protesta-commerciantiC’è stato nei giorni scorsi un timido tentativo di ribellione alla segregazione e alle ridicole misure della cosiddetta fase due da parte  dei commercianti e dei lavoratori autonomi messi in condizione di non poter più lavorare e di dover chiudere letteralmente bottega. Tentativo timido, presto risoltosi con le solite multe,  perché effettuato da persone allergiche alla piazza e anzi solida base delle maggioranze silenziose, ma soprattutto perché portato avanti da gente frastornata e incredula, convinta che sarebbe stata appoggiata e supportata dalle opposizioni nel triste percorso di un’epidemia puramente narrativa, mentre si è accorta che ormai piccolo è brutto, che le misure andavano a favorire senza alcuna ragione sostanziale, le grandi organizzazioni di distribuzione, sia fisica che di rete, le grandi aziende e persino il latifondo con i suoi schiavi immigrati la cui ressa contraddice in assoluto le stesse premesse della segregazione; che insomma loro erano ormai fuori dal trionfante cammino del neoliberismo che avevano appoggiato con entusiasmo illudendosi di esserne i protagonisti.

Per decenni erano stati il fulcro sul quale si era appoggiata la guerra ai diritti del lavoro salariato, si erano fatti tatuare la curva di Laffer per imprecare contro le tasse e contro lo stato ladrone ed erano stati premiati da Berlusconi che li aveva promossi ad imprenditori da gelatai, ristoratori, verdumai ,albergatori, idraulici, elettricisti che erano: tutte onorevolissime professioni, ma che nella cultura italiana del notabilato, conservavano una patina antica e in qualche modo plebea dalle quali il cavaliere li aveva liberati facendoli diventare qualcosa di indefinito e in fondo di meno nobile rispetto al lavoro concreto e operoso, ma che suonava come una promozione. Ora imprenditore voleva dire che potevi essere il padrone di una mega azienda automobilistica, come del chiosco sulla spiaggia, insomma todos caballeros. Invece non era così: una volta spinti ad appoggiare la distruzione dei diritti del lavoro, il grande capitale ha cominciato a frantumare anche loro che erano il residuo della vecchia società resiliente all’ordine nuovo che si andava preparando nei think tank dei ricchi. E in alcuni Paesi come l’Italia dove il lavoro autonomo e le microaziende costituiscono il nerbo dell’economia, nonostante una guerriglia che va avanti fin dalla fine degli ’90, occorreva un evento eccezionale per cominciare a fare piazza pulita a trasformare in dipendenti senza diritti gli autonomi. Una sorta di contrappasso, ma del resto il grande capitale non può permettere che intere fette di economia reale sfuggano al suo controllo anche politico e che formino i germi per un’opposizione.

Non è una battaglia troppo difficile: l’area di cui stiamo parlando è in un certo senso politicamente primitiva, avversa, in nome del mercato ad ogni intromissione e controllo pubblico  quando le cose vanno bene, ma lesta ad invocare l’aiuto dello stato quando vanno male, insomma è un ceto privo ormai di un’idea politica e sociale che abbia una consistenza oltre l’immediato interesse di bottega e facilmente scalabile da demagoghi tipo Salvini che ne difendono le istanze fino a che ciò non si scontra con i veri padroni del vapore. E’ dunque molto difficile che in poco tempo questo variegato ceto possa concepire una resistenza che sia al tempo stesso difesa della democrazia e degli interessi comuni. Ma è proprio questa sintesi e soltanto questa ad avere una qualche chance di successo.

La ventata di pandemia sulla quale hanno soffiato i poteri forti perché un cerino diventasse l’incendio della foresta, è un astuto gioco dove il banco vince sempre. Nessuno si illuda che la cosa finisca qui anche se tutti i numeri ci dicono che il Covid 19 è stata un a normale sindrome influenzale, nemmeno delle più severe, ma lo stato di eccezione è troppo conveniente ai poteri grigi perché esso possa essere abbandonato insieme al debole coronavirus peraltro già declinante. Di certo l’allarme e dunque le misure di distanziamento sociale verranno riproposte in autunno, magari non per il coronavirus, ma per un ceppo della più classica influenza o per qualche altro microrganismo pescato dal ben fornito cilindro di Big Pharma: con un servizietto ad hoc di qualche escort della virologia che con guanto e mascherina prendono anche poco, sarà un gioco da ragazzi reinnescare la paura e la segregazione per un virus qualunque. E così praticamente all’infinito o quasi: In Italia si arriverà tranquillamente  fino al 2023, determinando la moria di almeno i tre quarti delle piccole e microaziende italiane pur di evitare le elezioni e far arrivare i parlamentari a fine legislatura. Con Conte o con qualcun altro, ha poca importanza. Nessuno che sia al potere rinuncerà alla dittatura della precauzione anche se essa è puramente narrativa, a meno che non vi sia una vera rivolta popolare di cui tuttavia non si scorge nemmeno un indizio.

Alcuni sperano che una vittoria di Trump alle elezioni americane possa mettere fine al gioco, ma la cosa coinvolge interessi troppo grandi perché l’esito elettorale possa essere davvero determinante e per di più esso politicizza in maniera abnorme la questione creando una divisione tra globalisti pro paura da virus come cavallo di Troia per l’ordine nuovo e antiglobalisti che restano attaccati ai numeri i quali però  a questo punto diventano una posizione politica e dunque diventano con un fallace sillogismo  una pura opinione. Ai lavoratori autonomi dunque non resta altra via che rassegnarsi o riuscire ad esprimere una reazione politica vera.