pace cartaginese”, ricordando le  condizioni eccessivamente rigide imposte da Roma a Cartagine  al termine della  seconda guerra punica col proposito di  accentuare e perpetuare l’inferiorità del perdente.

È che dopo la guerra al virus gli sconfitti siamo noi, beneficati dal Piano Marshall dell’Ue che ci condanna con il Mes a un stato di consolidata soggezione, con la prospettiva della definitiva perdita di sovranità in favore della prepotenza egemonica del sistema bancario, con la prospettiva di un’occupazione sempre più dequalificata, quella dei “cantieri”, dei lavoretti alla spina, i part time e il cottimo al Pc, suffragato anche in via parlamentare da una proposta presentata non a caso da esponenti del Pd del Jobs Act  tra i quali Martina, Orlando, Serracchiani, per ridurre l’orario di lavoro riducendo proporzionalmente il salario, lo stesso fronte che si fa interprete dei bisogni di Fca che chiede aiuti sotto forma di garanzia al Paese che ha tradito dopo averlo dissanguato, lo stesso che in nome della militanza antirazzista pensa di riscattare i lavoratori resi schiavi della sue riforme, riducendo in servitù legale gli invisibili temporaneamente  “regolarizzati”.

E’ a questo punto che lo vedrete darsela a gambe, il marziano: ha capito che sono meglio le guerre stellari.