Anna Lombroso per il Simplicissimus
Oggi proprio non mi va di unirmi al coro di Bella Ciao, mai cantata dai miei genitori, papà comandante partigiano, mamma staffetta con i volantini e pure la rivoltella nella bella borsa di cuoio a secchiello comprata nel negozio di San Salvador, che preferivano di gran lunga l’Internazionale e Bandiera Rossa.
Non mi va nemmeno di partecipare all’adunata virtuale dei “resistenti” che dai tenaci arresti domiciliari si sottraggono alla tentazione di una corsetta, del rito del sabato al supermercato, della gita al primo sole di Fregene.
Mi asterrò anche dai pistolotti canonici e dalle liturgie ufficiali che consacreranno martiri i nuovi combattenti nelle trincee delle strutture ospedaliere, delle fabbriche, delle consegne a domicilio, dei supermercati, che, se è vero che siamo di fronte a un morbo insidioso e quasi incontrastabile, ciononostante vengono mandati come i loro nonni, in battaglia con gli stivali di cartone e a sfidare i gas con la sciarpetta sferruzzata dalla mamma.
Non credo si sbagliasse Enzensberger a scrivere “ai tempi del fascismo non sapevo di vivere ai tempi del fascismo”. Spesso nella storia la nascita e il consolidarsi di una regime è stato oggetto di inconsapevolezza e incredulità da parte del popolo prima sull’orlo dell’abisso poi trascinato in avventurismi criminali, negati a posteriori, rimossi o giustificati, dopo, da una spirale di silenzio e conformismo.
Ma nella nostra contemporaneità, grazie alla circolazione di informazioni, all’evidenza spettacolare e gridata di atti e proclami, nessuno dovrebbe essere tenuto a dire non vedo, non sento, non capisco, nessuno dovrà poter dire non sapevo, non volevo.
La stretta sulle libertà individuali e collettive originata da un stato di eccezione con la revoca di principi costituzionali e la restrizione e cancellazione di diritti, è l’iceberg affiorato dall’oceano delle disuguaglianze, della repressione esercitata da un ordine che aspettava solo di diventare esplicitamente militare, dalla cancellazione di diritti, dello stato di diritto e dello Stato, retrocesso a elemosiniere del padronato, grazie ai soldi che raccatta da esattore, macellaio delle garanzie e delle prerogative che dovrebbe assicurare i cittadini.
Non occorreva far scappare un virus da un laboratorio, non occorreva orchestrare un complotto: altri ce ne sono stati per organizzare il programma dell’austerità, per strozzare paesi, per espropriare di poteri e competenze nazioni, per indebolire parlamenti e rappresentanza e per umiliare democrazie colpevoli di essere nate da lotte di liberazione “socialiste”.
E infatti ormai dovrebbe essere sotto agli occhi di tutti che siamo spettatori di un ultimo atto, dell’accelerazione di una cospirazione che ha una chiara matrice ideologica, proprio grazie alla narrazione della eclissi delle ideologie, dimostrando che si sono oscurati valori, principi, aspirazioni per far posto a una religione, il neoliberismo, che ha innervato tutto e occupato gli ambiti della comunicazione, dell’azione politica e della riflessione, come se fosse un fenomeno naturale con leggi, quelle del mercato, fatali e incontrovertibili.
Eppure siamo ancora qua a fingere che il totalitarismo, il fascismo, sia un rischio aleatorio che si contrasta cantando Bella Ciao, esponendo al pubblico ludibrio, ultima cosa rimasta pubblica grazie a un clic del tribunale di Facebook, il bruto peraltro sempre molto invitato e propagandato dai media, celebrando l’amore che deve vincere sulla violenza dei conflitti, quando l’unica fiamma di lotta che si vuole estinguere è quella di classe. Mentre ben altre guerre si dichiarano ogni giorno, quelle coloniali, certo, ma anche quelle generazionali contro i vecchi che pesano sulla società a partire dai 60 anni, esposti alla malattia ma non alla pensione, contro le donne che devono tornare a coprire ruoli subalterni e sostituivi dei servizi, contro principi etici che sono alla base del diritto retrocessi a fastidiosi moralismi da professoroni, contro il sapere ridotto a specialismo settoriale, in modo che non si permetta di svolgere una funzione critica.
E così questo antifascismo senza resistenza, che aspetta la liberazione dalle misure di contenimento del virus, rivendicando l’eroismo dell’obbedienza a leggi marziali, tracciamenti orwelliani, disuguaglianze infami secondo le quali ci sono soggetti più meritevoli di salvezza e altri esposti per meritarsi la pagnotta, si è ridotto a prodotto di consumo coi suoi gadget, Bella Ciao, le sardine, le petizioni che non hanno mai il coraggio di diventare raccolte di forme per impugnare leggi vergognose, le icone disobbedienti che piacciono soprattutto a chi poi vota un primo cittadino sceriffo, un presidente che vuole più autonomia di spesa sanitaria malgrado le statistiche sui record di Piacenza, un diversamente Salvini più educato e accettabile.
Abbiamo imparato a riconoscerli questi antifascisti del tradimento e dovremmo imparare a diffidare di questo progressismo liberista che si delizia che l’edicolante inalberi il cartello con cui proclama di non vendere più Libero, come se la cattiva erba da estirpare fosse solo quella, sguaiata e cialtrona, quando la definitiva annessione di Repubblica al cartello di Medellin della stampa drogata altro non è che un segnale definitivo dell’estinzione dell’informazione cartacea nelle mani di una editoria impropria e di una corporazione assoggettata. E quando da anni si assiste in silenzio alla fusione ideale, culturale, organizzativa, chiamatela Raiset o Mediarai, a sancire il tramonto di qualsiasi contrasto al conflitto di interessi, alla personalizzazione e alla spettacolarizzazione della politica, alla commercializzazione della società.
È l’antifascismo che sta bene a chi partecipa della simulazione di un pensiero comune, di un’opinione pubblica, che altro non è che l’espressione di un ceto che si sente ancora al sicure in una tana apparentemente protetta, che gode di un margine di beni, certezze e cultura che dona loro la percezione di una superiorità e quindi di una protezione dai rischi che corre chi non si merita la salvezza per incapacità ignoranza, indolenza. Quello di chi può sentirsi dalla parte giusta senza fatica, senza responsabilità grazie al fatto che una spirale di conformismo iniquo ma educato ha permesso di accreditare come fascisti vecchi rottami, bulli inveterati, buzzurri dichiarati.
A questi antifascisti di maniera è stato permesso di vincere facile facendo propria la manomissione di valori della resistenza, che ha confinato nel deplorevole sovranismo la rivendicazione di poteri e del potere sul loro controllo, in modo che nessuno un domani potesse dichiarare la sua innocenza per impotenza davanti agli anziani morti di influenza e polmonite, davanti al martirio di Taranto, davanti ai senzatetto arrestati e a Nicoletta Dosio in galera per aver denunciato una macchina da corruzione e oltraggio al territorio e al bene comune.
E’ la stessa manomissione che, grazie all’anatema lanciato contro il populismo, ha stabilito la secessione di una élite autoproclamatasi migliore e degna di rispetto e trattamenti speciali e agevolati dalla massa, spingendola a trovare ascolto e rappresentanza in una destra esplicita e dichiarata rispetto a un progressismo riformista convertito all’ideologia liberista tanto da abdicare a ogni velleità anticapitalistica per concentrarsi sui cosiddetti diritti civili, elargiti al minimo, avendo demolito l’edificio costituzionale di quelli fondamentali, come se potesse esistere una gerarchia e la perdita degli uni potesse rafforzare gli altri.
E infatti sono quelli, gli antifascisti della slealtà, in prima linea nella trincea domestica dell’ubbidienza salvapelle, appagati della mera sopravvivenza, preoccupati che questo incidente prevedibile della storia possa minacciare la loro caverna, non accorgendosi che è già diventata una gabbietta di quelle per le cavie, attrezzata con scalette per arrampicarsi sui mutui, i prestiti elargiti come mance a rendere, le bollette, le fatture di quei surplus, Neflix o Erasmus, fondi pensione o assicurazioni sanitarie, che li fanno illudere di essere esenti, risparmiati dal fallimento della società.
Sono loro che aspettano la liberazione per andare sulle metro dotata dopo due mesi e più delle limitazioni al contatto finora inesigibili da altre cavie meno pregevoli, per permettersi di andare in stabilimenti balneari privati attrezzati grazie al prolungamento di concessioni vergognose, di opportune strutture difensive, per farsi intercettare da un’app salvifica che ha l’intento di controllare ma soprattutto l’interesse a affidare alla tecnologia della sorveglianza la soluzione die problemi strutturali che il sistema non sa e non vuole affrontare. E per andare in montagna, ma dopo, troppo tardi, non volendo sapere che è finito il tempo delle gite, perché la valanga sta già precipitando anche su di loro.
Cantano Bella Ciao, con la mascherina e sul divano, tappandosi le orecchie per non sentire che il vento fischia ancora e ancora urla la bufera.
Ciao Anna, ti ho scoperto da qualche giorno e leggo tutti i tuoi articoli. Volevo farti i complimenti. Scrivi in modo eccezionale. Adoro il tuo stile e condivido i tuoi contenuti. Grazie.
Anna Lombroso ha scritto:
“Non occorreva far scappare un virus da un laboratorio, non occorreva orchestrare un complotto…”
Volevo fare una riflessione su queste “rivelazioni” di Montagnier. Innanzitutto ricordare che le armi biologiche (batteriologiche, virali ecc.) esistono da sempre. L’articolo italiano, ma soprattutto inglese, di Wikipedia ci offre al proposito una poco confortante panoramica e classificazione ricordandoci che anche prima che esistesse il concetto di arma biologica si usavano degli esseri umani contagiati da infezioni note (malattie veneree per esempio) per disseminarli tra il “nemico” e acquisire vantaggi strategici decisivi.
Ora, se le armi biologiche esistono (e ci son protocolli, trattati internazionali, divieti e quant’altro ad attestarlo), ci devono anche essere i luoghi dove queste vengono progettate e sperimentate. Quali sono questi luoghi? Top secret. Peraltro parlare di Wuhan è del tutto innecessario perché quello che si dice sia successo a Wuhan potrebbe essere successo per errore o per scelta in tutti i laboratori dove si ha a che fare con virus, compresi i laboratori civili, universitari o ospedalieri, dove si studiano i virus per elaborare nuovi vaccini. In effetti, la stessa tecnologia che permette la preparazione di vaccini che contengono virus a virulenza attenuata tramite la selezione dei virus più lenti a riprodursi permette, volendo, di produrre virus a virulenza accentuata selezionando i ceppi più veloci a riprodursi. Oltre a ciò, le infinite possibilità dell’odierna manipolazione genetica dei materiali biologici consentono gli incroci più arditi i cui risultati sono spesso sorprendenti per gli stessi ricercatori.
Ma esiste seriamente la possibilità che un virus “fugga” o “sfugga”? Credo si tratti solo di una metafora: un virus né fugge né sfugge, semplicemente si attacca a un altro essere vivente, non necessariamente umano e lo contamina. Da qui può contaminarne un altro e ogni altro può contaminarne un altro e via dicendo con, teoricamente, una progressione geometrica ma senza che sia mai possibile ricostruire la catena delle contaminazioni.
Ma il punto è un altro. Anche se un virus davvero fuggisse o sfuggisse nessuno potrebbe accorgersene. Neanche il premio Nobel Montagnier che ha costruito le sue fortune nobeliari su un altro fenomeno medico poco chiaro e poco chiaribile, quello dell’AIDS.
PS La frase “Ehi, è scappato un coronavirus!” non ha alcun senso. Anche quando si fanno i tamponi, i test del coronavirus rilevano solo concentrazioni miliardarie di virus, non il singolo individuo-virus.
oggi ho deciso di festeggiare il 25 aprile liberandomi delle cialtronate, quindi scaravento i commenti di Anonimo nello “spam”